Ci sarebbe da non crederci, se non ce lo dicessero loro stessi. Anche
la "paghetta" può diventare un business per le banche; ed un quotidiano "serio" come "Il Sole-24 ore" spiega ai genitori i vantaggi di una "educazione" finanziaria per i ragazzi, basata sull'elargire la paghetta ai figli non più in contanti, ma attraverso carte di credito prepagate. Del resto si può capire, dato che milioni di piccole "paghette" comportano un giro di miliardi, ed è ovvio che le banche ne reclamino una parte.
Ecco come funziona il lobbying delle multinazionali: si individua un possibile business - magari il più sordido, meschino e parassitario -, ma lo si pone sotto l'ombrello rassicurante di una parola suggestiva che suoni "nobile" per i più: "educazione". Il punto di forza del lobbying sta nella sua totale irresponsabilità. Il lobbying infatti non si pone problemi di compatibilità economica o di progetto sociale, ma si limita a parassitare tutto; non solo i linguaggi, ma persino il senso di responsabilità delle opposizioni, fagocitate nel sistema ogni volta che si tratta di riparare guasti tali da rischiare di compromettere anche gli affari.
Tra le opposizioni c'è chi parla di sequestro di democrazia e di sovranità da parte dei "Mercati". Alcuni, più concretamente, si spingono a chiamare i "Mercati" con il loro vero nome, cioè le multinazionali, e le loro lobby insediate negli organismi internazionali, dal Fondo Monetario Internazionale, alla Unione Europea, alla stessa NATO. Con questa idea del sequestro di democrazia e sovranità, si rischia però di idealizzare un passato tutt'altro che ideale, e di rimpiangere una "democrazia" che non c'è mai stata. Alla pubblicità ingannevole delle lobby si contrappone una pubblicità auto-ingannevole basata sulla nostalgia di un "mondo buono". In sé non ci sarebbe nulla di male, ma in tal modo si rischia di idealizzare non solo il passato, ma anche le possibili alternative all'attuale stato di cose, come se per opporsi alle frodi occorresse preventivamente vantare uno stato di perfezione. Basterebbe invece chiamare le frodi e la pubblicità ingannevole con il loro nome.
Oggi l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, cioè un'emanazione del FMI) spara una spudorata propaganda, con fasulle statistiche ad hoc, secondo cui gli studenti italiani risulterebbero
ultimi in "educazione finanziaria". La stampa lobbistica getta l'allarme, e ci ammonisce che bisogna correre ai ripari. Alla fine, per rassicurarci, ci si "informa" sul fatto che l'educazione finanziaria è al primo posto nell'agenda della "Buona Scuola" di Renzi.
Non c'era da dubitarne. Quel che resta della Scuola pubblica va mandato in malora con le varie "riforme", sempre le stesse, ripresentate in fotocopia. La "riforma" della Scuola di Renzi replica quelle della Gelmini e della Moratti, come del resto il suo "Jobs Act" ripresenta le stesse formule di Sacconi. Non si tratta di autentiche riforme, ma di colpi di piccone, di mera delegittimazione dell'esistente. Si parla di nuovo di subordinare la Scuola all'imprenditoria privata, ma intanto l'istruzione tecnica e professionale è stata gettata nel caos, mentre una volta le aziende private avevano a disposizione periti qualificati a spese dello Stato. Ci si prospetta ancora come una panacea il favorire una maggiore competizione fra i docenti, come se gli insegnanti non si odiassero fra di loro già abbastanza.
Lo scopo di tutto ciò è di spostare l'istruzione vera verso l'Università ed i corsi pre-universitari gestiti dagli stessi Atenei, ovviamente a pagamento, o meglio a credito, in modo che ogni studente si laurei con centomila euro di debito sulle spalle. Ma, nel frattempo, il simulacro della Scuola pubblica può essere riciclato come centro commerciale per prodotti finanziari. Le circolari ministeriali intanto ci informano sui progressi e sui prossimi obiettivi dell'educazione finanziaria nella Scuola.
In una di queste circolari, firmata dal capo-dipartimento Chiappetta, c'è una parola significativa: "veicolare".
La stessa Scuola pubblica comincia infatti a distribuire una
"Carta dello Studente" gestita da BancoPosta, che può essere utilizzata anche come carta di credito prepagata, in modo che i genitori possano utilizzarla per versarvi la "paghetta" per i figli. La Scuola pubblica si fa parte attiva nel lobbying, e si incarica di "veicolare" il business bancario del parassitismo sulle "paghette". Quando BancoPosta sarà definitivamente privatizzato, potrà consegnare il business già avviato in mani più avide ed esperte.
Cos'è, "capitalismo straccione all'italiana", come direbbe la Gabanelli? Tutt'altro, visto che la tendenza è internazionale. L'insospettabile quotidiano "The Guardian" ci informa meticolosamente e pedissequamente, senza ombra di pudore e perplessità, sui progressi dell'educazione finanziaria per gli studenti nella "civilissima" Gran Bretagna. E si tratta proprio dello stesso
business delle "paghette".
Già dal 2005 i quotidiani ufficiali come il "Corriere della Sera" cominciavano a
"veicolare" il business delle carte prepagate per ragazzi, presentandolo come un fenomeno già molto "trendy" negli USA, ed il tutto veniva condito con il consueto "dibattito" psico-sociologico. Se c'è stato il "dibattito", tutto diventa lecito.
L'affermazione di un business del genere trova però un ostacolo nel buonsenso. Ecco che allora torna utile la Scuola, che viene chiamata a spendere la sua residua credibilità per far apparire decente anche l'impresentabile.