Prima di concludere il suo tour europeo con il rituale pellegrinaggio alla Madonna di Merkel, il neo-Presidente del Consiglio Renzi era stato impegnato in quella che la stampa ufficiale aveva definito pomposamente un "vertice italo-francese" con il presidente Hollande. La scorsa settimana il quotidiano confindustriale "Il Sole -24 ore" inneggiava trionfalmente ad un
"asse Renzi-Hollande" sulla "crescita", per un'Europa non solo del rigore, ma anche della solidarietà.
Il 13 maggio dell'anno scorso era invece il "Corriere della Sera" a riprendere lo stesso termine, "asse", per definire la storica intesa tra il predecessore di Renzi, Enrico Letta, ed il solito Hollande. L'oggetto di questo
"asse" italo-francese era, manco a dirlo, la necessità di coniugare il rigore finanziario con la "crescita".
Ma non è finita qui. Il 14 giugno del 2012 il quotidiano "La Stampa" ci narrava di un altro storico vertice italo-francese, della nascita di
un altro "asse", tra il Presidente del Consiglio italiano, che allora era Mario Monti, ed un Hollande a quel tempo ancora alle prime armi. La parola "asse" insegue quindi da due anni i Presidenti del Consiglio italiani e Hollande, e non sembra che abbia portato bene.
La disinformazione ufficiale trova un grande alleato nella cattiva memoria, persino nell'epoca di internet, con un archivio stampa sempre a disposizione di ognuno. Che Hollande in Europa non conti nulla, e che sia una perdita di tempo mettersi a fare assi con lui, è un'evidenza che sfugge ai media italiani, ansiosi di narrarci dell'attivismo di Renzi, ma non sfugge affatto ai media francesi, che hanno preferito stendere un velo pietoso sull'ultimo "vertice italo-francese", per non agitare il coltello nella piaga del declino della Francia.
Eppure nel febbraio di quest'anno il quotidiano "La Stampa" lanciava enfaticamente la notizia di
un altro "asse" (sic!), stavolta tra Hollande e Obama. Ricevuto in Virginia dal presidente USA lo scorso 11 febbraio, Hollande era ricoperto di elogi dal suo anfitrione. Secondo Obama la Francia e gli USA non sono mai stati così vicini, sia in politica estera che in economia. In queste esagerate espressioni di elogio c'è tutta la storia del declino francese di questi ultimi dieci anni. Quando la Francia contava ancora qualcosa (non molto, ma qualcosa), era ai tempi del presidente Chirac, ed i rapporti tra Stati Uniti e Francia erano pessimi, al livello più basso dai tempi di De Gaulle.
Dopo la presidenza del gaudente Sarkozy - uno spudorato lobbista delle multinazionali -, l'arrivo di un uomo dell'apparato socialista come Hollande aveva suscitato la speranza di un ritorno ad un ruolo più equilibrato della Francia in politica economica ed estera. Al contrario, l'appiattimento sulle posizioni statunitensi non avrebbe potuto essere più servile, come si è riscontrato anche nella vicenda siriana, dove Hollande è stato addirittura il primo ad esporsi per accreditare a livello diplomatico il governo-fantoccio costituito in funzione anti-Assad.
In realtà non c’era da sorprendersi, considerando i discorsi elettorali e post-elettorali di Hollande: la solita viscida parodia del “politicamente corretto” che è diventata il repertorio della fintosinistra. Come la parola “riforme”, anche la parola “solidarietà” ha cambiato significato nel gergo dell’imperialismo, prospettando un subdolo umanitarismo che si risolve nel discorso che noi Occidentali siamo indifferenti ed egoisti, e la prova sta nel fatto che non bombardiamo abbastanza.
Gli scandali sessuali che di recente hanno investito la già appannata figura di Hollande sono apparsi chiaramente strumentali, e sono serviti a riciclare l'immagine di colui che avrebbe dovuto essere il candidato socialista alle ultime elezioni, cioè l'ex direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, che era stato liquidato nel 2011 proprio per uno scandalo sessuale, orchestrato però negli Stati Uniti.
Un sondaggio avrebbe dimostrato un aumento della popolarità di Strauss-Kahn nei confronti di Hollande, e delle voci, opportunamente diffuse, di un tentativo di occultare i risultati del sondaggio, hanno fatto lievitare l'interesse per la notizia.
D'altra parte appare evidente il nonsenso del riciclaggio di Strauss-Kahn in funzione anti-Hollande, dato che il caso dell'ex direttore generale del FMI costituisce la prova più plateale della possibilità degli USA di operare impunemente ingerenze nella politica francese. Che la fama di satiro di Strauss-Kahn non fosse usurpata, è del tutto plausibile, ma che egli potesse esercitare in quel campo in territorio USA senza che la sua scorta FBI ne sapesse nulla, risulta quantomeno inattendibile. La vicenda Strauss-Kahn è stata quindi un tracollo della politica estera francese, che ha abbandonato uno dei suoi esponenti più prestigiosi in preda ad una persecuzione giudiziaria che i media sono riusciti persino a spacciare per una prova dell'imparzialità della giustizia americana.
Il declino della Francia dallo status di media potenza a Paese del livello dell'Italia o della Spagna, non è facilmente spiegabile con la logica dei rapporti di forza, se si considera che si tratta pur sempre di una potenza nucleare. La cosa si può invece comprendere meglio se si considera il ruolo crescente svolto dalla lobby atlantica francese, e che ha raggiunto il suo successo più evidente con il rientro della Francia nella NATO nel 2009.