Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
A distanza di due settimane dallo sciopero generale dei lavoratori della Scuola indetto dai sindacati confederali, sui media è stata lanciata la “notizia” secondo cui a Napoli le graduatorie degli insegnanti precari sarebbero state manipolate per favorire alcuni insegnanti nell’assegnazione delle supplenze. Se dai titoli dei giornali e telegiornali - che hanno fatto pensare ad un giro di mazzette per ottenere supplenze -, si va ai dettagli della presunta notizia, ci si accorge immediatamente che si tratta di altro, e cioè del presunto ingresso di alcuni pirati informatici nei sistemi di quelli che una volta si chiamavano Provveditorati. In altre parole, è tutta una serie di supposizioni: riscontrati alcuni presunti errori nelle graduatorie, si è presunto che ciò potesse essere dovuto a incursioni esterne e si è anche supposto che potessero esservi complicità interne; dopo di che, si è presunto che dietro al tutto vi fosse un “tariffario” per consentire di accedere ai vantaggi nelle graduatorie.
In definitiva, si tratta esclusivamente di indagini in corso, considerando anche che ormai le segnalazioni di incursioni esterne nei sistemi informatici delle varie amministrazioni pubbliche rientrano nella routine.
Il punto è che occorreva una campagna mediatica utile a screditare la categoria degli insegnanti mentre si accinge ad entrare in sciopero contro il decreto Gelmini, perciò si sono montati alcuni elementi in sé non significativi, per ottenere il pretesto per poter suggestionare l’opinione pubblica. Non è un caso che la narrazione mediatica abbia collocato il “caso” a Napoli, poiché in tal modo qualsiasi volontà di verificare la notizia si sarebbe immediatamente arresa di fronte all’irresistibilità del richiamo razzistico.
Lo sciopero indetto per il 30 ottobre prossimo, costituisce quanto di più timido e ambiguo i sindacati confederali potessero esprimere, poiché si ferma agli aspetti più esteriori e propagandistici di un decreto che, in effetti, demanda i veri obiettivi di privatizzazione e saccheggio del denaro pubblico ad altri provvedimenti governativi (la privatizzazione delle Università con lo strumento delle fondazioni è passata, ad esempio, attraverso il decreto Tremonti). Nonostante le esitazioni e i compromessi, la campagna di discredito mediatico è scattata inesorabilmente, come del resto era prevedibile.
Se si va indietro negli anni, è possibile accertare che tutte le mobilitazioni sindacali degli insegnanti sono state precedute da analoghe campagne di stampa, a volte con dettagli truculenti, come insegnanti che tagliano la lingua ai bambini o li violentano. Questa regolarità si riscontra anche nel caso di mobilitazioni operaie, con la sola variante che le “notizie” riguardano legami tra sindacati e Brigate Rosse.
Le regolarità indicano che esistono dei centri decisionali in grado di lanciare e dirigere campagne di guerra psicologica. Durante il ventennio fascista, esisteva un Ministero della Cultura Popolare (detto Minculpop) che deteneva istituzionalmente lo specifico compito di utilizzare l’arma dei media. Oggi il Minculpop ufficialmente non esiste più, ma le sue funzioni sono state assorbite da organi dei servizi segreti, ed un Minculpop segreto può agire con molta più efficacia dell’altro, che screditava se stesso con la sua palese esistenza.
Tutte le agenzie di stampa, tutte le case editrici in grado di gestire un best-seller, tutti i giornali e telegiornali sono diretti da personale dei servizi segreti, tutti i maggiori opinionisti sono legati ai servizi segreti; perciò la funzione del giornalista e quella dell’agente segreto si identificano.
È consueto nell’ambito della sinistra invocare la “complessità” per tacciare di semplificazione e “teoria del complotto” coloro che riscontrano tali regolarità. Ma la “complessità” e le “teorie del complotto” in un caso del genere non c’entrano nulla, perché non in tutti i fenomeni mondiali è possibile riscontrare le stesse regolarità, che invece si possono verificare nel comportamento dei media. È invece nei media, nella gestione dell’opinione pubblica, che l’esistenza di un centro decisionale risulta facilmente individuabile, poiché ricorrono tempi e schemi fissi.
Non esiste evidenza dei fatti che possa assicurare l’unanimità su alcuna questione, e neppure nessun conformismo può di per sé arrivare a tanto. Gli esperimenti di psicologia sociale di Asch e di Milgram hanno indicato infatti che è l’unanimità, o almeno l’illusione di essa, a determinare il conformismo, e non viceversa.
A differenza del governo Prodi, il governo Berlusconi sta beneficiando di un unanimismo che di per sé è sospetto, poiché è contrassegnato da una partecipazione al coro anche di quella che si presenta come la stampa di opposizione. I sondaggi danno immancabilmente la popolarità del Presidente del Consiglio in ascesa, mentre imprecisati dati statistici celebrano un mitico “effetto Brunetta”, che avrebbe fatto miracolosamente calare le assenze per malattia nel Pubblico Impiego.
“La Repubblica” è un giornale anti-berlusconiano e, perciò, se celebra i trionfi del berlusconismo, allora questi trionfi devono essere autentici: un assioma del genere fu imposto negli anni ’80 negli Stati Uniti, quando la stampa “liberal” e “radical” divenne la maggiore celebratrice dei risultati della “deregulation” di Ronald Reagan.
Per creare consenso, occorre eliminare il dissenso: tutto il sistema si basa su questa ovvietà; ma si tratta di un’ovvietà che può esser realizzata solo da una direzione centrale della comunicazione di massa, cioè da un Minculpop occulto.
23 ottobre 2008
In questi ultimi due o tre anni è stata costruita dai media l’immagine di un Giulio Tremonti come intellettuale tormentato e dolente, in guerra contro il pensiero unico ed i dogmi della cosiddetta globalizzazione. Quando i media si impegnano in una operazione d’immagine di questa portata, è segno certo che c’è qualche grosso affare losco in corso, ed occorre dissimularlo agli occhi dell’opinione pubblica, già distratta dal Luna Park ideologico del dibattito fine a se stesso.
Tremonti, da ministro dell’economia del precedente governo Berlusconi, incorse in una ondata di critiche indignate allorché tentò di varare una legge per favorire la vendita di beni demaniali, cioè delle proprietà dello Stato, ai privati. Dato che nessun privato possiede i mezzi finanziari per acquistare davvero questi beni, si trattava in realtà di una svendita, e il progetto di Tremonti fu all’epoca facilmente individuato e smascherato.
Quell’infortunio è stato già dimenticato e, grazie al nuovo alone mistico ed eroico di cui oggi è circondato, nessuno si è accorto che Tremonti è recidivo; anzi stavolta è riuscito a commettere quel crimine contro la società che gli fu impedito cinque anni fa.
Il decreto Tremonti è diventato legge il 6 agosto di quest’anno, perciò oggi costituisce la legge 133/2008, che all’articolo 16 istituisce le fondazioni universitarie che consentono ai privati di impadronirsi degli Atenei. Nel comma 2 dell’articolo 16 c’è però il colpo grosso: non solo alle fondazioni passa la proprietà dei beni immobili delle Università, ma addirittura l’Agenzia del Demanio trasferisce alle stesse fondazioni la proprietà dei beni immobili già in uso da parte delle stesse Università.
Quindi non soltanto oggi i privati possono mettere le mani sui vastissimi e preziosissimi patrimoni immobiliari delle Università italiane, ma addirittura lo Stato gli regala tutti i beni demaniali che in qualche modo vengono usati dalle stesse Università. La perfida vaghezza di questo passaggio della legge consente di fatto di regalare ai privati qualunque bene immobile con cui le Università abbiano in qualche modo a che vedere.
L’affare è mastodontico, mostruoso, comporta cifre inimmaginabili; e il tutto avviene mentre si discute dei significati simbolici e ideologici del maestro unico o del voto in condotta, oppure si commenta con indignazione che esistono università con tre o quattro studenti, come se c’entrasse qualcosa con le manovre per sbancare lo Stato a vantaggio di cosche affaristiche italiane e straniere.
Il complesso affaristico/mediatico ha quindi segnato uno storico risultato a suo favore, poiché la mega-operazione di latrocinio legalizzato è stata accuratamente nascosta all’opinione pubblica; e ciò avviene proprio nel periodo in cui chiunque può immediatamente consultare i testi delle leggi connettendosi a internet. Per nascondere il crimine non è stato necessario far sparire le prove, ma è bastato semplicemente distrarre l’attenzione, indurre a parlare d’altro; e, non a caso, negli attuali “pour parler” si è arruolato in prima linea anche un opinionista della tempra morale di Giampaolo Pansa.
A differenza della Gelmini - che è una donna di paglia, un fantoccio mediatico -, Tremonti è un uomo di fiducia delle cordate affaristiche guidate dalle Corporation statunitensi. Attualmente le Corporation dissimulano i loro affari dietro le tattiche di “understatement” tipiche della propaganda statunitense, perciò mentre sui media si discetta sulla possibile fine del capitalismo e dell’impero americano, gli affaristi possono mettere a segno i loro colpi più redditizi a scapito di colonie come l’Italia.
L’entrata delle multinazionali nelle fondazioni universitarie verrebbe celebrata da una campagna mediatica, che saluterebbe come una nuova era di progresso la collaborazione tra capitale privato e ricerca pubblica; e ciò mentre i patrimoni immobiliari dello Stato italiano verrebbero intascati dalle stesse multinazionali che, per questi regali, non dovrebbero pagare alcunché allo Stato, ma solo a Tremonti.
Più soldi Tremonti smuoverà a favore degli affaristi privati, più la sua beatificazione mediatica navigherà a gonfie vele. Non ci sarebbe perciò da sorprendersi se lo stesso Tremonti, venisse fatto oggetto di minacce terroristiche o camorristiche. In tal caso la sua santità diverrebbe intoccabile, e chi osasse dubitarne, sarebbe immediatamente scomunicato.
30 ottobre 2008
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