Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nelle Newscomidad del 21 dicembre 2006 avevamo scritto a proposito dei rapporti tra NATO e traffici illegali:
“Questa non può essere ritenuta una verità nascosta, ma solo una verità emarginata, dato che risulta dalla lettura incrociata degli stessi dati ufficiali. Anche se però questa verità venisse in primo piano, ciò verrebbe subito riassorbito dalla propaganda colonialistica: Roberto Saviano - o chi per lui - pubblicherebbe un altro best-seller per dimostrare che è stata l'onnipotente Camorra a riuscire ad
infiltrare e corrompere persino la base NATO di Bagnoli, e troverebbe un'opinione pubblica disposta a credergli, dato che il pregiudizio razziale non si fa smuovere da nessuna evidenza.”
La nostra previsione era stata in parte confermata, poiché su “la Repubblica” del 6 luglio 2007 lo stesso Roberto Saviano scriveva:
“Il pool dell’antimafia napoletana coordinato da Franco Roberti è riuscito anche a scoprire che la Capone era riuscita ad avvicinare il colonnello dell’aeronautica militare Cesare Giancane, direttore dei lavori al cantiere Nato di Licola. Il clan Zagaria infatti – secondo le accuse – è riuscito persino a lavorare per il Patto Atlantico edificando la centrale radar posta nei pressi del Lago Patria, punto fondamentale per le attività militari NATO nel Mediterraneo.”
Il titolo dell’articolo di Saviano su “La Repubblica” del 6/7/07 non riguardava però lo scoop dei rapporti tra NATO e camorra, ma proclamava : “Il clan dei casalesi conquista il centro di Milano”.
Insomma, i casalesi sono stati così bravi da mettere sotto anche la NATO, ma la vera notizia è che hanno preso il centro di Milano. Vuoi mettere.
La strategia seguita è stata dunque quella della minimizzazione o addirittura del silenzio, anche in questi ultimi giorni, quando la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha scoperto che persino le villette per i militari della NATO al Lago Patria - non lontano da dove sorgerà la nuova base NATO di Giugliano - erano state costruite dai casalesi.
I casalesi hanno in pugno la NATO: i media non hanno dedicato spazio a questa emergenza planetaria; ed hanno ragione, perché è molto più realistico pensare che sia la NATO a tenere in pugno la criminalità organizzata in Campania come in Kosovo, e questa non è una notizia da diffondere.
L’invasione della Somalia da parte dell’Etiopia è stata direttamente promossa dal governo degli Stati Uniti, per conto delle multinazionali interessate al petrolio somalo. Gli USA si sono anche attivamente impegnati nel conflitto, e l’U.S.Air Force ha attuato per mesi i soliti bombardamenti a tappeto sulla popolazione civile con le solite migliaia di vittime. Ma, dopo un periodo di continue ritirate, la resistenza somala ha cominciato a riguadagnare terreno, riuscendo a riprendersi gran parte del territorio perduto.
Questa situazione è stata finalmente resa nota dai media euro-americani, ma solo filtrandola con un’altra “notizia” secondo cui, in una città riconquistata dalla resistenza, una donna adultera sarebbe stata lapidata per la sentenza di un tribunale islamico. I media, ovviamente, non si sono minimamente preoccupati di verificare direttamente la notizia, e ci si è accontentati di riferire che l’episodio sarebbe stato narrato da non meglio precisati “testimoni oculari”. Inoltre, in base ad un’arbitraria proprietà transitiva, la resistenza somala è stata etichettata nel suo insieme come “ribelli islamici”, e questi, a loro volta, sono stati identificati automaticamente come una cellula di Al Qaeda.
Nella diffusione della notizia si è richiamato il ruolo di Amnesty International, a cui alcuni giornalisti somali avrebbero fornito anche l’età della ragazza lapidata, età che è stata poi corretta dalla stessa Amnesty International in base ad informazioni che le sarebbero state fornite successivamente dallo stesso padre dell’uccisa.
È chiaro che qualcosa non torna: dei giornalisti avrebbero passato l’informazione ad Amnesty International, che poi l’ha passata ad altri giornalisti. Perché i giornalisti non hanno passato semplicemente l’informazione ai loro colleghi?
E poi se il padre della ragazza si espone per parlare con Amnesty International, perché non lo può fare anche con la stampa?
Ormai è abbastanza diffusa la consapevolezza che quando c’è una guerra, delle apposite agenzie di guerra psicologica svolgono la funzione di diffondere false notizie sul nemico, quindi ogni informazione che proviene dai campi di battaglia va presa con le molle.
Ci sono inoltre recentissimi precedenti che consigliano prudenza. Nel 1991, durante l’invasione irachena del Kuwait, i media euro-americani riportarono la notizia secondo cui i soldati iracheni irrompevano negli ospedali kuwaitiani per rubare le incubatrici, strappandovi i neonati che vi erano contenuti. A distanza di qualche mese, la notizia fu riconosciuta come falsa, ma ormai l’effetto era stato raggiunto, e poi la falsificazione della notizia non ebbe certo la stessa risonanza di quando era stata lanciata.
Secondo l’attuale propaganda statunitense, la resistenza somala sarebbe sotto il controllo di un’organizzazione denominata “Corti Islamiche”. Anche qui un po’ di cautela nell’accettare l’informazione è opportuna, dato che appena mezzo secolo fa i colonialisti britannici si inventarono persino il nome di un fantomatico movimento terroristico in Kenia (i “Mau Mau”), grazie al quale giustificarono uno sterminio di massa della popolazione indigena.
Sono sempre di più coloro che sanno che la funzione dei media non è di informare, ma di diffondere una propaganda funzionale agli interessi dei gruppi affaristici che possiedono i media. Soltanto chi si ostini a rimanere legato ad una concezione metafisica del giornalismo, può riuscire ad ignorare il legame organico dei media con i gruppi affaristici e con le agenzie di disinformazione dei servizi segreti.
Anche il fatto che una parola come “Islam” viene usata dai media come un segnale subliminale per indurre tutti a sospendere ogni senso critico e rendersi disposti a credere a tutto, è un dato che comincia farsi strada in parte dell’opinione pubblica.
Nella notizia della ragazza lapidata per adulterio dagli integralisti islamici occorreva perciò una mediazione in grado di fornire al tutto una credibilità che ormai l’informazione ufficiale sa di non avere. Ecco il motivo per cui appare il nome di Amnesty International, una organizzazione che ha sicuramente molti meriti, ma che non può essere ritenuta divinamente ispirata e quindi automaticamente immune da strumentalizzazioni ed intossicazioni.
Il fatto che i media si siano completamente astenuti dall’informare dei cambiamenti della situazione della guerra in Somalia, per poi svegliarsi di colpo con la diffusione della notizia di una ragazza lapidata dagli integralisti in avanzata, costituisce di per sé un elemento che induce a sospettare che si tratti di disinformazione e di guerra psicologica, e non può bastare l’icona di Amnesty International a seppellire questo legittimo sospetto.
6 novembre 2008
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