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L'OCSE SI METTE A FARE DENUNCIA SOCIALE, MA PER DEPISTARE
Di comidad (del 08/05/2014 @ 00:57:40, in Commentario 2014, linkato 1695 volte)
Un recente rapporto dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) scopre l'acqua calda, e cioè che l'unica "crescita" che non conosce pause da trenta anni a questa parte è il divario tra ricchi e poveri, con un 1% della popolazione che assorbe sempre più risorse dal restante 99%. In effetti è già dal 2011 che l'OCSE pubblica rapporti di questo genere, non cessando di ammonire che ciò avrà "ripercussioni negative sull'economia", e raccomandando di adottare politiche fiscali che consentano un prelievo "più equo" sui redditi più alti. L'OCSE non va confusa con l'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), oggi molto attiva nella provocazione anti-russa in Ucraina; sebbene le due organizzazioni abbiano in comune la filiazione dai due grandi centri di potere del Sacro Occidente, cioè la NATO ed il Fondo Monetario Internazionale. Alcuni commentatori, come quello de "il Manifesto", si stupiscono del fatto che sia proprio un'organizzazione internazionale come l'OCSE, da sempre portatrice del punto di vista dei ricchi, a spremere una lagrimuccia sui poveri che diventano sempre più poveri, ed a lanciare una "denuncia" a riguardo.
A proposito di scoperte dell'acqua calda, può essere utile riportare all'attenzione alcune ovvietà in grado di spiegare stranezze del genere. Tutti i poteri hanno una vocazione all'assolutismo, perciò è del tutto normale che essi tendano ad occupare ogni "nicchia" a disposizione, cercando di interpretare tutte le parti in commedia. Anche una magistratura del tutto addomesticata può essere considerata un ingombro, e vediamo governi come quello statunitense che si arrogano poteri giudiziari, anzi, il trattamento completo: accusa, giudice, giuria e boia. Sono stati i governi degli USA, e non le loro magistrature, a fornire le versioni ufficiali sull'uccisione di Kennedy e sull'11 settembre; ma anche le molte contestazioni di queste versioni si sono appuntate sul merito delle ricostruzioni dei fatti, e non sulla legittimità della pretesa di un governo di espropriare il potere giudiziario. L'assolutismo si esercita anche sul piano ideologico, perciò, mentre il potere si consolida in un establishment reazionario, nel frattempo esso pretende anche di rappresentare il progresso. Sin dai primi anni dell'800 la propaganda ufficiale ha sempre presentato il capitalismo come una liberazione dalle tenebre e dai vincoli del medioevo, etichettando come "resistenza corporativa", come rifiuto del progresso, ogni lotta operaia. Non deve stupire nemmeno che un establishment riesca ad impadronirsi anche dell'opposizione, sottoponendola ad un processo di integrazione e colonizzazione. L'attuale illusorietà della contrapposizione tra destra e "sinistra" costituisce un riscontro di questo semplice assunto.
Risulta del tutto ovvio quindi che l'establishment si arroghi spesso anche il ruolo della denuncia e dell'utopia, e magari persino della "rivoluzione", ovviamente depistandone il senso. Persino un massoncino arrivista al servizio delle lobby finanziarie, come Matteo Renzi, è stato accreditato per anni dai media come un outsider e come un avversario dell'establishment. Per non parlare di uno dei maggiori esponenti del professionismo della denuncia, quel Roberto Saviano che nel 2006 fu investito dall'allora Ministro degli Interni, Giuliano Amato, del massimo status symbol conferito dall'establishment, cioè la scorta. Se lo stesso Saviano non avesse personalmente confessato le sue predilezioni per ideologi di destra, egli probabilmente sarebbe ancora un punto di riferimento per i comunisti elettoralisti; e forse, indirettamente, lo è ancora, visto che Rifondazione ed i Comunisti Italiani non osano più presentarsi alle elezioni come tali, ma candidano dei giudici come capilista, adottando la bandiera della "legalità" invece che quella della lotta di classe.
Se un potere riesce a monopolizzare anche la "denuncia" dei propri stessi misfatti, ottiene il risultato di distorcere la visione della realtà di quel tanto che basta a fuorviare l'attenzione dai veri problemi. Non a caso la "denuncia" dell'OCSE ripropone sempre la stessa soluzione utopica dell'equità fiscale come panacea del divario tra ricchezza e povertà, guardandosi bene dal richiamare i veri fattori dell'impoverimento di massa e dell'arricchimento di pochi. Questi fattori l'OCSE deve conoscerli bene, poiché questa organizzazione è perennemente sulla breccia per raccomandarli - anzi, imporli - ai governi. Si sta parlando, ovviamente, della "flessibilità" del lavoro e delle privatizzazioni dei pubblici servizi, i due temi che costituiscono il pallino dell'OCSE, ed anche della sua organizzazione-madre, il FMI. Questi moniti dell'OCSE ai governi vengono rilanciati sempre con molto entusiasmo dal quotidiano confindustriale, "Il Sole-24 ore".
All'OCSE non serve negare che cresca l'abisso tra ricchezza e povertà, poiché le basta continuare ad imporre la menzogna sociale secondo cui la disoccupazione sarebbe dovuta alle eccessive garanzie e "rigidità" del lavoro, per cui basterebbe la piena licenza di licenziare per far piovere posti di lavoro: una pretesa che i fatti hanno già pienamente smentito. All'OCSE non occorre neppure negare che le tasse sulla ricchezza siano irrisorie, poiché le basta nascondere il fatto che le privatizzazioni non solo non restituiscono i servizi pubblici ad un'inesistente mercato e ad una chimerica concorrenza, ma addirittura costituiscono esse stesse una tassa versata a favore dei ricchi, un regalo da parte dello Stato.
Ma il depistaggio ottiene il massimo dell'effetto quando riesce a coinvolgere la "creatività" delle sue vittime. L'OCSE ci vuole infatti far credere di essere preoccupata per le sorti di un'economia sempre più bloccata dal divario eccessivo tra ricchezza e povertà, che determina un calo dei consumi e della produzione. L'esca lanciata dall'OCSE può accalappiare più di un oppositore, disposto magari a lanciarsi in approfondite analisi sul rischio-povertà per le sorti del capitalismo, credendo davvero che i capitalisti siano "preoccupati", se non per umana sensibilità, almeno per senso degli interessi in prospettiva.
Ma la cosiddetta "economia" è solo un'astrazione, mentre la concretezza è il business; e la povertà costituisce il più grosso dei business, poiché aumenta la ricattabilità dei poveri e la loro dipendenza da "servizi" finanziari poco rischiosi per chi li eroga, ma molto remunerativi. Un clamoroso prelievo ai danni dei poveri è stato quello di imporre a tutti i pensionati indistintamente - anche ai più poveri - di aprire un conto corrente per riscuotere la pensione. Il vantaggio non è stato solo per le banche, poiché immediatamente è stata elevata la tassazione sui conti correnti. Tutti! Così si è prelevato pochi euro in più per ogni pensionato, ma il poco, moltiplicato per molti, diventa un affare.
Inoltre, già nel 2005 uno studio effettuato in Gran Bretagna, rilanciato dal quotidiano "The Guardian", rilevava che i giovani senzatetto costituivano per le banche uno dei più importanti target per l'offerta di carte di credito. I giovani così allettati vengono fatti cadere in una spirale di indebitamento che ripropone l'antico schiavismo per debiti.