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"Per la propaganda del Dominio, nulla può giustificare il terrorismo; in compenso la lotta al terrorismo può giustificare tutto."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 26/11/2009 @ 01:41:42, in Commenti Flash, linkato 1453 volte)
Mentre in Italia si sta completando il progetto della rapina delle risorse idriche, in Israele si è da poco conclusa la 5° edizione del Watec, la fiera internazionale delle risorse idriche e del controllo ambientale, cui i rappresentanti delle cosche governative ed affaristiche italiane non potevano mancare. Le iniziative della fiera riguardano mirabolanti tecnologie su irrigazione avanzata, dissalazione, gestione dell’acqua e controllo dei flussi, qualità dell’acqua ecc.
In realtà, l’unica, vera tecnologia che il governo israeliano potrebbe esportare è quella della rapina a mano armata delle risorse idriche: nel 1967 si accaparra le risorse di Gaza, della Cisgiordania e del Golan. Nel 1978 invade il Libano meridionale per controllare il fiume Litani, anche se nel 2000 deve rinunciare a causa della resistenza di Hezbollah. Il controllo delle alture del Golan – chiamato il castello d’acqua - e delle sue risorse idriche permette di espellere la popolazione araba della zona (quasi centomila persone). Anche se solo il 3% del bacino del fiume Giordano si trova in territorio israeliano, Israele capta e controlla il 75% delle sue acque. Dunque la rapina dell’acqua avviene anche attraverso il controllo statale: nel 1967 sono state promulgate due leggi, la prima: divieto di costruire qualsiasi nuova infrastruttura idraulica, perforazione e pozzi senza autorizzazione, la seconda: confisca delle risorse di acqua che sono considerate proprietà dello “Stato di Israele”. Per applicare la legge sull’acqua, Israele usa i decreti militari. Anche il controllo sull’estrazione dell’acqua è rigoroso: il limite imposto per l’estrazione tramite perforazione è di 90 milioni di mc all’anno per 400 villaggi palestinesi, mentre in pochi anni la quantità destinata alle colonie è aumentata del 100%. D’altro canto i pozzi palestinesi non possono superare la profondità di 140 metri mentre quelli israeliani possono arrivare fino a 800 metri. Il consumo d’acqua medio di un israeliano è di 357 mc all’anno, mentre quello di un palestinese è di 84,6. Le due società Mekorot e Tahal che gestiscono le risorse idriche a esclusivo vantaggio dei coloni ebrei, distribuiscono poi l’acqua a prezzo maggiorato a quegli stessi palestinesi cui l’hanno rubata.
In realtà, in Italia la privatizzazione arriva solo a completare la manovra a tenaglia sulle risorse idriche. Pur avendo grandi quantità di risorse naturali, l’Italia ha un consumo pro capite di acqua in bottiglia vicino a quello degli Emirati Arabi. Attraverso campagne mediatiche martellanti, gli italiani sono stati convinti e costretti ad acquistare l’acqua in bottiglia col risultato di offrire su di un piatto d’argento un affare miliardario alle solite multinazionali. In Italia sono presenti 321 marchi di acqua in bottiglia, quasi esclusivamente bottiglie di plastica, con una presenza massiccia dei giganti del settore Nestlé (Svizzera) e Danone (Francia), che riescono a far pagare l’acqua in bottiglia 100 o 200 volte in più di quella del rubinetto. Ma visto che c’è ancora qualcuno che si ostina a bere l’acqua pubblica, ecco arrivare la privatizzazione che finalmente sanerà questo scandalo.
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Di comidad (del 26/11/2009 @ 01:43:55, in Commentario 2009, linkato 1499 volte)
Il maggiore quotidiano di “opposizione”, “La Repubblica”, ci ha fatto immediatamente capire da che parte stia sulla questione della privatizzazione dell’acqua, allorché, il giorno dopo l’approvazione del decreto legge di privatizzazione da parte del senato, ha dedicato il titolone di prima pagina alla vicenda dell’estradizione o meno di Cesare Battisti dal Brasile. Il terrorismo, o presunto tale, rappresenta da sempre per la disinformazione ufficiale il principe dei diversivi, così “La Repubblica” ha indicato chiaramente ai propri lettori quali siano le sue vere priorità.
Comunque si può esser certi che in futuro i dibattiti mediatici sulla privatizzazione dell’acqua non mancheranno, dato che non c’è nulla, come il “dibattito”, che consenta di trasformare tutto in scontro di opinioni, per cui, alla fine, un’opinione varrà l’altra. In particolare sarà interessante osservare il modo in cui affronterà il tema la cosiddetta “informazione alternativa” alla Santoro o alla Gabanelli, magari in trasmissioni che si faranno passare come contrarie alla privatizzazione. Un bel collegamento con Sandro Ruotolo, inviato in qualche sperduto paesino della sperduta Calabria, da dove una folla di cittadini scomposti e vocianti si lamenterà di essere da decenni senz’acqua, nonostante che da loro l’acqua sia pubblica, perciò qualche cittadino griderà, con il suo accento esotico, “ben venga la privatizzazione, se servirà a portarci l’acqua”. Lo spettatore progressista, educato al razzismo antimeridionale, constaterà ancora una volta che razza di reazionari sono i meridionali, mentre in studio, il povero Alex Zanotelli, ospite della trasmissione in quanto attuale alfiere dell’anti-privatizzazione, si troverà incastrato, costretto a prendere atto che il “popolo” non è con lui. A perfezionare la mistificazione, il giorno dopo i soliti portavoce del governo accuseranno Santoro di essere un “fazioso” e ne chiederanno ancora una volta la rimozione.
Qui non si tratta di profezie o di ritorni da viaggi nel futuro, ma semplicemente di copioni già visti. La drammatizzazione mediatica svolge appunto la funzione di sdrammatizzare le alternative, così che, in questa discussione fine a se stessa, anche le denunce degli anti-privatizzatori verranno usate come un rumore di fondo utile a creare assuefazione ed a far passare come “normale” il monopolio privato dell’acqua. Il dibattito democratico serve appunto ad insegnarti che se di una cosa puoi discutere tanto, in fondo quella cosa non è poi così importante. Insomma, se il movimento contrario alla privatizzazione dell’acqua vuole arenarsi, la via maestra è proprio quella di impantanarsi nella palude del dialogo con le finte opposizioni. Il punto è che i privatizzatori non hanno bisogno di convincere che il privato sia meglio del pubblico, ma gli basta far credere che le due scelte siano sullo stesso piano, i disservizi del pubblico da una parte e i disservizi del privato dall'altra; se poi si riesce ad insinuare l'idea che lo Stato non ha i soldi per riparare le condotte idriche e che quindi la privatizzazione costituisce uno stato di necessità, allora è fatta. In realtà lo Stato che non tira fuori i soldi per riparare le condotte, è poi lo stesso Stato pronto a dare ai privati i soldi per gestire il business dell'acqua. Finché la banale evidenza che le privatizzazioni le paga il contribuente non sarà al centro della discussione, ogni dibattito sarà sempre indirettamente a favore delle privatizzazioni.
Mentre le trasmissioni di Santoro sul tema acqua ce le dobbiamo per il momento immaginare, già sappiamo invece come la pensa la Gabanelli, che si è occupata della privatizzazione dell’acqua il 22 novembre, spostando la discussione sulla democrazia ideale, propinandoci perciò una lamentela sul parlamento umiliato dall’abuso dei decreti legge. Ma se è vero che per privatizzare l’acqua il governo ha agito con uno dei suoi soliti colpi di mano, è altrettanto vero che l’opposizione non ha fatto ricorso a nessuno degli espedienti regolamentari per rallentare il decreto.
Il Partito Democratico ha avuto poi la faccia tosta di presentare come un parziale risultato il fatto di aver ottenuto una dichiarazione di principio secondo cui l’acqua rimane un bene pubblico. Il falso è smaccato, dato che questa astratta dichiarazione si trovava già nell'articolo 23bis della Legge 133/2008 del ministro Tremonti, il quale, obbedendo alla direttiva del Fondo Monetario Internazionale, aveva posto le basi della privatizzazione lo scorso anno; e inoltre in nessun Paese in cui l’acqua in precedenza era stata privatizzata si è affermato che l’acqua in quanto tale fosse data ai privati, ma solo la sua distribuzione. D’altro canto, se raccogli un secchio d’acqua piovana per irrigare il tuo orticello, stai violando il monopolio della distribuzione dell’acqua, al quale si attribuisce anche la funzione di tutela della igiene pubblica, minacciata dal tuo secchio, forse infetto. Infatti nei Paesi dell’America Latina in cui la distribuzione dell’acqua era stata privatizzata a favore delle multinazionali, risultava proibito persino raccogliere acqua piovana. Tra l’altro in questi Paesi si sono svolte - e ancora si svolgono - lotte durissime per tornare agli acquedotti pubblici.
Da parte del PD è mancata l’osservazione più ovvia, e cioè che sarebbe impossibile per i Comuni privatizzare gli acquedotti rimanendo nella legalità, perché anche il più fatiscente degli acquedotti costituisce comunque una infrastruttura di un valore tale che risulterebbe impensabile per qualsiasi privato, compresa una multinazionale, di poterla acquistare ad un prezzo congruo. Anche solo il mantenimento in efficienza di una tale infrastruttura comporta costi talmente proibitivi che nessun privato sarebbe interessato ad acquisirla in quanto tale.
Non sarebbe possibile vendere regolarmente gli acquedotti, ma è possibile solo rubarli. Il furto viene perciò perpetrato attraverso l'inghippo di privatizzare la gestione della distribuzione mantenendo pubblica la rete, ovvero lo Stato e i Comuni tirano fuori i soldi per mantenere le infrastrutture in quanto ne sono proprietari, mentre il privato incamera i profitti. Quindi la funzione del privato è esclusivamente parassitaria e illegale. Quella norma che il PD ha presentato come un suo successo costituisce la base di tutto l'inganno: la rete idrica rimane pubblica, cioè a spese del contribuente, mentre le crescenti bollette degli utenti verranno pagate ad un privato che non tira fuori un soldo per mantenere in efficienza gli acquedotti. E queste non sono ipotesi, ma la cronaca di quanto accaduto laddove la gestione idrica sia stata privatizzata, come ad Arezzo.
Il PD, come anche “La Repubblica”, rappresenta interessi affaristici favorevoli alle privatizzazioni, dato che le imprese organizzate nella Lega delle Cooperative non vedono l’ora di partecipare alla spartizione delle infrastrutture idriche ed al relativo business. Sia la Lega delle Cooperative che la Compagnia delle Opere - legata a Comunione e Liberazione - agognavano da anni di partecipare all’affare, anche se sanno in anticipo che la parte del leone la faranno le multinazionali.
Si ricorre spesso al luogo comune secondo il quale ci sarebbe da una parte un capitalismo “cattivo” delle banche e delle multinazionali, e dall’altra parte un capitalismo “dal volto umano”, composto dallo sforzo produttivo di tanti piccoli e medi imprenditori. In effetti non esiste nessun “capitalismo”, né buono né cattivo, ma solo un affarismo privato assistito dallo Stato; ed all'interno di questo affarismo si verificano diversi gradi di capacità di vampirizzare la spesa pubblica. Quindi in democrazia esiste un partito unico degli affari, che non prevede l’esistenza di vere opposizioni.
La piccola e media impresa organizzata è una sanguisuga della spesa pubblica, e non a caso oggi la piccola e media impresa organizzata, tramite il controllo che esercita sui dipendenti, costituisce il maggiore serbatoio di voto organizzato a disposizione del sistema politico. Il fatto che la piccola e media impresa sia spesso vittima della prepotenza delle multinazionali e delle banche, non elimina questo dato di fondo. È vero che la piccola e media impresa può avere interesse ad uno sviluppo del mercato interno, e quindi non opporrà mai ai miglioramenti salariali e normativi dei lavoratori degli ostacoli paragonabili a quelli delle multinazionali, che esigono il costo del lavoro più basso possibile. È però altrettanto vero che la piccola e media impresa organizzata obbedisce allo stesso richiamo della foresta delle multinazionali, e quindi non vuole rimanere fuori del paradiso delle privatizzazioni.
La faccia pacioccona di un Bersani, la sua “comprensione” pelosa verso i diritti del lavoro, non devono far dimenticare che, quando si tratti di privatizzare, egli sarà sempre complice e battistrada delle multinazionali, anche se si tratta di partecipare solo alle briciole dell’affare.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


21/11/2024 @ 17:41:08
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