Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La scorsa settimana numerosi commenti si sono appuntati sulle dichiarazioni dello scrittore/giornalista Enzo Bettiza a proposito della Lega Nord, da lui considerata come l’erede della “buona amministrazione” absburgica sul Regno del Lombardo-Veneto. È significativo che non risulti alcun commentatore che abbia notato come, dal mito magniloquente della Padania, si sia così bruscamente sprofondati nella nostalgia nei confronti di un passato in cui la Lombardia ed il Veneto erano solo colonie di una potenza straniera come l’Impero Austro-Ungarico. Ancora più significativo è che gli esponenti leghisti, lungi dall’offendersi, abbiano considerato le tesi filo-colonialistiche di Bettiza come un complimento. Quindi, dopo ottocentotrentaquattro anni, Alberto da Giussano si riconcilia col germanico Sacro Romano Imperatore e riconosce che la battaglia di Legnano ed il Carroccio furono tutto un errore.
Nessun leghista veneto si è quindi domandato come mai la “buona amministrazione” dei funzionari degli Asburgo abbia lasciato, nel 1866, il Veneto in condizioni di miseria apocalittica, con i tassi di analfabetismo, di alcolismo e di pellagra più alti d’Europa; una condizione di sottosviluppo e di crisi demografica da cui il Veneto è riuscito a riprendersi pienamente solo nell’ultimo mezzo secolo. Anzi, il più compiaciuto di tutti per il paragone con gli Asburgo, è stato proprio il governatore leghista del Veneto, al quale non è venuto in mente che anche la peggiore delle amministrazioni non sarebbe mai riuscita a combinare ciò che hanno combinato gli Asburgo al Veneto, una regione che detiene condizioni geografiche ottimali per lo sviluppo, con pianure e numerosi fiumi, ed a ridosso di un mare interno, l’Adriatico, che facilita scambi e comunicazioni.
I dati storici indicano perciò che la “buona amministrazione” absburgica condusse in Veneto una tipica strategia coloniale di annientamento della popolazione. Il fatto che la Lombardia sia stata trattata in modo meno feroce, fu dovuto probabilmente alla considerazione che il suo passato politico era consistito in una tradizione municipalistica in cui le varie città si combattevano tra loro. La Repubblica Veneta aveva avuto invece, sino a quasi tutto il ‘700, un passato di grande potenza, che incuteva ancora timore. Per trasformare l’aggressiva Venezia in un'inerte città/museo, era dunque necessario privarla del suo entroterra, spopolandolo. Impedire alla potenza veneta di risollevarsi costituiva quindi un obiettivo strategico per assicurare all’Impero Austro-Ungarico il controllo del nord dell’Adriatico.
Il contrabbando di bevande alcoliche adulterate con percentuali tossiche di alcol metilico, costituì dunque una delle armi principali di questo genocidio strisciante in Veneto, di cui oggi sembra smarrita la memoria storica. La scienza medica dell’epoca aveva già accertato il rapporto consequenziale tra l'intossicazione alcolica, la denutrizione e la malattia della pellagra; anche se poi la scoperta dei batteri per lungo tempo disorientò le ricerche nella direzione di un'inesistente causa infettiva della pellagra. Nello stesso periodo, il colonialismo statunitense adottava le identiche tecniche di genocidio nei confronti dei Pellerossa, le cui popolazioni, confinate in spazi sempre più ristretti o in riserve, dovevano subire l’effetto combinato della denutrizione e della intossicazione alcolica indotta dal traffico di whisky adulterato. Questi traffici “illegali”, ma favoriti dalle autorità costituite, trasformavano il genocidio anche in un business, mentre la criminalità che si organizzava attorno al contrabbando diventava anche uno strumento di controllo sociale. Nulla di molto diverso rispetto a quanto accade col colonialismo odierno, magari sostituendo l’alcol con l’eroina e la cocaina.
O Bettiza si è fatto la sua cultura sull’Impero Absburgico solo vedendo i film di Sissi, oppure le sue affermazioni avevano un secondo fine, un messaggio manipolatorio di psico-guerra (psywar), il cui senso è che la condizione di sottomissione coloniale costituisce quanto di meglio si possa desiderare dalla vita. Il colonialismo penetra così nel senso comune a livello subliminale, aggirando ogni senso critico.
In fatto di manipolazione propagandistica, Bettiza deve possedere delle competenze, poiché è egli stesso, come personaggio pubblico, un prodotto della propaganda. Sino al 1974 nessuno aveva mai sentito nominare Bettiza, sennonché quell’anno i giornali riportarono con enfasi la notizia del suo passaggio dal “Corriere della Sera” al neonato “Il Giornale”, il quotidiano appena fondato da Indro Montanelli. Nonostante il fatto che Bettiza non avesse mai firmato alcun articolo sul “Corriere”, i giornalisti riportarono col rilievo di uno scoop la notizia del suo passaggio alla nuova testata, addentrandosi in arzigogolate spiegazioni dell’arcano di un giornalista così prestigioso ma ancora sconosciuto. In realtà il furbo Montanelli, conoscendo bene la superficialità ed il conformismo dei suoi colleghi, era riuscito a creare dal nulla un fenomeno di divismo giornalistico di cui aveva bisogno per lanciare l’immagine del suo nuovo quotidiano.
Anche il divismo mediatico della Lega ha anticipato di alcuni anni la sua effettiva consistenza sociale ed elettorale, ma in questo caso la costruzione propagandistica non si è basata su un estemporaneo colpaccio di qualche vecchia volpe del giornalismo, bensì su un vero martellamento televisivo. Le trasmissioni “Profondo Nord” e “Milano-Italia” dell’insospettabile Gad Lerner (ex redattore del quotidiano “Lotta Continua”), costruirono, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 l’immagine pubblica vincente di una Lega Nord in grado già di avere in pugno i destini del Paese.
Il tema della secessione è diventato così una sorta di luogo comune, un’opzione politica tra le altre, che può essere anche spacciata dietro lo pseudonimo di “federalismo”. La tecnica propagandistica si è sempre basata su una rigida convenzione, alla quale nessun commentatore ha mai derogato: la secessione viene ridotta a questione puramente interna all’Italia. Si può discutere sino alla nausea se sia giusto e “solidale” che le regioni ricche se ne vadano per la loro strada abbandonando a se stesso il Sud povero e “assistito”; ma non ci si può mai domandare quale sarebbe poi il rapporto di questi nuovi staterelli con le centoquindici basi militari straniere che occupano il territorio italiano.
Lo Stato italiano è stato costretto ad accondiscendere di recente all’allargamento della base NATO di Vicenza, ha dovuto concedere agli Usa anche una nuova base NATO a Giugliano in Campania, ed ha persino ceduto alla U.S. Navy altre banchine nei porti di Napoli, Livorno e Taranto. Un oleodotto militare parte da Livorno e attraversa quasi tutto il territorio italiano verso Nord, sino alla base NATO di Vicenza.
Quale sarebbe allora il potere contrattuale di Stati ancora più piccoli e deboli militarmente nei confronti del cosiddetto “alleato” USA? Le basi NATO non costituirebbero delle presenze così ingombranti da configurare anche in Italia una serie di “Basi NATO Republic” del genere Kosovo? Ed è possibile che i dirigenti della Lega Nord non siano consapevoli di questo problema? O lo sono sin troppo? Cioè, per chi lavora davvero la Lega Nord? Ed il fervore leghista del filo-statunitense professionista Enzo Bettiza, costituisce forse una risposta alla precedente domanda?
Ogni giornalista, anche e soprattutto se recita la parte del "coraggioso", sa intuitivamente fin dove può arrivare con le domande, e conosce bene i limiti che non deve varcare, pena l'emarginazione professionale. Che si discuta di secessione sul “Corriere della Sera” o nelle varie TV dimenticandosi dell’esistenza delle basi militari NATO e USA, costituisce perciò un dato ovvio e prevedibile, che fa parte del gioco.
Ma quando si riscontra questa stessa dimenticanza anche in un articolo di Moreno Pasquinelli su un sito denominato “Campo Antimperialista”, allora il fatto diventa veramente preoccupante, poiché denota che la colonizzazione militare del territorio italiano è diventata come l’aria che si respira, che la si dà talmente per scontata che non vale più la pena di parlarne. Oppure vuol dire che la colonizzazione ha già determinato un clima di opportunismo diffuso, che non mette mai in discussione il padrone - perché tanto è il padrone -, ed allora tanto vale litigare e competere solo fra servi.
C’è un’ironica coincidenza nel fatto che un siluro verso il governo Berlusconi sia partito dalla casa che il ministro Claudio Scajola ha di fronte al Colosseo, dato che quel monumento costituisce uno dei principali bersagli delle privatizzazioni dei beni culturali che questo governo sta portando avanti. Il ministro alla privatizzazione dei Beni Culturali, Sandro Bondi - anche lui oggetto di un’inchiesta giudiziaria -, aveva appena impostato un piano di privatizzazione per gli scavi di Pompei, con un espediente già collaudato per la rapina dei patrimoni immobiliari delle Università e del Demanio dello Stato, cioè le fondazioni miste pubblico/privato, in cui il pubblico fornisce il bene pubblico in oggetto, ed il privato invece ci mette la manina che se lo frega.
Anche la crisi finanziaria della Grecia pare aver trovato il suo sbocco salvifico nella prospettiva della privatizzazione dei beni del Demanio dello Stato. Quindi, dopo gli scavi di Pompei ed il Colosseo, anche il Partenone è in lista per le prossime privatizzazioni.
La propaganda ufficiale negli ultimi giorni era stata costretta ad aggiustare il tiro di fronte ad una parte dell’opinione pubblica, poco disposta ad accettare l’idea della necessità di versare “lacrime e sangue” per preservare un’istituzione impopolare come l’euro; anche perché in molti cominciano a domandarsi perché, se l’euro è davvero questo paradiso così irrinunciabile, allora come mai la Gran Bretagna si sia invece ben guardata dall’adottarlo come moneta, sebbene la Banca d’Inghilterra possieda il 14% della Banca Centrale Europea.
Tra l'altro è ormai evidente a tutti che l'euro poteva avere uno scopo espansivo solo per costituire una moneta di pagamento internazionale che fosse alternativa al dollaro. Quell'obiettivo è però caduto con l'invasione dell'Iraq del 2003, attuata dagli USA anche per punire il presidente iracheno, Saddam Hussein, per il suo proposito di farsi pagare il petrolio in euro e non più in dollari; perciò ora la "moneta unica europea" (che poi unica non è) viene individuata da gran parte della pubblica opinione soltanto come uno strumento di colonialismo interno all'Europa.
Alcuni commentatori ufficiali hanno perciò, almeno per un po’, messo da parte la fiaba moraleggiante dei Greci che avrebbero vissuto al di sopra dei propri mezzi e poi truccato i conti, finché i mitici “Mercati” non sarebbero arrivati a scoprire la magagna (quando si tratta di finanza, il dio Mercato si declina al plurale: i Mercati). Si è cominciato perciò a riconoscere che, in fondo, qualche responsabilità più grossa ce l’hanno gli Stati Uniti e le provocazioni delle loro agenzie di rating. La terapia imposta per la crisi finanziaria greca però non cambia di una virgola: anche se la colpa è dei finanzieri avidi e degli speculatori irresponsabili, il miglior modo per gli Stati di mettersi al riparo dalle speculazioni, sarebbe comunque quello di tenere i conti pubblici in pari e di trovare le risorse “vendendo” i patrimoni del Demanio dello Stato. È sempre la solita dottrina, di pura marca Fondo Monetario Internazionale, del cosiddetto “Stato leggero”, o, per meglio dire, alleggerito delle sue ricchezze immobiliari.
Questo tipo di propaganda è ancora in grado di far breccia in un’opinione pubblica addestrata a illudersi che i privati agiscano con soldi propri e possano quindi acquistare regolarmente i beni a cui lo Stato rinuncia. In realtà per tutti i patrimoni immobiliari che lo Stato ha ceduto ai privati, questi non hanno mai versato un soldo, dato che il trucco è sempre consistito nel costituire società miste pubblico/privato, tramite le quali alcune multinazionali si trovano miracolosamente in dono dei beni immobili di valore inestimabile. La multinazionale edilizia Impregilo ha "acquisito" (o, meglio, rubato) gran parte dei patrimoni immobiliari delle province di Reggio Calabria e di Messina proprio in questo modo, cioè senza pagare nulla, ma soltanto entrando a far parte della Società per il Ponte sullo Stretto di Messina. I trucchi per realizzare il furto sono sconcertanti nella loro semplicità, dato che basta costituire con vari pretesti altre SPA per passare loro la proprietà dei beni che si vogliono sottrarre. Si tratta di quel noto espediente che, nel gergo finanziario, viene chiamato “scatole cinesi”.
Le privatizzazioni sono furti, non vendite, ed in questa materia il Ministro che oggi sovrintende alle privatizzazioni, Giulio Tremonti, non detiene nemmeno il copyright, dato che c’è il precedente di Romano Prodi che, da presidente dell’IRI, regalò l’Alfa Romeo alla FIAT senza pretendere in cambio neanche un “grazie”. Quando si attua una privatizzazione come quella dell’Alfa Romeo, la disinformazione ufficiale si adopera a far credere che si tratti del passaggio di mano di un marchio e di qualche stabilimento, omettendo di specificare che ognuna di queste aziende di Stato possedeva un suo considerevole patrimonio immobiliare, che costituisce spesso il principale oggetto della predazione. La fumosa astrazione del “Mercato” consente infatti ad economisti e giornalisti di non parlare mai della ricchezza reale e di come viene sottratta al patrimonio pubblico.
Diventata una multinazionale a tutti gli effetti, la FIAT può compiere ora queste rapine immobiliari non solo in Italia, ma su scala internazionale; perciò l’invasione della FIAT in Polonia ha avuto solo in parte finalità produttive, dato che la principale attività FIAT si esercita nel campo immobiliare, cioè nell’acquisizione/furto di beni demaniali dello Stato. Il colonialismo della FIAT, come ogni altro colonialismo, ha trovato una delle sue più efficaci armi di penetrazione nel corrompere i gruppi dirigenti locali, che si costituiscono, a tutti gli effetti, come cleptocrazie del proprio patrimonio nazionale. Una volta che si sia asservita a delle multinazionali, una cleptocrazia può sbaragliare le opposizioni interne avvalendosi appieno del sostegno della macchina propagandistica e militare del sedicente “Occidente” ("Occidente", "Comunità Internazionale", ecc., sono tutti pseudonimi delle multinazionali).
La colonizzazione consiste nella rapina sistematica delle risorse di un Paese, a cominciare dal suo territorio, ma, nell’immagine propagandistica, tale rapina è spacciata per “aiuto allo sviluppo”. Quando la colonizzazione ha prodotto i suoi inevitabili disastri ambientali e sociali, si può sempre attribuirne la causa all’eccesso di aiuti che avrebbero deresponsabilizzato la popolazione locale, che si sarebbe ormai assuefatta all’assistenzialismo. La “economista” africana Dambisa Moyo è diventata una star sui media internazionali per aver riproposto la fiaba secondo cui il sottosviluppo dell’Africa sarebbe appunto dovuto all’eccesso di bontà dell’Occidente verso i poveri del mondo. Il Fondo Monetario Internazionale e la sua consorella Banca Mondiale avrebbero elargito troppi "aiuti" agli Africani, che se ne sarebbero approfittati per impigrirsi.
La propaganda del FMI e delle multinazionali usa spesso queste finte icone femminili per veicolare il messaggio viriloide secondo cui un po' più di crudeltà sarebbe quello che ci vuole per educare i popoli inferiori; in tal modo l'opinione pubblica progressista viene spiazzata e messa in imbarazzo. Anche nel 2003, poco prima dell'aggressione all'Iraq, la TV britannica lanciò il personaggio di una presunta studentessa irachena che supplicava gli USA di bombardare l'Iraq per portarvi la democrazia. La propaganda colonialistica ha fatto anche in passato questo uso mistificato dell'immagine femminile, e basti ricordare il precedente fascista della canzone "Faccetta Nera" prima dell'aggressione all'Etiopia nel 1935.
Ovviamente la propaganda colonialistica diffusa attraverso l'immagine di Dambisa Moyo omette il piccolo dettaglio che i prestiti del FMI e della Banca Mondiale sono stati concessi alla condizione che i beni dei Paesi africani venissero privatizzati a favore delle multinazionali, perciò oggi il territorio africano non appartiene ad Africani, ma a società straniere. Quindi una ricchezza di carta è stata concessa ai Paesi africani in cambio della ricchezza reale della terra; ma poi i governi africani sono stati costretti persino a girare il denaro dei prestiti alle multinazionali in forma di "incentivi agli investimenti".
Il FMI e la Banca Mondiale sono per davvero degli enti assistenziali, ma non a favore dei Paesi sottosviluppati, bensì ad esclusivo vantaggio delle multinazionali; quindi si tratta di un assistenzialismo per ricchi. Se si considera che FMI e Banca Mondiale, sebbene di proprietà di privati, operano con fondi pubblici, cioè col denaro dei contribuenti, si può constatare che il sistema affaristico mondiale si basa sull'elemosina dei poveri nei confronti dei ricchi.
Quando un governo locale osa porre dei vincoli ai diritti di proprietà delle multinazionali o, semplicemente, non accetta la tutela del FMI, la propaganda del sedicente Occidente si incarica immediatamente di bollare quel governo come “dittatura sanguinaria”, così come è capitato al presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ed al presidente del Venezuela, Hugo Chavez, che pure risultano eletti secondo gli standard delle cosiddette "democrazie occidentali". Vi sono tante cosiddette Organizzazioni Non Governative "per la difesa dei diritti umani" (ovviamente i diritti umani delle multinazionali), che svolgono lo specifico compito di diffondere questi slogan in modo da conferire alla propaganda del FMI un alone di obiettività. Alla propaganda si accompagnano le sanzioni, diplomatiche e soprattutto economiche, ma si può arrivare anche a minacce militari o ad invasioni.
Un’altra star del sado-colonialismo "hard" fabbricata dai media occidentali è la “dissidente” cubana Yoani Sanchez, la quale ha rilasciato un'intervista in cui si è dichiarata contraria alle sanzioni economiche che gli USA impongono a Cuba, ma non perché queste colpiscano la popolazione, bensì, ovviamente, solo perché favorirebbero il regime castrista consentendogli di atteggiarsi a vittima e di mascherare la sua inefficienza produttiva. Yoani Sanchez ha peraltro ritenuto di giustificare le sanzioni come reazione alle “confische” delle proprietà statunitensi da parte del regime castrista. Anche Yoani Sanchez omette un piccolo dettaglio, e cioè che quelle “confische” riguardavano spiagge, laghi, foreste, montagne, monumenti, cioè il territorio cubano tout court, che era diventato di proprietà di compagnie commerciali “occidentali”.
Ora che la “tormentata” decisione di “salvare” la Grecia è stata finalmente presa, il Paese oggetto di "aiuto" dovrà inginocchiarsi e ringraziare per l’onore di ricevere carta in cambio di patrimoni immobiliari e di beni culturali. Il governo greco, volente o nolente, ha dovuto obbedire, poiché è stato posto nella solita alternativa di accettare una mazzetta per l’affare delle privatizzazioni, oppure di essere additato alla “comunità internazionale” come una “dittatura sanguinaria”.
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