In questi giorni a coloro che denunciavano dentro e fuori il parlamento il piano governativo di privatizzazione della Banca d'Italia, si è spesso obiettato che la Banca d'Italia era già privata. Si è fatta anche rilevare la contraddizione in cui cadrebbero quanti da anni denunciavano il carattere privato della Banca d'Italia, ed ora si scandalizzano per quello che sarebbe un semplice aggiornamento del valore delle quote, cosa che consentirebbe al governo Letta-Saccomanni anche di riscuotere un introito fiscale. Come risulta infatti
dal sito della Banca d'Italia, le quote di partecipazione al capitale della banca centrale risultano già nelle mani dei maggiori istituti di credito e di assicurazione italiani, salvo una quota dell'INPS ed una dell'INAIL. Si verificava quindi da parecchio tempo il paradosso dei controllati che controllavano il loro controllore, anzi, lo possedevano.
In realtà questo tipo di obiezioni si basa su un fraintendimento, più o meno intenzionale, del concetto di privatizzazione, come se il privato potesse permettersi di fare a meno dell'assistenza costante della mano pubblica. Il "capitalismo" rappresenta un mero principio giuridico, per il quale è il possesso delle maggiori quote di capitale a conferire il potere nell'azienda; ma, come forma economica autonoma, il capitalismo non esiste. Se il lobbying privato riesce ad occupare lo Stato e la spesa pubblica ed a farne dei propri strumenti, allora il capitalismo prende vita nella forma delle privatizzazioni.
Inoltre, nessuna privatizzazione si dà una volta per tutte. Una privatizzazione può essere infatti declinata e ri-declinata più volte, in modi diversi, per corrispondere di volta in volta agli interessi della lobby delle privatizzazioni. Un bene reso già disponibile per un privato, gli può essere reso ancora più disponibile. La privatizzazione non è soltanto un furto, è un furto continuato.
La questione dell'aggiornamento del valore delle quote in questa storia funge anche da diversivo, dato che, come risulta dal documento elaborato da una commissione della stessa Banca d'Italia,
la vera novità sta nella possibilità di trasferire le quote di partecipazione, cioè di venderle. Segnalare perciò la trasformazione della Banca d'Italia in una sorta di SpA non è affatto arbitrario.
Molti sostenitori del decreto del governo si sono lanciati in una serie di ipotesi, o di fiction, sul presunto nuovo protagonismo della finanza italiana che sarebbe alla base di questa nuova iniziativa sulla Banca d'Italia. A questo proposito, si è voluto vedere una conferma di tale presunto protagonismo nell'atteggiamento critico assunto dalla banca centrale tedesca, Bundesbank, nei confronti dell'ultimo decreto di Letta e Saccomanni. Coloro che si nascondono dietro questo argomento, dovrebbero però essere anche in grado di citare qualche caso in cui la Bundesbank non pronunciasse pregiudizialmente un severo diniego di fronte ad una iniziativa qualsiasi da parte di chiunque. I gonzi latini prendono sul serio la fiaba del moralismo finanziario di marca germanica, senza rendersi conto che si tratta del banale atteggiamento gerarchico di trattare sempre il dipendente come se stesse commettendo una marachella. I moralisti nordici e protestanti di Bundesbank dovrebbero infatti spiegare come mai si sono decisi a lanciare
una timida inchiesta sul buco da titoli derivati di Deutsche Bank (settantremila miliardi di euro!), solo quando ormai lo scandalo era evidente e noto a tutti.
Le mitologie - da quella del moralismo nordico a quello delle icone del self-made man alla Steve Jobs -, appaiono spesso marginali ed innocue rispetto al quadro ideologico dominante; in realtà sono esche in grado di insinuarsi nelle costruzioni critiche delle opposizioni e di scardinarle dall'interno, riconducendole al conformismo ideologico.
Mentre il nuovo protagonismo finanziario dell'Italia rimane una fiction, intanto il decreto del governo apre le porte della Banca d'Italia a mitici "investitori istituzionali" europei, tra cui c'è l'avventuristica e dissestata Deutsche Bank. Ma non ci sarebbe da stare più tranquilli se si trattasse di Barclays o di BNP Paribas. Una valutazione più realistica porterebbe invece a ritenere che la lobby delle privatizzazioni che agisce in Italia non sia composta soltanto da soggetti affaristici italiani.
L'iniziativa del governo sulla Banca d'Italia si colloca in uno scenario internazionale che mostra un nuovo, e grave, confronto Est-Ovest per il controllo dell'Ucraina. L'Unione Europea e la NATO non si preoccupano neppure più di nascondere la loro ingerenza negli affari interni dell'Ucraina, e neppure di dissimulare i piani aggressivi contro la Russia in cui si inquadra questo loro tentativo di annessione.
La fine dell'Unione Sovietica ha consegnato ad una equivoca "indipendenza" non solo Stati che erano finiti nella sua orbita in seguito alla seconda guerra mondiale, ma anche Paesi che erano da secoli parte integrante dell'impero zarista, come nel caso della Georgia e, appunto, dell'Ucraina. La dissoluzione dell'impero zarista/sovietico ha trasformato Paesi sudditi come l'Ucraina in Paesi clienti di Gazprom, il gigante russo del gas e del petrolio, privatizzato dal presidente Eltsin nel 1992-93. La cosa ha fatto sì che alcuni sospettassero che la dissoluzione dell'impero zarista-sovietico sia stata in qualche modo voluta, o agevolata, da una lobby delle privatizzazioni che operava da decenni in Russia.
Un interessante e documentato
libro di Joyce Kolko "Gli Stati Uniti e la Crisi Mondiale del Capitalismo", già negli anni '70 osservava che in URSS era allora attiva una spregiudicata lobby delle "riforme economiche", cioè delle privatizzazioni. Secondo la Kolko si trattava della stessa lobby che esprimeva e manovrava i campioni del dissenso sovietico cari ai media occidentali, come Sacharov. La lobby delle privatizzazioni russa se n'è infischiata della sicurezza della Russia, poiché il punto di forza del lobbying sta proprio nel non farsi condizionare da una visione dell'insieme, perseguendo i propri obiettivi unilateralmente a scapito di tutto il resto, come un terminator. L'osservazione della Kolko, se notata ed opportunamente considerata, avrebbe potuto far capire e prevedere molte cose che sono avvenute successivamente in Russia.