Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Due settimane fa governo e parlamento hanno definitivamente liquidato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma questo era già stato ridotto ad un guscio vuoto, ad una norma simbolica, più di trenta anni fa, nell’autunno del 1979, quando sessantuno lavoratori della FIAT furono licenziati con generiche motivazioni di comportamento incivile. I lavoratori furono reintegrati dal Pretore, il quale aveva riscontrato nel licenziamento le caratteristiche di discriminazione sindacale previste e sanzionate dall’articolo 18. Ciononostante la direzione della FIAT reiterò i licenziamenti con altre motivazioni pretestuose, e l’FLM - l’allora sindacato unitario dei metalmeccanici - non alzò un dito. Il vicesegretario della CGIL, Ottaviano del Turco, affermò in un’intervista che gli risultava davvero difficile difendere quei lavoratori, dato che uno di loro, alla domanda di un giornalista de “La Repubblica” su cosa pensasse dell’assassinio del sindacalista Guido Rossa da parte delle BR, aveva risposto con un “mah!”.
L’articolo 18 era stato inserito nello Statuto dal ministro socialista Giacomo Brodolini con la specifica motivazione di impedire alle aziende di liberarsi dei dipendenti scomodi sul piano sindacale, ma nel 1979 era bastato lanciare su dei lavoratori il sospetto di connivenza - anche solo morale - con il terrorismo, per svuotare quella norma di contenuto.
Nell’autunno del 1979 moriva il vero articolo 18, quello nato per impedire la discriminazione sindacale - ed anche la discriminazione politica e religiosa -, ma nasceva, nella propaganda ufficiale, il mito dell’articolo 18 come difesa a tutto tondo del posto di lavoro. I padroni da quel momento furono presentati dai media come povere vittime di una favoleggiata legislazione iper-garantistica, che avrebbe proibito loro di liberarsi degli elementi in esubero e che impediva di assumere quando avrebbero potuto, per timore di non poter più licenziare. Da allora lo slogan dei governi e dei padroni diventò: più lavoro con meno diritti; e si ponevano quindi le condizioni psicologiche per l’attuale precarizzazione del lavoro.
Invece di contrastare questa propaganda ufficiale, Rifondazione comunista circa dieci anni fa pensò di assecondarla, e di avviare una controffensiva lanciando un referendum per l’estensione dell’articolo 18 anche alle aziende con meno di quindici dipendenti. In realtà l’articolo 18 non si applicava alle aziende con meno di quindici dipendenti solo perché, in quelle condizioni, sarebbe stato impossibile per il giudice stabilire se vi fosse stata discriminazione, dato che, con pochi dipendenti, il padrone avrebbe potuto facilmente giustificare un licenziamento con motivi di economia di gestione. La facoltà di licenziare per motivi economici quindi non era mai stata toccata dall’articolo 18, e perciò il referendum di Rifondazione si indirizzava su un obiettivo puramente astratto.
Il referendum di Rifondazione non raggiunse il quorum per essere ritenuto valido, come pure accadde ad un altro referendum indetto dal Partito Radicale, che si proponeva invece di abolire del tutto l’articolo 18. Va sottolineato che la Corte Costituzionale ritenne ammissibile il referendum radicale, sebbene l’articolo 18 non si riferisca a diritti del lavoratore, ma a diritti della persona e del cittadino. La Corte Costituzionale non aveva invece esitato ad affossare la legge urbanistica del ministro repubblicano Bucalossi, poiché questa aveva posto alcuni limiti alla proprietà privata; e non si trattava di limiti alla proprietà della casa di abitazione, ma agli abusi dei proprietari di patrimoni immobiliari. Coloro che sperano che la Corte Costituzionale possa bloccare queste ultime norme del governo, dovrebbero quindi ricordarsi dei precedenti, che indicano quali siano i diritti davvero prediletti dalla Corte stessa, cioè i diritti dei ricchi.
Ai primi di marzo, il quotidiano “La Repubblica” ha lanciato l’allarme sul decreto che affossava l’articolo 18 e, con quello, anche ogni possibilità del lavoratore di ricorrere al giudice. C’è forse più di una coincidenza nel fatto che si tratti dello stesso quotidiano che trenta anni fa inchiodò la sorte di un operaio della FIAT alla interiezione “mah!”, consegnandolo alla gogna delle accuse di complicità con il terrorismo. In realtà “La Repubblica”, con le sue ambigue denunce, sta oggi continuando ad alimentare il mito vittimistico dell’imprenditore con le mani legate dall’articolo 18, e quindi sta dando una mano alla guerra psicologica attuata da quel governo di cui, a chiacchiere, si dichiara oppositore. Uno degli obiettivi principali del governo non è infatti quello di abrogare un’inesistente legislazione garantistica sul lavoro, ma di far credere che ci siano oggi lavoratori garantiti da una parte e lavoratori non garantiti dall’altra, e che i non garantiti siano danneggiati proprio dalle eccessive garanzie di cui godono gli altri lavoratori.
Il problema è che la normativa che è stata oggetto di attacco da parte del governo non riguarda i diritti del lavoro, ma proprio quelli che nella propaganda ufficiale vengono chiamati pomposamente i diritti dell’uomo e del cittadino. Con le attuali norme infatti un contratto privato di lavoro diviene più vincolante della legge, e persino il giudice è tenuto ad osservare questa priorità. Inoltre più nulla impedirà di licenziare un lavoratore solo per le sue convinzioni politiche o religiose.
Non si è trattato quindi per il governo di limitare semplicemente i diritti del lavoratore, ma di stabilire che il lavoratore cessa di essere un cittadino. Non è una novità dal punto di vista storico, poiché due secoli fa in due Paesi-faro delle libertà occidentali, come la Francia e la Gran Bretagna, la condizione del lavoratore era inquadrata in termini giuridici di servitù e non di cittadinanza. Il Codice Civile napoleonico sanciva l'inferiorità morale dell'operaio rispetto al padrone in ogni lite giudiziaria, mentre in Gran Bretagna l'associazione operaia era considerata alla stregua di un reato di cospirazione e punita con l'impiccagione. In Inghilterra la risposta dei lavoratori fu il luddismo, la distruzione delle macchine, e la storiografia ufficiale, compresa quella marxista, continua ancor oggi a diffondere la fiaba che i luddisti erano ex artigiani che si opponevano al progresso tecnologico; una fiaba che non ha alcun riscontro nei documenti giudiziari dell'epoca, ma che è diventata un luogo comune intoccabile per puro pregiudizio antioperaio.
C’è una sorta di ironia nel fatto che l’11 febbraio, mentre il governo italiano stava per liquidare i diritti umani e civili dei lavoratori, i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL erano impegnati invece a firmare un appello congiunto per la difesa dei diritti umani in Iran. Un analogo appello, per la "democrazia" in Iran, lo lanciava negli stessi giorni il quotidiano "il Manifesto". La violazione dei diritti dell’uomo deve riguardare sempre gli “altri”, gli “Stati Canaglia”, le “dittature”, non può mai coinvolgere un Paese del cosiddetto Occidente. Tutto questo mentre, a pochi chilometri da noi, in uno Stato inventato e pattugliato dalla NATO, il Kosovo, un governo filo-NATO, composto da trafficanti di droga e armi, pratica sistematicamente - e con l'avallo della NATO - l'assassinio preventivo di ogni possibile oppositore. Anche il fatto che l'oppio che passa per il Kosovo, controllato dalla NATO, sia stato coltivato nell'Afghanistan, occupato dalla NATO, costituisce una mera coincidenza che non intacca per niente il mito dell'Occidente.
I sindacati confederali preparano una giornata di sciopero contro queste ultime norme del governo sul non-diritto al lavoro ed alla cittadinanza, e chiamano i lavoratori alla mobilitazione. A parte il fatto che CISL e UIL hanno già fatto capire che sono pronte ad ingoiare tutto se il governo si degnerà di invitarle ad una “trattativa tra le parti sociali”, inoltre questo appello alla mobilitazione contiene, di per sé, quello che l’antropologo culturale Gregory Bateson chiamava un “doppio vincolo”, cioè un comando contraddittorio. Se i lavoratori non risponderanno alla mobilitazione, sembrerà che avallino le scelte del governo, ma, se aderiranno allo sciopero, essi contribuiranno a riportare la questione alla “normalità” di una qualsiasi vertenza sindacale.
Ormai il mito della superiorità morale del sedicente Occidente - che ha inventato i Diritti Umani solo per violarli impunemente - pesa sulle lotte sindacali e le orienta in vicoli ciechi. Continuare a cercare le cause delle sconfitte operaie solo in fabbrica diventa un modo comodo per fare dell'antioperaismo.
Quando Enrico Berlinguer portò il Partito Comunista ad accettare la NATO, privò la lotta operaia di ogni caratteristica di anti-sistema, isolando gli operai in fabbrica e condannandoli alla sconfitta. Accettando la NATO, si accettava di conseguenza anche la santificazione dell'Occidente e di tutto il suo sistema affaristico-criminale. Fu infatti lo stesso Berlinguer che, nel 1977, votando in parlamento la legge per la riconversione industriale, permise allo Stato di versare alla FIAT i sessantamila miliardi di lire che le servirono per attuare i licenziamenti di massa del 1980; licenziamenti di massa che erano stati però preceduti e preparati dai licenziamenti "mirati" del 1979.
NARCOCOLONIALISMO
La cosiddetta lotta al narcotraffico è una vera benedizione per le strategie di dominio degli USA. Com´è noto, il 30 ottobre 2009 è stato firmato un accordo tra Washington e Bogotà che prevede la concessione in Colombia di sette basi militari agli Stati Uniti. In cambio gli USA sborseranno 46 milioni di dollari al governo Uribe a sostegno dell´accordo militare per contrastare il narcotraffico, ma anche in funzione antiguerriglia. In realtà questi soldi serviranno all´allestimento delle basi e all´acquisto di armamenti di produzione statunitense, ma comunque saranno sicuramente ripagati dall´aumento del traffico di droga su cui da sempre mettono le mani le cosche governative USA. Il risultato più importante sembra essere quello del controllo di sette basi militari - tre delle quali sotto la gestione esclusiva degli USA - proprio sul territorio colombiano.
La base più importante, una "infrastruttura operativa avanzata", dovrà essere allestita a Palanquero, dove già esiste una cittadella in grado di alloggiare più di 2000 uomini, una pista di volo di 3500 metri e due hangar in grado di ospitare una sessantina di cacciabombardieri con un sistema di radar molto sofisticato. La posizione strategica della base, consentirebbe ai cacciabombardieri USA di raggiungere qualsiasi punto dell´America Latina ad esclusione della Terra del Fuoco. Gli USA possiedono installazioni militari anche a Puerto Rico, in Salvador, in Honduras, Cuba, Aruba, Curaçao, Perù, Paraguay.
Anche in Messico la "lotta al narcotraffico" (ovvero il controllo e l´incremento dei flussi di traffico degli stupefacenti) comincia a dare i suoi frutti: il governo di Felipe Calderon dovrebbe firmare un piano per sconfiggere il principale cartello di narcotrafficanti. Il piano, manco a dirlo, è stato presentato da una compagnia militare privata statunitense la Jax Desmond Worldwide, una compagnia di killer sul modello della famigerata Blackwater (cfr. mpc n°10). Gli uomini dell´azienda dispongono ovviamente di elicotteri Apache e di altre armi micidiali, e vengono assunti tra gli ex-soldati dell´esercito israeliano e gli ex-membri delle forze speciali statunitensi. Il capo della compagnia ha però precisato di volere dal governo messicano carta bianca sulle sue operazioni: "...quando lavoriamo non collaboriamo con le forze locali né con nessun altro."
In Afghanistan la produzione di oppio - che nel periodo talebano languiva intorno alle 185 tonnellate annue - con la gestione statunitense ha superato ampiamente le 8000 tonnellate ed è stata integrata con la produzione di cannabis. Lo stesso governo Karzai - diretta emanazione degli occupanti USA - è formato quasi esclusivamente da narcotrafficanti, e l´Afghanistan rimane il maggior produttore di oppio a livello mondiale (cfr. mpc n°14)
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