Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Alcuni giornali ci hanno fatto sapere che vi sarebbero state critiche all’interno della stessa Israele per la sanguinosa azione di pirateria attuata dal governo israeliano contro il convoglio di soccorsi alimentari e farmaceutici per Gaza. Questo tipo di atteggiamenti critici di una parte dell’intellettualità israeliana ha suscitato a sua volta un certo scetticismo in alcuni osservatori più disincantati, che hanno sottolineato come il crimine israeliano appena consumato rientri appieno nelle linee di comportamento abituale del sionismo: il presentarsi come se si fosse soli contro tutto il mondo, ma al tempo stesso l’esigere una disciplina assoluta dai media del sedicente Occidente.
In effetti ancora una volta i media internazionali hanno superato l’esame di affidabilità sionista, poiché non solo ad Israele non sono mancati sostegni espliciti, ma anche le finte "critiche" sono state smussate seminando sospetti sulla autenticità del “pacifismo” degli aggrediti. Si tratta di un trucco propagandistico molto frequente, che consiste nell’attribuire arbitrariamente a certe iniziative l’etichetta di pacifismo, per poi metterla pretestuosamente in dubbio.
Un altro aspetto che è risultato evidente nell’attacco israeliano è stato quello di voler galvanizzare i sostenitori del sionismo con una sorta di surrogato/simulacro di “vittoria militare”, dato che ormai le sole “vittorie” che Israele riesce a conseguire sono quelle contro civili inermi. L’invasione del Libano del 2006 - proprio quella invasione che il giornalista Paolo Guzzanti aveva salutato con uno sperticato inno di lode che lo coprì di ridicolo - si è risolta in un disastro militare che ha messo in luce la vulnerabilità della macchina bellica israeliana nei confronti dell’evoluzione tecnologica della guerra.
Il numero effettivo di carri armati israeliani messi fuori combattimento dai miliziani Hezbollah è rimasto un segreto militare, e non poteva essere diversamente in un Paese in cui il segreto militare investe persino tutti gli aspetti della vita civile; ma anche la cifra di cinquanta carri distrutti, filtrata dalla censura dei media israeliani, costituirebbe una debacle tutt'altro che indifferente. L’operazione “Piombo Fuso” contro Gaza della fine del 2008, si era risolta in un'ulteriore prova di ferocia criminale e d'inettitudine militare, sulla quale in Israele era calato il silenzio dell'imbarazzo; ed infatti l'unico ad esprimere un plauso ammirato sull'operazione è stato un noto incompetente a tutto tondo come Silvio Berlusconi, con il risultato che la sua adulazione si è connotata di un involontario scherno nei confronti degli Israeliani.
I crimini contro civili del tutto inermi sono invece efferati quanto facili, e possono riaccreditare, se non altro a livello di propaganda subliminale, il mito della superpotenza israeliana tante volte smentito dai fatti; un mito di invincibilità a cui gli Israeliani sono i primi a non credere più, dato che chi poteva se ne è già scappato altrove (vedi Fiamma Nirenstein). Inoltre il governo israeliano ha posto le basi per un'emigrazione di massa in Ungheria, dove le multinazionali americo-sioniste si stanno appropriando di quasi tutti quei patrimoni immobiliari che, dopo il crollo del comunismo, avrebbero dovuto tornare all'antico proprietario, cioè la Chiesa Cattolica (e ciò spiega anche perché la Chiesa venga stretta all'angolo dalla propaganda ufficiale con quella scoperta dell'acqua calda che è la clero-pedofilia).
Le critiche interne ad Israele potrebbero rientrare perciò in quel gioco delle parti utile a cercare di alimentare nuovamente il mito ormai logoro della “unica democrazia del Medio Oriente”. Insomma, sarebbe la solita propaganda: da buoni "democratici", come gli Americani, anche gli Israeliani non possono mai essere cattivi, al massimo "stupidi", quindi ingenui, perciò vittime. Su questa tesi propagandistica concordano il figlio di Sharon e il "Manifesto".
Ora, non c'è dubbio che si tratti della solita propaganda, però occorre non perdere di vista il fatto che il bersaglio dell'azione di pirateria israeliana è risultata essere la Turchia, il Paese che si era maggiormente impegnato nell’azione di soccorso per Gaza, e che, in un certo senso, ne costituiva il garante. La Turchia costituisce infatti l’unica potenza dell’area che possieda un apparato militare paragonabile a quello di Israele, ed è inoltre un membro della NATO. D’altra parte la Turchia ha avviato con il governo Erdogan una propria politica estera, che l’ha vista negli ultimi mesi configurare una sorta di asse con l’Iran e la Russia. La Turchia si trova infatti da anni in difficoltà per la politica secessionistica degli Stati Uniti in Iraq, che sta favorendo la nascita di uno Stato dei Curdi che destabilizzerebbe definitivamente anche la parte di Kurdistan che si trova in territorio turco.
L’accordo internazionale sull’arricchimento dell’uranio iraniano di poche settimane fa, è stato ottenuto dal presidente brasiliano Lula da Silva dopo il suo incontro con Ahmadinejad, ma la trattativa ha visto il coinvolgimento diretto della Turchia, che si è assunta perciò in prima persona l’onere internazionale di screditare la propaganda allarmistica degli Stati Uniti e di Israele circa il presunto pericolo nucleare iraniano.
I media occidentali avevano diffuso a suo tempo la notizia sul tentativo diplomatico di Lula da Silva dandone per scontato il fallimento; infatti, una volta che la mediazione di Lula è riuscita, sul tutto è calato il più assoluto silenzio mediatico, poiché nulla deve turbare le certezze dell’opinione pubblica occidentale per ciò che riguarda le folli mire del mostro Ahmadinejad.
La provocazione israeliana ha quindi giocato d’anticipo, ed è andata a saggiare la capacità e la volontà di reazione del governo turco. Qualcosa del genere era già avvenuto con l’attacco della Georgia nei confronti dell’Ossezia; un attacco organizzato ed armato dagli Israeliani proprio per valutare la capacità reattiva dell’esercito russo, e che si risolse nell’ennesimo fallimento militare di Israele.
Se Putin in quell’occasione non avesse immediatamente reagito, sarebbe probabilmente incorso in un colpo di Stato del suo stesso esercito, e ciò costituì il motivo per cui la reazione del governo russo in Ossezia riscosse una tacita comprensione da parte dei governanti europei. Il solo a manifestare ad alta voce queste diffuse opinioni europee fu il solito Berlusconi, che si prese delle rampogne ed anche la taccia di amico di Putin, cosa che motivò ufficialmente la diserzione di Paolo Guzzanti dalle file del berlusconismo.
Anche per Erdogan la situazione che ora si prospetta non è facile, poiché egli rischia di mostrarsi o troppo debole se non reagisse militarmente, o troppo avventurista se invece lo facesse. Già Erdogan è stato costretto a sventare un tentativo di colpo di Stato militare qualche tempo fa, e questo pericolo si porrebbe per lui nuovamente quale che fosse la sua scelta.
Se Erdogan pensava di poter ridefinire le sue alleanze con la opportuna gradualità, quanto accaduto invece lo spiazza. Si potrebbe anche ipotizzare che egli abbia in qualche modo atteso e sollecitato la provocazione israeliana, e quest’ulteriore ipotesi risulterebbe verificabile di qui a poco.
L’avventurismo criminale di Israele rappresenta una costante dello scenario mondiale, quindi viene digerito senza particolari drammi dalla diplomazia internazionale, anche perché si sa benissimo che dietro questo avventurismo di Israele c'è in realtà l'affarismo degli Stati Uniti. Da anni Noam Chomsky cerca di sfatare il mito della “lobby israeliana”, chiarendo che Israele svolge il ruolo istituzionale di mediatore d'affari per conto delle multinazionali statunitensi nella vendita di armi americane. Dato che le leggi americane ufficialmente proibiscono la vendita di armi a quasi tutti i Paesi, allora queste armi devono essere vendute ad Israele perché le possa a sua volta rivendere ad altri.
Israele inoltre ospita una mega-base americana non lontano dall'areoporto Ben Gurion; una base militare USA che - si dice - sarebbe ignota anche a molti Israeliani, anche se proprio un giornalista israeliano, Barry Chamish, si è incaricato di diffonderne le foto su internet. L’immagine degli USA manipolati da Israele appare quindi mitologica, e viene probabilmente accreditata per aumentare i margini di manovra diplomatica delle amministrazioni statunitensi, oltre che per avere sempre a disposizione un alibi.
Un eventuale avventurismo militare turco nell’area costituirebbe invece un fatto nuovo, una variabile che potrebbe determinare un riassetto di tutti gli “equilibri” mondiali (ammesso che si possa parlare di equilibri).
Povero Marpionne… L’AD della FIAT porta avanti la sua politica di rilancio dell’azienda tra malumori, sospetti e pregiudizi davvero inattuali. Dopo aver quasi portato alla chiusura Termini Imerese, con i prevedibili benefici per l’economia italiana, Marpionne rivolge le sue cure allo stabilimento di Pomigliano. Le proposte di Marpionne sono allettanti: portare i turni di lavoro settimanali fino a 18 e poi a 21, ottenere 15 sabati lavorativi, garantire la non proclamazione di scioperi nei sabati concordati e altre piacevolezze. Di fronte a questa generosità, i sindacati, dall’UGL alla Fiom, si sono semplicemente dichiarati “disponibili a raggiungere un’intesa”, dimostrando così tutta la loro rigidità corporativa. Marpionne ha confidato che: “In America l’atteggiamento è completamente diverso e come italiano me ne dispiaccio.” Ma la magnanimità di Marpionne non si arrende: ed eccolo proporre una norma che contenga sanzioni economiche per i sindacati che, nonostante gli impegni, proclamassero lo sciopero in quei giorni; una deroga al tempo minimo di 11 ore tra un turno e l’altro, aumenti dei ritmi e altro ancora. Ma ancora una volta i sindacati, invece di intonare canti di giubilo, hanno risposto con un irremovibile: “ci sono le condizioni per arrivare ad un accordo”; un’ottusità ideologica davvero inaudita. Ha ragione Marpionne ad essere deluso, chi potrebbe criticarlo se decidesse di chiudere gli stabilimenti italiani e portarsi tutto in Polonia o, che so, in America? Certo, tutto a spese del contribuente italiano; se no a che servono le manovre finanziarie?
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