Il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ci ha spiegato indirettamente il motivo per cui nel Sacro Occidente non è stato ancora scoperto il vaccino per il Covid. Zaia ha annunciato che
l’emergenza Covid è una guerra e che la sua Regione è pronta ad attrezzarsi con le armi per la battaglia. A detta di Zaia una ventina di multinazionali farmaceutiche è già in grado di produrre tutti i tamponi necessari per l’autodiagnosi di massa, in modo da consentire ad ogni cittadino di sapere se risulta o meno positivo al virus.
L’emergenzialismo è una droga sia per il potere, sia per il business, perciò con l’emergenza Covid il protagonismo/autonomismo delle Regioni del Nord è riuscito a mettersi in cordata con il lobbying delle multinazionali farmaceutiche. Il vaccino per il Covid sarebbe un business una tantum, mentre con i tamponi è possibile allestire un consumismo di massa a tempo indeterminato: un ottimo motivo per protrarre l’emergenza sine die. Più a lungo si terrorizza la popolazione, più i cittadini correranno a compiere l’autodiagnosi, ripetendola tutte le volte che i telegiornali spareranno le loro bordate di cifre allarmistiche sul contagio.
L’annunciato consumismo dei tamponi riconferma uno dei consueti schemi critici sul capitalismo: la riduzione delle persone a consumatori. Su questa critica si è costruito un corollario molto insidioso e cioè che il capitalismo si fondi su una desocializzazione, un’atomizzazione degli individui.
Questo corollario si basa su una valutazione pregiudizialmente positiva sulla socialità, oppure su un gioco semantico per il quale si ritengono autenticamente “sociali” solo le forme di cooperazione umana finalizzate al “bene comune”, un’altra categoria a sua volta suscettibile di infinite interpretazioni.
In realtà non esiste società senza socialità ed anche la guerra sarebbe impensabile senza cooperazione; così pure altre espressioni deteriori di aggregazione umana, come il mobbing sui luoghi di lavoro, un fenomeno sociale per cui il gruppo aggredisce metodicamente un singolo individuo. Il mobbing ha un suo ascendente storico nel sacrificio umano, che non è un semplice rituale ma un rapporto sociale complesso, nel quale il singolo è appunto immolato al bene comune. Ma il sacrificio poteva essere anche collettivo, per cui una comunità si autoinfliggeva pene, penitenze e pratiche espiatorie. Che il capitalismo non sia né asociale né amorale, ma che fondi il suo potere su una morale sociale di tipo sacrificale, rappresenta una tale evidenza che dovrebbe essere persino superfluo dimostrarlo.
Emergenze e sacrifici rappresentano il classico binomio inscindibile. L’emergenzialismo sul Covid in effetti non ha inventato nulla, chiama le masse a sacrificare libertà e benessere per il bene comune, costringendo tutti ad indossare una sorta di cilicio, quell’attrezzo espiatorio che è la mascherina. Come il cilicio, la mascherina rende affannosa e penosa una cosa spontanea come la respirazione e, in più, appanna pure gli occhiali. Il cilicio però si indossava sotto i vestiti, mentre la mascherina la si porta in faccia, in modo da consentire il controllo e l’eventuale riprovazione dell’opinione pubblica per chi non la indossa, oppure non la indossa a dovere. La paura del Covid può allentarsi e svanire per effetto dell’abitudine, mentre il senso di colpa per eventuali comportamenti antisociali ha la capacità di insediarsi nella coscienza e di inquisirla a tempo pieno.
In ogni fase del capitalismo la morale sacrificale è stata invocata come risposta alle emergenze. Alla fine degli anni ’70 la sconfitta della classe operaia è stata preparata attraverso l’imposizione di una morale sacrificale, chiamando i lavoratori occupati a sacrificarsi per fronteggiare l’emergenza economico-finanziaria, rinunciando agli aumenti salariali per favorire investimenti che creassero nuova occupazione.
Nella famosa intervista del 1978 rilasciata dall’allora segretario della CGIL, Luciano Lama, al quotidiano “la Repubblica”, quel concetto venne enunciato enfaticamente: se si voleva essere coerenti con l’obbiettivo di ridurre la disoccupazione, occorreva che i lavoratori occupati rinunciassero al miglioramento delle proprie condizioni.
Le affermazioni di Lama erano fondate su presupposti sballati, poiché imponevano una falsa dicotomia tra aumenti salariali e occupazione, mentre al contrario sono i salari operai ad alimentare la domanda interna che stimola l’offerta di sempre nuovi prodotti e servizi. La caduta dei salari ha infatti favorito la disoccupazione, che, a sua volta, ha fatto crollare il potere contrattuale dei lavoratori innescando un giro vizioso di stagnazione e pauperizzazione. Un altro presupposto sballato del discorso di Lama era che i risparmi sul costo del lavoro sarebbero stati utilizzati dalle imprese per nuovi investimenti e invece sono andati ad alimentare le speculazioni finanziarie. Eppure l’appello di Lama ai sacrifici riuscì a conquistare le coscienze degli operai e degli intellettuali, poiché sembrava prospettare un livello di moralità e socialità superiore: il sacrificio, appunto.
Nessuno si è stupito del fatto che l’attuale presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, abbia riproposto
il mantra dei sacrifici. Qualcuno però si è indignato ed ha smascherato il senso delle dichiarazioni di Bonomi: noi facciamo i sacrifici e tu prendi i soldi dal governo, per cui i sacrifici dei poveri finiscono in assistenzialismo per ricchi. Bonomi potrebbe replicare che accettare l’umiliazione degli aiuti di Stato è il modo in cui gli imprenditori si sacrificano, rinunciando dolorosamente, in nome del bene comune, alla loro orgogliosa etica di capitalisti puri e duri. Magari, chissà, gli crederebbero pure.
Per quanto il nesso tra morale sacrificale ed assistenzialismo per ricchi sia stato ampiamente sgamato e smascherato da più parti, ciò rimane però confinato alla cronaca. Quando invece si va ad analizzare e criticare il “capitalismo” in genere, si torna ai luoghi comuni dello sfrenato individualismo e della selvaggia competizione dell’inesistente “libero mercato”. Il punto è che il capitalismo ha allestito un’efficace operazione di pubbliche relazioni, convincendo quasi tutti di essere una forma di dominio completamente nuova nella Storia. In realtà,come ogni forma di dominio, anche il capitalismo si regge sui fondamenti più arcaici della società.