Testi
Riceviamo e replichiamo
A proposito del testo
IL PRIMO MISCREDENTE DELLA RELIGIONE DEL CAPITALE
abbiamo ricevuto una replica e si è sviluppato un
piccolo dibattito.
Gli interessati lo trovano su questa pagina.
Una lettera di Antonio Pagliarone intitolata dall'autore
La Miseria della
teologia
Caro Franco
Dopo aver letto l'articoletto IL PRIMO MISCREDENTE DELLA
RELIGIONE DEL CAPITALE dedicato all'estratto del libro di Piercy
Ravenstone"Qualche dubbio sull'esattezza di alcune opinioni
generalmente accolte in materia di popolazione ed economia
politica". proposta dagli anarchici di Comidad, non ho
resistito
alla voglia di tirare le orecchie a questi asini anarco-rozzi che
addirittura scrivono nella introduzione
Anche Marx conosceva
Ravenstone,
perché lo ha citato in nota nel "Capitale"(Libro I, sez. IV,
cap. 13, nota n.° 196) però per questioni diverse,
quindi
è stata una precisa scelta di Marx quella di non tenere
conto
della sua denuncia del capitalismo, e della "scienza" economica che lo
supporta, come fenomeni ideologici.
Ebbene costoro si riferiscono al paragrafo «Lotte
tra
operaio e macchina» nel quale Marx cerca di evidenziare il
fatto
che nel rapporto tra operaio e mezzo di produzione si manfesta
inequivocabilmenteil rapporto capitalistico di produzione. Da cui il
movimento luddista in Inghilterra fu il portato di questo rapporto
materiale tra operaio e macchina in quanto all'intropduzione dei telai
meccanici ne seguiva l'eliminazione di forza lavoro dalla fabbrica. Le
rivolte operaie contro le macchine sono solo un presupposto di
rivoluzione politica dice Marx ma ciò che è
fondamentale
è il rapporto capitalistico di producione in cui le macchine
svolgono solo una funzione di semplice capitale fisso. Ho cercato di
ribadire un concetto così banale per chi abbia almeno letto
il I
Libro del Capitale (ci arriverebbe un mio studente liceale)
perchè mi spiace per gli anarchici di Comidad ma Marx ha
introdotto l'analisi scientifica del rapporto di produzione e non una
sorta di critica ideologica teologica del capitale. Tra l'altro il
rilievo che Marx fa del libro di Ravenstone è relativo
all'aumento della massa di lavoratori con l'introduzione di nuove
macchine e nella nota scrive che le macchine.. sono pià
abbondanti nei paesi più popolosi, dove ci sono
più
uomini disoccupati il loro uso non viene provocato da una scarsezza di
uomini, ma dalla facilità con la quale gli uominipossono
essere
condotti a lavorare in massa (Piercy RavenstoneThoughts on the Funding
System and its Effects Londra 1824 pag 45). Per concludere riporto una
citazione che ritengo importante per comprendere lo spirito del lavor
di Marx e ciò che intendeva quando studiava i rapporti di
produzione nella società capitalistica
Questi rapporti, da
forme di sviluppo
delle forze produttive, si convertono in loro catene, e allora subentra
un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base
economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la
gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti,
è indispensabile distinguere sempre tra lo sconvolgimento
materiale delle condizioni economiche della produzione, che
può
essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme
giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, in una
parola le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire
questo conflitto e di combatterlo.
Come non si
può giudicare un
uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si
può
giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa
ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le
contraddizioni della vita materiale. Una formazione sociale non perisce
finché non siano sviluppate tutte le forze produttive per la
quale essa offra spazio sufficiente; nuovi e superiori rapporti di
produzione non subentrano mai, prima che siano maturate, in seno alla
vecchia società, le condizioni materiali della loro
esistenza.
Pertanto
l'umanità non si
propone se non quei problemi che può risolvere,
perché, a
considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge
solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono
già o almeno sono in formazione. Ma le forze produttive che
si
sviluppano nel seno della società borghese creano in pari
tempo
le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con
questa formazione sociale si chiude la preistoria della
società
umana.
[Karl Marx, Prefazione a "per la critica dell'economia politica" (1859)]
Consiglio inoltre agli anarchici di Comidad la buona lettura di J
Barrot «Contributo alla critica dell'ideologia
ultrasinistra» facilmente reperibile sul web nel nostro sito
www.countdownnet.info che si rivelerà illuminante sul
contributo
ancora unico di Marx alla critica del modo di produzione capitalistico
avvertendoli che chi scrive non è ne stalinista ne leninista
come il vecchio Barrot ma un libertario che ragiona con la sua testa e
non con l'avversione religiosa verso gli scritti di un uomo come Marx
che è stato completamente travisato, deformato e infine
denigrato ad opera dei marxisti ignoranti e dei loro simmetrici
anarchici romantici ed ottocenteschi. Dovrebbero leggere i lavori di
Maximilen Rubel ma tanto è inutile hanno deciso di fare gli
antimarxisti a tutti i costi...
La replica di Comidad
LA RELIGIONE DEL CAPITALE
E I SUOI SACERDOTI
Secondo Antonio Pagliarone non si può criticare Marx in base
ad
un'argomentazione, per quanto sbagliata, ma solo per ignoranza o per
malignità, cioè perché si è
deciso di fare
gli antimarxisti a tutti i costi. Noi dicevamo che il Capitale
è
il dio di una religione, e Pagliarone, con il suo atteggiamento, pare
ce lo stia confermando.
La lettera di Pagliarone si segnala inoltre per il suo tono insolente e
altezzoso. L'insolente altezzosità è uno dei
tratti
distintivi della polemica marxistica, avviati dallo stesso Marx ne
"L'ideologia tedesca" e ne "La miseria della filosofia".
Ora, su cosa si fonda l'efficacia intimidatoria di questo stile
polemico?
La risposta è evidente: sul conformismo. Chi dubiti della
fondatezza della mitologia dominante, si trova esposto all'isolamento
morale ed alla ridicolizzazione. Il conformismo ha dalla sua la potenza
della propaganda ufficiale e quindi dell'opinione pubblica prodotta da
questa propaganda, mentre chi sospetta che il Capitale e il Mercato
siano solo miti/slogan di copertura per intrecci politico/affaristici,
può disporre delle informazioni utili solo con anni di
ritardo.
Nel 1978 nessun giornale ha titolato in prima pagina: "il governo
dà sessantamila miliardi alla Fiat per consentirle di
operare i
licenziamenti e riprendere il potere in fabbrica". Queste notizie
passano con anni di ritardo ed in modo indiretto.
Anche quando passano, però, vengono comunque recuperate
dalla
propaganda ufficiale, che le giustifica come aspetti del "capitalismo
straccione all'italiana", mentre "altrove" queste cose non succedono.
Il "vero capitalismo" - come la "vera democrazia" - è sempre
altrove. Poi magari esce fuori la verità sulla Enron
californiana, ma la propaganda ufficiale non ci fa pensare alle
migliaia di casi Enron ancora non scoperti, ma scioglie inni di lode in
onore del capitalismo americano che è stato in grado di
liberarsi di una mela marcia.
Il capitalismo è una bugia dalle gambe lunghe, una di quelle
bugie che si trascinano per abitudine e per conformismo. Ad esempio,
Pagliarone si richiama alle tesi marxistiche sul luddismo, tesi a loro
volta ricalcate sulla propaganda borghese dell'epoca, una propaganda
che successivamente non ha avuto alcun riscontro storico. Non
è
stata trovata infatti nessuna prova che i luddisti
sabotassero le
macchine perché queste estromettevano forza-lavoro, anzi il
luddismo si sviluppò inizialmente nel periodo in cui
l'Inghilterra era impegnata nelle guerre napoleoniche, lo sviluppo
industriale era drogato dalle commesse statali per le forniture
belliche, e molti nuovi operai entravano nel processo produttivo. La
spiegazione più probabile del luddismo, è quindi
che
quella di distruggere le macchine fosse semplicemente l'unica forma di
lotta possibile, dato che allora ogni forma di associazionismo operaio
era equiparata al reato di cospirazione.
Il luddismo fu oggetto di una repressione spietata e sanguinosa, ma non
fu inutile perché il governo inglese fu comunque costretto,
in
seguito a quella lotta, a concedere agli operai il diritto ad
associarsi. Ma la propaganda borghese ha continuato a
diffondere
false leggende sul luddismo perché voleva attribuire alle
lotte
operaie il marchio dell'arretratezza velleitaria, mentre il capitalismo
si presenta come il futuro, il progresso, la necessità
storica.
Non a caso, per difendere Marx, Pagliarone ha scelto un testo davvero
indifendibile, dove il determinismo diventa involontariamente
comico: aspettiamo che l'attuale struttura produttiva abbia raggiunto
il massimo sviluppo ed il capitalismo stesso porrà le basi
del
proprio superamento. Quindi solo il capitalismo è degno di
porre
il problema di superare se stesso. Come si vede, Marx riprende
acriticamente l'ideologia borghese del liberismo, del "lasciar fare" al
capitalismo. È quindi perfettamente logico che tanti
marxisti
siano passati con assoluta disinvoltura al liberismo, perché
in
definitiva non hanno cambiato modo di pensare.
Sembra poi che tra liberal/liberista/libertario, Pagliarone, anche
lui, abbia fatto un po' di confusione.
Comidad, dicembre 2007
In seguito al primo intervento di Antonio Pagliarone alcuni compagni ci hanno inviato le loro considerazioni.
Da Tiziano Antonelli di Livorno:
Cari compagni,
Concordo in gran parte con la vostra risposta.
Credo che il pensiero di Marx non sia separabile dal marxismo, cioè se gli epigoni hanno travisato il Maestro, ciò è avvenuto anche perché gli scritti del Maestro davano adito a questi travisamenti.
Del resto, quello che viene spacciata per analisi scientifica dei rapporti di produzione capitalistici, è spesso nel "Capitale" demistificazione dell'ideologia dello stesso. Credo che quindi quest'idea del capitale come religione, o come ideologia non sia del tutto estranea all'approccio di Marx. In generale ritengo quest'opera di demistificazione di fronte al "senso comune" o all'"opinione pubblica" una premessa necessaria all'analisi della realtà, qualsiasi cosa questa parola significhi.
Resta infine il fatto che come nella società capitalistica i rapporti tra cose mascherano i sostanziali rapporti tra le persone, anche fra compagni i rapporti tra le persone siano più importanti di quello che viene scambiato attraverso di essi. In altre parole solo rapporti di tipo egualitario, di discussione ampia e approfondita, possono far emergere posizioni condivise, oggettive nella misura in cui trascendono, integrano e completano senza delegittimarle a priori le posizioni soggettive individuali.
L'atteggiamento degli intellettuali alla Pagliarone è sufficiente a spiegare il loro isolamento, invisi a dio e agl'inimici sui.
ciao tiziano
Il secondo intervento è di Marco Fusi di Milano:
So che rimarrete sorpresi, ma non posso che associarmi alla
tirata d'orecchie che l'esimio prof. Pagliarone vi ha riservato.
Mi spiego meglio.
Una volta, quando anch'io ero un asino anarco-rozzo come voi, mi sarei
espresso in questi termini:
"Pagliarone ha dei problemi nella concatenazione di semplici concetti
logici.
Nella sua lettera vi attacca riportando un vostro passo in cui in
sostanza si sostiene che:
Marx conosceva Ravenstone
Marx ha deciso di non tenere conto della denuncia del capitalismo di
Ravenstone nelle sue opere.
Nella sua acuta replica, Pagliarone vi dà degli asini e per
far questo cita:
Il passo in cui Marx cita Ravenstone dimostrando di conoscerlo.
Le argomentazioni di Marx sui rapporti capitalistici di produzione, che
per l'appunto non tengono assolutamente conto delle tesi di Ravenstone.
Quindi, in buona sostanza, Pagliarone vi dà degli asini e
per dimostrarlo vi dà assolutamente ragione."
Avrei quindi concluso dicendo:
" L'assonanza e la rima tra il cognome di costui e un noto organo
maschile non è casuale: Nomen omen (un nome, un uomo).
L'autore vi ha dato degli asini perchè probabilmente nella
sua lettera pretende di fare una critica di quelle che sono le tesi di
Ravenstone.
Per farlo però non osa attaccarlo direttamente, dato che
neppure il suo idolo intellettuale Marx lo aveva fatto: come tutti i
professorini un po' altezzosi e con la puzzetta sotto il naso
infatti Pagliarone è un insicuro.
Non avendo il coraggio di prendersela con colui che nemmeno il suo guru
aveva osato criticare, attacca voi, che evidentemente ritiene
un bersaglio alla sua altezza (degli asini anarco-rozzi) facendovi
scontare con degli insulti gratuiti la colpa di aver osato riproporre
uno scritto che mette in discussione i principi teorici su cui
Pagliarone ha fondato le certezze di una vita.
Se voi siete degli asini, automaticamente lo diviene anche l'autore che
voi citate.
Ecco così aggirato il problema di Ravenstone e delle sue
critiche a Marx."
Ma una più attenta riflessione mi ha fatto desistere da
queste volgari considerazioni, frutto della mia prolungata
frequentazione di asini anarco- rozzi come voi, Stirner, Chomsky e via
dicendo.
Riflettendo in maniera più approfondita attorno al verbo di
Pagliarone ho avuto finalmente una visione che mi ha cambiato la vita.
Non ci crederete, ma grazie a Pagliarone ho visto la luce!
Ho capito che per comprendere a fondo Marx non bisogna leggerlo come
fate voi rozzi anarchici, che vi limitate a prenderlo in considerazione
dal misero punto di vista della logica tradizionale.
Bisogna usare il "metodo Pagliarone": ripetere all'infinito gli scritti
di Marx come i monaci buddisti recitano i mantra dei loro testi sacri,
per comprenderne le verità oscure ai non iniziati.
Vedrete che a furia di recitare il Capitale come se fosse il
padre nostro, gradualmente, sopraggiungerà in voi
un processo di graduale "rimpagliaronimento" e, se avrete la costanza
di proseguire questo esercizio spirituale, con gli anni giungerete
all'illuminazione, divenendo anche voi "dei gran Pagliaroni" come
l'esimio professore citato.
La vostra fede in Marx diverrà allora assoluta ed
incrollabile e ad ogni critica , come fa Pagliarone nella lettera
citata, vi basterà citare un passo di Marx, così
come gli esorcisti recitano il vangelo, per allontanare da
sé i neri spiriti degli anarchici maligni.
A questo basterà aggiungere il nome di qualche altro
Pagliarone (meglio se straniero, fa più chic) di
un'università dal nome altisonante che proponga la solita
rifrittura delle tesi Marxiane e il gioco è fatto: anche
voi, come il vostro detrattore, potrete dare dell'asino a chiunque osi
mettere in dubbio il sacro verbo del profeta tedesco e alla
fine avrete la soddisfazione di affermare:
"anche io sono proprio un gran bel Pagliarone!"
Ora, la mia strada verso il rimpagliaronimento è solo agli
inizi, ma già ho cominciato e si stanno vedendo i primi
frutti.
Proseguendo per questa via, forse anche io un giorno
riuscirò a diventare un bravo Pagliarone: uno stimato
professore che canta in coro la stessa canzone con gli altri
Pagliaroni, e bacchetterò con il sopracciglio alzato tutti i
birbaccioni come voi che osano creare delle cacofonie nella musica
sacra e celestiale prodotta dalla salmodia infinita dei sacri testi
Marxiani.
Ma per ora, purtroppo, la mia limitata cultura di lettore di asini
anarco- rozzi mi consente solamente di cantare dei modesti versi in
rima baciata e senza nessuna raffinatezza metrica, che mi permetto di
riportarvi come dei modesti "Inni sacri" che il Manzoni aveva
scritto in occasione della sua conversione al cristianesimo.
Io li recito come testimonianza della mia conversione al
"Pagliaronesimo".
La canzon del Pagliaron
"Siam gli allegri pagliaroni
Al carletto sempre proni
Non abbiamo altra gloria
Che recitar Marx a memoria
Se l'anarchico cretino
A Lui non fa un bell'inchino
Riprendendolo sdegnati
Con gli occhiucci corrucciati
Gli puntiam contro il ditone
E strilliamo un gran sermone
<<Oh che ovvov, che sacvilegio
Al carletto hai fatto sfregio!
Come osi, impevtinente
Che non hai studiato niente
Rozzo, anarchico cafone
cviticav il nostvo santone?>>
Orsù, mettiti a studiare
Il marxista d'oltremare
Smetti alfin di far la festa
All'ottuso Malatesta
E se vorrai Marx recitare
Anche quando vai a cagare
con tua gran soddisfazione
diverrai un gran Pagliarone.
Marco Fusi
Dopo la nostra prima risposta alle osservazioni di Antonio Pagliarone ci è giunta una controreplica che riportiamo di seguito e così presentata dall'autore:
"Ecco spero l'ultima risposta ( in allegato) agli anarchici di Comidad perchè leggano meglio le note già inviate. Ante"
Una critica ad una misera
critica
Inviterei gli anarchici di Comidad a rileggere le loro note su
Ravenstone nelle quali affermavano candidamente che Marx pur avendolo
menzionato in nota 196 del capitolo 13 del I libro del Capitale non ne
aveva apprezzato il modello critico che Ravenstone aveva fatto al
capitalismo sin dal 1824. Io mi sono precipitato a chiarire il contesto
della nota di Marx ed ho inoltre cercato di chiarire agli
anarco-suscettibili che il metodo di indagine marxiano aveva connotati
completamente diversi utilizzando la famosa introduzione a "Per la
critica dell'economia politica". Allora dovremmo ricordare agli
anarchici che prima di loro esistevano molte sette più o
meno religiose che predicavano la libertà individuale, il
piccolo commercio, il mutuo appoggio e quant'altro l'ideologia
liberista, lo ripeto liberista perché sul termine libertario
ho altro da dire. Ha prodotto nella storia ben prima che nascessero i
circoli che daranno vita alle federazioni bakuniniste della I
Internazionale. Ma procedendo in questo lavoro di archeologia volevo
ricordare semmai che fu lo slavo amico di Cafiero a spingere
affinchè il lavoro economico dell'ebreo-tedesco venisse
tradotto nella sua lingua mentre il povero Cafiero, vista la brutta
fine che ha fatto, si è premurato di introdurlo nei circoli
italiani (proprio tra gli internazionalisti della città dei
nostri anarchici fideisti di Comidad). Non è assolutamente
vero che Marx tenesse un atteggiamento altezzoso ed insolente nelle sue
critiche sacrosante al Proudhon o ai filosofi tedeschi eredi di Hegel.
Casomai tali critiche erano decise ed argomentate visto l'immane lavoro
di ricerca fatto dal vecchio di Treviri. Tutta la menata sul
conformismo non riesco minimamente ad associarla al sottoscritto ed ai
pochi individui che hanno deciso di abbandonare il mondo delle
ideologie e del do you remember tipico di una ultrasinistra ormai
definitivamente fallita che si autoriproduce per puro spirito d
sopravvivenza, ed in questa ultrasinistra ci dobbiamo mettere tutti ma
dico tutti marxisti più o meno rozzi ed anarchici compresi.
Non capisco minimamente cosa voglia intendere Comidad quando si
riferisce allo scandalo Enron (o Parmalat e quant'altro). Purtroppo gli
anarchici napoletani si vede che non hanno mai letto nulla di quanto il
sottoscritto ed altri hanno prodotto oppure hanno fatto circolare nel
misero dibattito di questo paese di merda. Io ritengo che ormai la
forma del capitalismo così come veniva concepita qualche
decennio fa sia morta e che orma viviamo in una epoca di barbarie
speculativa che porterà inevitabilmente al superamento dello
stato delle cose presenti. Basterebbe che gli anarco-suscettibili
napoletani di Comidad leggessero la pagina iniziale del
nostro sito per capire lo stile di apporccio ai problemi. Inoltre gli
anarchici napoletani non hanno capito assolutamente la lettera critica
in quanto il riferimento al movimento luddista lo ha fatto Marx nel
capitolo 13° del I libro proprio in relazione al fatto che
la'umento del macchinario non presuppone risparmio di forza lavoro anzi
al contrario (ripeto perché forse il pezzo incriminato non
lo hanno forse letto) e qui Marx si riferisce in nota prorio a
Ravestone. Conosco benissimo la tesi molto ben organizzata in vari
testi secondo la quale il movimento luddista fosse il prodotto delle
influenze francesi nei circoli giacobini anglosassoni e che fosse
animato con l'obiettivo di incrinare l'economia inglese in chiave
proNapoleone, ma non è questo il punto. Marx vuole solo
dimostrare che il macchinario non sia in contrasto con la forza lavoro
ma ripeto per l'ennesima volta al contrario e lo dimostra
empiricamente. Tutto qui. Che i luddisti siano stati repressi duramente
non c'entra niente con il riferimento al 13 capitolo (citato proprio
dagli anarco-generici nella loro pistolettata su ravestone). Infine ho
citato l'ttimo testo introduttivo di Marx non per difenderlo ( sappiano
gli anarco-diffidenti che il Moro ha anche scritto pagine illeggibili
come il Manifesto ed altri scritti veramente poco interessanti..) non
ne ha bisogno, ma nemmeno per convincerli alla fede marxista (che io
aborro in quanto libertario) tanto ormai hanno abbracciato la fede
dell'anarchia quindi… sono a posto con le loro coscienze. La
prefazione a "Per una critica dell'economia politica espone
semplicemente il metodo di indagine di Marx (che coincide con
quello adottato modestamente dal sottoscritto e da pochi altri) Tutto
qui. Se poi ci sono i testimoni di geova o quant'altro facciano pure.
Marx non era assolutamente determinista tanto è vero che la
sua frase storica ed abusata "l'emancipazione dei lavoratori
sarà opera dei lavoratori stessi" è la prova
indiscutibile che senza l'azione dei lavoratori non potremo mai speare
in una società ed in una economia superiori al capitalismo.
Altro che passare la liberismo caso mai sono gli anarco-liberisti che
credono ancora nella piccola proprietà e nello scambio
semplice forme queste che rappresentano la fase
dell'accumulazione primitiva. Mi spiace per gli anarco-pseudoironici ma
io ho le idee chiare e la confusione la facciano prioprio lor che
citano un passo di Marx con una nota su Ravenstone e non ne hanno
nemmeno capito il contesto. Ribadisco ancora una volta i consigli per
delle letture un po' più "ampie" ai nostri anarchici
napoletani
Per concludere desidero fare ancora omaggio al Vecchio di Treviri
riportando un brano di una sua lettera ad Engels dell'11/2/1852:
"… mi piace
molto il pubblico autentico isolamento in cui ci troviamo ora noi due,
tu ed io. Corrisponde del tutto alla nostra posizione e ai nostri
principi. Il sistema delle reciproche concessioni, dei mezzi termini
tollerati per correttezza, e il dovere di assumersi davanti al pubblico
la propria parte di ridicolaggine insieme con tutti questi somari del
partito, sono cose finite"
Un saluto
Antonio Pagliarone
Questo è l'intervento conclusivo del COMIDAD:
DOVE SI TROVA IL "VERO CAPITALISMO"?
Rispondiamo per la seconda volta ad Antonio Pagliarone, per quello che
potrà servire, dato che ormai è
evidente che non legge le frasi sino in fondo. Pagliarone infatti
insiste nel dire che abbiamo fatto riferimento ad una nota di Marx su
Ravenstone che era in tutt'altro contesto rispetto allo scritto dello
stesso Ravenstone che abbiamo presentato. Ebbene, è
esattamente ciò che avevamo detto nella nostra nota
introduttiva, in cui scrivevamo che Marx conosceva Ravenstone, lo
citava in una nota "però per questioni diverse". Questo
nostro inciso deve essere sfuggito a Pagliarone, perciò
tutta la sua polemica nasce da un equivoco.
Rispetto al Luddismo, Pagliarone riprende nella sua seconda lettera un
nostro riferimento alle guerre napoleoniche e si mette a parlare di una
tesi storica sul presunto carattere filo-napoleonico del movimento dei
luddisti (un'altra calunnia propagandistica nei loro confronti). Anche
qui Pagliarone deve avere seguito anzitempo qualche suo autoconsiglio
di lettura e quindi tralasciato di leggere la fine della
nostra frase, chiarendo così che il nostro riferimento alle
guerre napoleoniche riguardava solo il fatto che in quel periodo si
verificò uno sviluppo industriale accelerato che
determinò l'ingresso in fabbrica di molti nuovi operai,
quindi qualsiasi accostamento del movimento dei luddisti alla questione
della estromissione degli operai dalle fabbriche non ha fondamento
storico.
Comprendiamo inoltre il fatto che Pagliarone abbia sentito come
ingiusta l'obiezione rivoltagli di adeguarsi a tesi conformistiche, ma
non ci riferivamo ad un conformismo volontario, bensì
indiretto, cioè al fatto di essere vittima della propaganda.
Prova di questa dipendenza di Pagliarone dalla propaganda ufficiale,
è il suo associare il caso Enron a quello Parmalat.
Quest'ultimo è solo un episodio di truffa finanziaria,
mentre la Enron ha riguardato un intreccio
politico/affaristico/mediatico di ben altra portata. La Enron non ha
quindi rappresentato uno dei tanti scandali finanziari -
così come la propaganda ufficiale ha cercato di minimizzare
-, ma la prova che il capitalismo non corrisponde all'immagine che vuol
presentare di sé.
Nella nostra risposta noi dicevamo che la propaganda ufficiale, di
fronte alle tante smentite del mito capitalistico, se la cava
collocando il "vero capitalismo" sempre "altrove". Pagliarone si adegua
a questo "altrovismo" ma, addirittura, colloca il "vero capitalismo"
nel passato. Secondo lui il "vero capitalismo" non c'è
più. Secondo Ravenstone, invece, il "vero capitalismo" non
c'è mai stato.
Concludiamo così la polemica sul nostro sito. Se Pagliarone
intende continuare, utilizzi il suo.
Comidad, dicembre 2007