Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’assegnazione del premio Nobel per la pace ha costituito per Barack Obama più un motivo di imbarazzo che un trionfo personale, dato che è capitata proprio nel momento in cui il mito Obama aveva bisogno di essere sostenuto attraverso silenzi ed omissioni, piuttosto che con esaltazioni altisonanti.
Non era il caso di ricordarsi che la prigione di Guantanamo è ancora lì, e non si intravede ancora una data realistica per la sua chiusura; e non era nemmeno opportuno fornire l’occasione a qualcuno per illustrare le statistiche sui civili morti ammazzati dalle forze armate USA nelle tante guerre che Obama ha fatto sue, dall’Afghanistan alla Somalia. Persino le guerre che Obama ha ufficialmente ripudiato, come quella in Iraq, sono in effetti in pieno svolgimento, ad onta dei silenzi-stampa.
La palese assurdità dell’assegnazione di un premio per la pace a Obama, ha consentito, una volta tanto, all’evidenza di avere la meglio sul fumo della propaganda. Tanto più che, in questo emergere dell’evidenza, hanno influito i rancori e le invidie dei tanti potenti che avrebbero aspirato al riconoscimento.
Non ci riferiamo alle tante battute sorte nel frattempo, del tipo che Berlusconi avrebbe meritato anche lui il premio Nobel, magari per l’economia, per aver insegnato alle casalinghe come si fa la spesa; oppure che avrebbe meritato il premio Nobel per la Medicina, in considerazione del numero record di farmaci che è costretto ad assumere per evitare di decomporsi.
In realtà, al di là dei complimenti ufficiali di rito, è evidente, ad esempio, il disappunto del Vaticano, che deve constatare che ben quattro presidenti USA sono stati insigniti del Nobel, a fronte di nessun papa che abbia ricevuto il premio. Neppure a Woytila era mai pervenuto il riconoscimento ufficiale del Nobel per i suoi meriti anticomunisti.
Ma i commenti più sarcastici sono provenuti dagli stessi Stati Uniti, dove si è più consapevoli della inconsistenza del personaggio. Obama non solo non ha messo fine a nessuna guerra, ma non ne ha neppure iniziata nessuna di nuova; cioè l’attuale presidente non può accreditarsi come pacifista neppure per il fatto di aver scatenato “una guerra che metterà fine a tutte le guerre”, in base allo slogan che riuscì a far meritare la fama di pacifista, ed il relativo premio Nobel, al presidente USA Woodrow Wilson.
I giornali repubblicani sono stati ovviamente i più severi in questa circostanza nei confronti dell’attuale presidente USA; ma è significativo che nessun commentatore, sia ostile che favorevole, lo abbia richiamato all’opportunità di respingere cortesemente il premio. Il fatto è che c’è di mezzo il milione di euro di premio che ha impedito di affrontare l’evento con la sufficiente lucidità.
Un americano integrato non riesce a guardare laicamente al denaro, e perciò non concepisce nemmeno l’idea di poter rimandare indietro dei soldi, anche se sembrerebbero pochi secondo gli standard della ricchezza (ma non lo sono, dato che la ricchezza consiste proprio nell’arte di arraffare il poco ovunque lo si possa arraffare). È vero che Obama ha già dichiarato che verserà il denaro del premio in beneficenza, ma ciò, nel gergo ufficiale, significa solo che li devolverà a qualche fondazione no-profit che finanzia le sue campagne elettorali.
In effetti, la scelta di respingere cortesemente il premio avrebbe costituito per Obama l’unico modo di rivolgere a proprio favore una situazione che si sta risolvendo invece in un vero e proprio siluro propagandistico contro di lui.
Un simile atto di umiltà, realismo, e anche di dignità, gli avrebbe permesso di accreditarsi e di rifarsi una verginità anche presso i tanti ex “obamaniaci” che cominciano ad accumulare scetticismo nei suoi confronti. In questo caso invece Obama è cascato nel meccanismo automatico di compiacere gli adulatori, ed anche nel riflesso condizionato secondo cui i soldi non si rifiutano mai.
Ciò dimostra che le tecniche della propaganda ufficiale sono puramente coattive e ripetitive, basate su standard e schemi preconfezionati, e non c’è nessuna capacità di interagire e di giocare sul contropiede. La potenza mediatica, l’occupazione di tutti gli spazi comunicativi, l’emarginazione delle voci di dissenso, sono la chiave di tutto il sistema di propaganda del dominio; non c’è perciò alcuno spazio per l’improvvisazione di fronte all’imprevisto; tutto è meccanico e sin troppo prevedibile.
Certo, Obama non poteva personalmente prevedere che la piaggeria ed il servilismo degli Europei giungessero al punto di ridicolizzarlo, ma questo è appunto il limite della potenza, che vive avvolta nella propria propaganda e arriva a confonderla con la realtà tout court.
Anche i più sospettosi devono respingere l’ipotesi che vi sia stata malizia o sarcasmo nell’assegnazione del Nobel a Obama, dato che tutto ciò che proviene dagli USA è davvero considerato sacro in Europa. Persino Bush è riuscito ad avere la sua corte di adulatori in Europa, al punto da far ritenere che gli sarebbe bastato essere un po’ meno scortese per ottenere anche lui una santificazione.
A conferma della piatta e scontata ritualità che ormai presiede alle scadenze della propaganda ufficiale, vi è anche la circostanza che il premio Nobel per la Letteratura sia stato assegnato ad una scrittrice tedesca di origine rumena, divenuta nota per aver narrato crimini - o presunti tali - del “dittatore” Ceausescu. Alla cerimonia della consegna dei premi Nobel, tutti i personaggi della fiaba mediatica saranno quindi al loro posto, sia i santi che i diavoli; sia il santo Obama, presidente della “più grande democrazia del mondo”, sia il fantasma del cattivissimo dittatore comunista, il diavolo Ceasescu.
Qualcuno magari ricorderà che prima della caduta del Muro di Berlino, il dittatore rumeno Ceasescu era ritenuto dai politici e dai media del sedicente “Occidente” un interlocutore affidabile, a causa della sua posizione di socio discolo e disubbidiente del Patto di Varsavia (Ceasescu fu l’unico del blocco socialista orientale a condannare l’invasione sovietica di Praga nel 1968). Fu proprio durante la fase finale della dittatura di Ceasescu che la Romania cominciò a diventare una colonia del Fondo Monetario Internazionale, tanto che la pretesa “rivoluzione democratica” del 1989 costituì solo la formalizzazione di quel colonialismo.
Ma sarà tutto inutile. Rivangare le magagne passate dell’Occidente, servirà solo a riaffermare che “adesso” è tutta un’altra cosa. Ed è un “adesso” che ha il crisma dell’eternità.
Lunedì ultimo scorso i giornali ci hanno tempestivamente informato circa una operazione anticamorra dei Carabinieri nel comune di Giugliano, in provincia di Napoli. Sulla storica Via Appia è sorto un quartiere abusivo che avrebbe violato i vincoli paesaggistici dell’area, ma - si badi bene - non i vincoli aeronautici, poiché le abitazioni sono state denominate “Puff Village” a causa dei bassi soffitti, così progettati proprio per permettere il sorvolo degli aerei che decollano dalla vicina base NATO.
Ma quale base NATO?
È la base NATO di Giugliano, sorta in tutta fretta nel 2008, e di cui la stampa nazionale non ci aveva dato finora nessuna notizia; solo un accenno sulla stampa locale, in seguito ad una lettera di lamentela rivolta al governo Berlusconi, da parte del sindaco berlusconiano di Giugliano.
Il fantasma della base NATO di Giugliano si è quindi materializzato per la prima volta sui media nazionali nell’ambito di una delle consuete notizie sulla camorra in Campania. L’opinione pubblica, che non aveva mai visto nascere e crescere la base militare in oggetto, se la ritrova di colpo davanti adulta e operativa, ed ora viene costretta ad attribuire la sorpresa ad un propria distrazione, o ad un vuoto di memoria. Per non turbare le menti dei lettori, già dal giorno dopo nessun giornale ha più fatto cenno all'esistenza della base.
Non è bene che i cittadini sappiano che i governi possono espropriare un intero territorio senza interpellare il Parlamento o le amministrazioni locali, tutto nel più assoluto silenzio, e ciò in ossequio ad un Trattato Internazionale firmato nel 1949, il Patto Atlantico, altrimenti detto NATO.
Il neonato giornale “Il Fatto Quotidiano” ha preso l’iniziativa di pubblicare la Costituzione italiana a puntate, ma sarebbe stato più realistico, per far capire quali norme contino effettivamente in Italia, pubblicare il testo del Trattato della NATO, o quello di Maastricht, e magari anche quello del Trattato di Lisbona, che sta per entrare in vigore. Del resto la nostra Carta Costituzionale non offre appigli a chi voglia opporsi allo strapotere dei Trattati Internazionali, per il quale il Parlamento può essere scavalcato, o ridotto a mera macchina applicativa. La Costituzione è infatti stata concepita in funzione dell'adesione a due Trattati Internazionali: i Patti Lateranensi e il Trattato di Pace della seconda guerra mondiale, perciò anche ad uno strumento addomesticato come il referendum abrogativo non è concesso di mettere in discussione i Trattati Internazionali. I Costituenti dovevano essere a conoscenza del fatto che nell'800 un Paese come la Cina, formalmente sempre indipendente, era stato ridotto ad una colonia dalla Gran Bretagna attraverso l'imposizione di Trattati militari e commerciali, ma, evidentemente, tra le libertà costituzionali non è prevista la libertà dal colonialismo.
Una legge criminale di Berlusconi è stata bloccata dalla Corte Costituzionale, ma tra i crimini berlusconiani andati a segno, il giornale “Il Fatto Quotidiano” avrebbe potuto elencare la nascita della suddetta base di Giugliano, ed anche la copertura con il segreto militare (articolo 682 del Codice Penale) di tutte le discariche civili di rifiuti della Campania, in base all’articolo 2 comma 4 della Legge 123/2008.
Per par condicio, bisognerebbe però informare anche sul fatto che nel 1999 fu il governo D’Alema, in ossequio ai soliti trattati militari, a cedere alla U.S. Navy il cinquanta per cento delle banchine del Porto di Napoli, riducendo in proporzione il traffico commerciale del porto a favore di quello militare. Già da molto prima del 1999, gli USA disponevano però di un molo per sommergibili nucleari nel Porto di Napoli, oltre che di numerose banchine sotto il proprio esclusivo controllo.
Negli anni successivi al 1999, il numero delle banchine sotto controllo statunitense è ancora aumentato, ed ora si è ben oltre il cinquanta per cento, tanto che è crollato il volume del traffico commerciale legale, mentre si è incrementato a dismisura quello illegale - droga, armi e rifiuti tossici, ma non solo - che avviene all’ombra del segreto militare. Sempre all’ombra del segreto militare, i rifiuti tossici sbarcati nel Porto di Napoli possono essere tranquillamente smaltiti nelle discariche civili del territorio campano, nelle quali, dall’agosto del 2008, nessun rilevamento è più possibile da parte di strutture sanitarie o associazioni ambientaliste, pena l’arresto.
Anche D’Alema agì - anzi obbedì - a suo tempo senza avvisare nessuno, tanto che oggi tutta la Campania è diventata una colonia militare statunitense all’insaputa dei cittadini italiani, mentre quelli campani conoscono la situazione solo caso per caso, laddove si trovino a viverla. “Nonostante” le servitù militari, il territorio campano appare sotto il controllo di cosche criminali, tanto più forti e radicate laddove sono più presenti le forze armate USA. Ma solo in base ad un fazioso pregiudizio antiamericano, una tale fortuita coincidenza potrebbe far sospettare un collegamento tra forze armate statunitensi e criminalità organizzata locale. Ed è anche una pura coincidenza il fatto che gli appalti per la costruzione delle basi, e delle relative abitazioni dei militari americani, siano stati affidati a ditte controllate dalla criminalità organizzata, così come è stato accertato dalla Direzione Distrettuale Antimafia.
La disciplina occidentalista pretende che tutti scattino sull’attenti per fremere di indignazione al suono del vituperato termine di “dittatori”, mentre nessun fremito si avverte di fronte all’espressione: “Trattato Internazionale”. Eppure oggi la vera dittatura passa di lì.
Tratto dal sito del Corriere del Mezzogiorno del 19/10/2009
BUFERA A GIUGLIANO, CENTRO A NORD DI NAPOLI: COINVOLTI ANCHE TRE EX SINDACI
Le ruspe dei clan hanno sfregiato l'Appia per costruire quartiere-monstre: 38 avvisi
Lottizzazione abusiva con la complicità del comune: sequestrato parco da 98 appartamenti e un albergo
NAPOLI - Lottizzazione abusiva, falsi in atto pubblico e truffa aggravata dalle finalità dell'agevolazione camorristica dei clan Mallardo e Nuvoletta. Un'ombra pesantissima si abbatte su almeno due amministrazioni comunali di Giugliano, grosso comune da centomila abitanti alle porte di Napoli, dove la Guardia di Finanza della locale compagnia (col tenente colonnello Luigi Migliozzi e il capitano Michele Ciarla) ha sottoposto a sequestro preventivo un intero parco da 98 appartamenti e un albergo per un valore complessivo di 20 milioni di euro. Immobili realizzati a mezzo di concessioni edilizie che il comune di Giugliano non avrebbe dovuto rilasciare poiché il complesso da edificare era in contrasto con i piani urbanistici. E non solo perché in quella zona, siamo nella frazione di Varcaturo, passava la via Appia orrendamente sfregiata ma perché dietro quegli edifici c'era la mano di due dei più potenti clan del Napoletano che gli amministratori avrebbero così agevolato. Stando alle ricostruzioni degli investigatori, i rilievi fotografici aerei della zona erano stati modificati in maniera tale da mostrare che la strada romana risultasse al di fuori della zona destinata all’insediamento abitativo. Quello storico paesaggistico, però, non era l’unico vincolo cui è sottoposta l'area. Ne esiste anche uno di natura aeronautica: l’area è normalmente sorvolata da aerei militari della vicina base Nato; le abitazioni sono così state realizzate diminuendo l’altezza dei soffitti, da qui il nome dell’operazione «Puff Village».
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