Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
BOLIVIA, MORALES, LITIO E COCA Cola
Evo Morales è dal 2005 il primo presidente indigeno dell’America latina, e già per questo la propaganda occidentale doveva ritenerlo indigesto; se a questo si aggiunge che Morales è un ex cocalero e che ha difeso i contadini boliviani, allora non poteva che essere in combutta con i narcos. Ma la propaganda occidentale e colonialistica si è davvero scatenata quando Morales ha nazionalizzato – anche se solo in parte – le industrie del gas, le industrie petrolifere, le compagnie aeree e le aziende che gestiscono l’acqua. Un brutto colpo per l’attività di rapina delle multinazionali, che hanno tentato e tentano di destabilizzare il paese come hanno fatto già in Colombia e in Messico. Ma intanto, nonostante le minacce e le fosche previsioni del FMI, le entrate della Bolivia – che è un paese molto povero, cioè impoverito - sono cresciute e il debito è diminuito. La Bolivia, che, come molti paesi poveri, è ricca di materie prime, è stata già devastata in passato dal colonialismo degli Spagnoli.
Fu nel 1545 che gli Spagnoli cominciarono ad estrarre l’argento nelle miniere vicino a Potosì. Una enorme quantità di metallo prezioso che arricchì i conquistadores e che decimò gli indigeni costretti a fucilate a lavorare nelle miniere. Tra il 1545 e il 1825 nelle miniere d’argento morirono otto milioni d’indigeni boliviani. Uno dei tanti genocidi coloniali perpetrati contro le popolazioni native americane.
Oggi la Bolivia scopre di possedere un’altra risorsa importante: il litio. Le riserve più grandi del mondo di questo minerale sono localizzate nella zona del Salar de Uyuni. Il carbonato di litio è il materiale base per batterie ad alta capacità, e se mai il mercato dell’auto elettrica dovesse davvero decollare, mettere le mani su questa risorsa sarebbe decisivo per l’affarismo criminale delle multinazionali. Ecco perché le accuse verso Morales di non essere democratico e di favorire la produzione e diffusione della cocaina si moltiplicano con il supporto dell’apparato mediatico occidentale.
E’ noto che la coca e la cocaina non sono la stessa cosa e la confusione viene alimentata per rompere le scatole a Evo Morales e mettere in difficoltà il suo paese, per il quale la produzione di coca è una risorsa importante. La foglia di coca ha eccellenti effetti energizzanti, analgesici e terapeutici. I rappresentanti sindacali del Tropico di Cochabamba in Bolivia chiedono: “quante piante conoscete che forniscono più calcio del latte, più ferro degli spinaci e altrettanto fosforo del pesce?”
Le proprietà della foglia di coca erano conosciute e sfruttate da tempo. Fu un chimico corso, Mariani, a inventare, verso la fine dell’800 una bevanda a base di foglie di coca fatte macerare nel vino Bordeaux che ebbe un successo clamoroso. I sovrani scandinavi, il papa Leone XIII, ma anche Ibsen e Zola, Verne e Rodin, Eleonora Duse e Sarah Bernhardt furono grandi consumatori del “Vin Mariani” premiato dall’Accademia medica francese e omaggiato di una medaglia ad honorem dal papa.
Fu invece Albert Neimann che nel 1860 riuscì ad isolare l’alcaloide cui diede il nome di “cocaina” e che era una droga potente al punto da essere usata come alternativa alla morfina in campo medico, ma anche dagli appassionati di sostanze psicotrope. In realtà pare che la lunga macerazione nel vino rendesse disponibili gli effetti dell’alcaloide cocaina; quindi il “Vin Mariani” offriva cocaina in dosi moderate e a basso costo ad un largo numero di consumatori.
A fronte dell’incredibile successo del vino Mariani, una farmacista statunitense (John Styth Pemberton) ebbe l’idea di fregare la formula a Mariani. Era nato il French Wine Coca, ma visto che la bevanda non poteva contenere alcol o vino, proibiti nella sua città (Atlanta) vi aggiunse cocaina e noce di kola. La bevanda poi, attraverso vari passaggi nelle mani di affaristi avventurosi, diventerà la Coca Cola. La cocaina fu quindi determinante per la diffusione di questo prodotto. Fu solo nel 1906, in seguito al “Pure foods and drugs act” che la Coca Cola fu costretta ad eliminare la cocaina dalla sua famosa formula segreta, ma ormai la diffusione della bevanda era imponente. E poi l’avrà davvero tolta la cocaina?
Durante la seconda guerra mondiale, Hitler proibì la vendita della Coca Cola in Germania. Così la Corporation statunitense, per non perdere terreno sul mercato tedesco sfruttò un nuovo marchio, quello di un prodotto locale, la Fanta, messo a punto da Max Keith ( imbottigliatore della Coca Cola in Germania) con un insieme di sottoprodotti della lavorazione del formaggio e di marmellata, ma, pare,senza coca. Nel 1960 la società americana acquisì in modo definitivo il marchio Fanta.
Qualche giorno fa “la Repubblica” presentava l’elenco e il valore delle maggiori marche mondiali, e la Coca Cola superava di gran lunga tutte le altre (microsoft compresa), venduta in molti più paesi di quanti ce ne siano all’ONU. Sarà un caso, ma la più grande multinazionale del mondo, nota per i suoi comportamenti delinquenziali contro gli operai, per le devastazioni ambientali ecc. deve il suo successo proprio alla cocaina.
Il giorno dopo la manifestazione della FIOM del 16 ottobre, i giornali avrebbero potuto titolare: "Nessun morto alla manifestazione della FIOM: Sacconi in lutto". Il ministro del "Welfare" (?), Sacconi, non è stato l'unico esponente del governo ad aver puntato decisamente sulla strategia del disordine pubblico per liquidare la protesta sociale guidata dalla FIOM, infatti anche il ministro degli Interni, Maroni, si era mosso esplicitamente nella linea della provocazione, evocando l'arrivo di presunti "anarchici" addirittura dall'estero. La manifestazione si è svolta invece in modo ordinato. Certamente il servizio d'ordine della FIOM ha fatto la sua parte, ma non si può escludere che anche la provocazione poliziesca in questa occasione abbia fatto sciopero contro un governo che colpisce stipendi e garanzie delle forze di polizia. Per un regime che fonda la sua "legittimità" esclusivamente sulla "minaccia terroristica", non si tratta di uno smacco da poco.
L'operazione politica messa in atto dall'attuale gruppo dirigente della FIOM potrebbe risultare molto meno socialmente isolata di quanto la propaganda ufficiale voglia far credere. In questi giorni, in strana coincidenza con l'annuncio della manifestazione della FIOM, "Repubblica Radio-TV" ha mandato in onda, e replicato più volte, un servizio sulla sconfitta sindacale alla FIAT nel 1980. Non poteva mancare una rievocazione sulla leggendaria "Marcia dei Quarantamila", ma gli autori del servizio si sono "dimenticati" di precisare che i "marcianti", nella loro grande maggioranza, non erano affatto dei lavoratori impediti di accesso alla fabbrica dai picchetti sindacali, ma impiegati di uffici esterni a Mirafiori, che percepivano regolare stipendio, e che l'azienda aveva di sua iniziativa spedito a fare la manifestazione. Il servizio ometteva anche il dettaglio che di lì a poco sarebbero finiti in cassa integrazione persino molti quadri intermedi dell'azienda, quegli stessi quadri che la propaganda ufficiale aveva spacciato come i "ceti emergenti". Eppure tutte queste notizie erano andate in onda a suo tempo su RAI 3 grazie al gruppo di "Cronaca", che sarebbe stato, peraltro, liquidato di lì a poco.
Da un quotidiano di "opposizione" come "La Repubblica" ci si sarebbe anche dovuto aspettare che ricordasse come la FIAT avesse percepito dallo Stato, alla fine degli anni '70, sessantamila miliardi di lire grazie alla Legge sulla Riconversione Industriale, e come grazie a quei miliardi pubblici fosse stata messa in grado di finanziare i licenziamenti e le delocalizzazioni. Ovviamente di tutto questo manco a parlarne, quindi non c'è da stupirsi neppure del fatto che nessun commentatore abbia osservato la più evidente differenza esistente tra la situazione sociale attuale e quella di trenta anni fa.
A dimostrazione che gli slogan della propaganda ufficiale non indicano dati reali e nemmeno obiettivi, ma hanno solo lo scopo di spiazzare e confondere, lo slogan ufficiale della "scomparsa della lotta di classe" è andato a coincidere con uno dei più gravi attacchi alle condizioni di vita del ceto medio, che sino a trenta anni fa aveva costituito la principale area sociale di sostegno sia del regime democristiano che del compromesso socialdemocratico. Oggi invece gli impiegati ministeriali sono criminalizzati dalla propaganda ufficiale e considerati un'area di potenziale coltura del terrorismo. Meno di un anno fa il ministro Brunetta si auto-spediva una lettera con una pallottola per poter bollare di terrorismo gli statali che pretendevano di obiettare alle sue "riforme".
Il blocco degli stipendi degli statali, deciso dalla manovra Tremonti del maggio ultimo scorso, è stata salutato in Confindustria con un giubilo sfacciato, e l'industriale Diego Della Valle si è precipitato davanti ai giornalisti ad annunciare che era ora che i dipendenti pubblici conoscessero anche loro le durezze del "mercato". La precarizzazione ha inoltre colpito pesantemente il ceto medio, e gran parte dei giovani precari provengono da quell'area sociale. Il crollo dei consumi ha anche gettato sul lastrico schiere di commercianti ed artigiani, perciò la precarizzazione del ceto medio coinvolge persino il lavoro autonomo.
Un Partito Democratico che "si sposta al centro" ed "insegue i moderati", si richiama quindi al fantasma di un equilibrio sociale basato sul ceto medio, che invece è stato già travolto dal colonialismo del Fondo Monetario Internazionale e delle multinazionali, che oggi impone all'Europa un nuovo "Patto di Stabilità", cioè nuova miseria. Una linea politica del genere sembra fatta apposta per favorire nel PD l'opera di provocazione di personaggi come Ichino e Ricolfi, tutti impegnati a giustificare le presunte ragioni del regime berlusconiano e leghista. Dall'interno del PD è arrivata nientemeno che una celebrazione della sedicente riforma Gelmini, nonostante questa abbia come effetto di condannare tutti i ricercatori italiani all'emigrazione all'estero, oltre che di privatizzare i beni immobili delle Università.
Oggi non esiste un'opposizione politica, ma non perché manchi lo spazio sociale per un'opposizione; al contrario: non viene permessa l'esistenza di un'opposizione proprio perché questa, altrimenti, avrebbe a disposizione uno spazio sociale storicamente senza precedenti per vastità.
A trasformare la FIOM in un riferimento per l'opposizione sociale, è stato indirettamente l'amministratore delegato della FIAT, Marchionne, quando si è letteralmente inventato il mito di una FIOM ostinatamente dedita alla lotta di classe. La criminalizzazione della FIOM non corrisponde ad alcuna logica produttiva - dato che su quel piano la FIOM è sempre stata obbediente -, ma serve ad usare il "modello FIAT" come spot pubblicitario per business coloniali come le cordate di delocalizzazione per le piccole e medie imprese del Centro-Nord, a cui la Philip Morris può offrire agganci per agevolazioni finanziarie e fiscali nei "paradisi" dell'Europa dell'Est (anche la contemporanea presenza di Marchionne sia nella dirigenza della FIAT che in quella della Philip Morris, rappresenta una bella questione di "conflitto di interessi", di cui i giornali però non si occupano).
In tutta la vicenda dei tre operai-sindacalisti FIOM licenziati a Melfi, Marchionne ha mentito sfacciatamente alla stampa, affermando che i tre avevano bloccato la linea di produzione. Davanti al giudice, dove si rischiava la condanna per falsa testimonianza, l'azienda si è rimangiata tutto ed ha ammesso che i tre sindacalisti erano arrivati quando la linea si era già fermata per problemi tecnici. Ovviamente i giornalisti non hanno chiesto conto a Marchionne delle sue menzogne, ma hanno avallato il suo vittimismo, poiché anche questo faceva parte dello spot pro-delocalizzazioni. Con tutte queste provocazioni, alla FIOM non è mai stato concesso di poter rientrare nel suo tradizionale gioco delle trattative, dato che la si poneva nell'assurda condizione di doversi pentire di colpe mai commesse.
Ultimamente Marchionne ha dichiarato che lui vive nell'epoca dopo Cristo e non può perdere tempo a parlare con chi vive ancora prima di Cristo, con ciò facendo intendere che, ormai, crede di essere lui il nuovo Gesù Cristo. Tempo fa l'ex amministratore delegato della FIAT, Romiti, aveva in effetti detto tra le righe, in un'intervista al "Corriere della Sera", che Marchionne aveva imboccato la strada della schizofrenia paranoica. Paradossalmente è stato infatti lo stesso Marchionne, con la sua sfrenata foga provocatoria, a porre le condizioni oggettive per cui la FIOM è diventata un simbolo di resistenza sociale ed un potenziale soggetto politico a tutto campo.
Il test per stabilire se il nuovo segretario della FIOM, Maurizio Landini, sia davvero uno che vuole fare sul serio, riguarda l'opposizione alle privatizzazioni; infatti, mentre la FIOM manifestava a Roma, la presidente di Confindustria, Marcegaglia, parlava a Prato davanti ad una platea osannante di piccoli e medi imprenditori, e dal suo discorso fumogeno è risultato alla fine un solo elemento concreto, cioè la sua richiesta di privatizzare finalmente i cinquecento miliardi di beni dello Stato. Il governo e la Confindustria cercano di illudere i piccoli e medi imprenditori che potranno partecipare anch'essi al banchetto; e l'illusione per ora funziona, viste le ovazioni di cui è stata fatta oggetto la Marcegaglia a Prato.
Dato che la Confindustria si lamenta sempre di essere a secco di liquidità e reclama "soldi veri", questo "privatizzare" va tradotto come regalare, quindi, come sempre, si tratterebbe di privatizzazioni a spese del contribuente, in cui lo Stato non si limita a regalare i beni pubblici ai privati, ma li va addirittura a finanziare per permettere loro di acquisirli e gestirli. Le privatizzazioni riguardano anche i servizi forniti sinora dal Pubblico Impiego, con l'effetto di aumentare i costi per il contribuente e determinare un'ulteriore precarizzazione del ceto medio impiegatizio. La CISL è oggi il maggiore sindacato nell'area del Pubblico Impiego, i cui lavoratori non possono certo contare su Bonanni per farsi difendere, perciò per Landini si apre tutta un'area di possibile consenso sociale.
Il segretario generale della CGIL, Epifani è stato costretto per il momento ad assecondare il gruppo dirigente della FIOM, ed ha lanciato una proposta di sciopero generale. Il rischio è che alla fine Epifani riesca ad imporre il generico tema fiscale a fare da falso obiettivo, senza lanciare un'aperta opposizione alle privatizzazioni, che rappresentano invece per il contribuente il costo principale.
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