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IL MONOPOLIO IDEOLOGICO DELLA LOBBY DELLA DEFLAZIONE
Di comidad (del 03/09/2020 @ 00:26:06, in Commentario 2020, linkato 6222 volte)
Jerome Powell, il presidente della banca centrale statunitense, la Federal Reserve, ha annunciato la scorsa settimana che d’ora in poi il suo obbiettivo istituzionale non sarà più di mantenere un tasso fisso di inflazione al 2%, bensì questa percentuale sarà considerata come tasso medio. Secondo il presidente della Fed questa nuova politica monetaria andrebbe a privilegiare l’occupazione invece che la stabilità dei prezzi. L’annuncio di Powell è stato considerato una “svolta epocale” non solo dalla stampa europea ma anche da quella americana.
Siamo in piena deflazione, cioè crollo dei prezzi e dell’occupazione, perciò non preoccuparsi dell’inflazione sarebbe puro buonsenso. In realtà, l’annuncio di Powell sa del classico “troppo bello per essere vero”. Anzitutto indicare il 2% di inflazione come tasso medio, vuol dire sì che si potrà sforare al 3% oppure al 4% ma significa anche che, per recuperare la media stabilita, occorrerà scendere all’1%, o addirittura allo zero. C’è poi da rilevare che la deflazione comporta una condizione di schiavitù per debiti, sia per gli Stati, sia per le famiglie. La deflazione determina infatti un crollo dei redditi e delle entrate fiscali, con una conseguente maggiore dipendenza dal debito, senza peraltro alcuna prospettiva che i creditori vedano eroso il valore dei loro crediti dall’inflazione.
Risulta quindi ovvio che esista una lobby della deflazione, cioè una lobby dei creditori, una coalizione di interessi delle grandi multinazionali del credito, che fa le sue fortune in deflazione e che non ha voglia che le cose cambino. Se si pensa che i gruppi industriali la pensino molto diversamente a riguardo, si è in errore, poiché la deflazione azzera il potere contrattuale del lavoro ed abbatte i salari.
Il punto è che il monopolio ideologico della lobby della deflazione non si esprime nella formula “la deflazione è bella”, ma in forme più insidiose e indirette. Ad esempio, in Europa l’Italia passa per essere il Paese che con più convinzione si batte contro le politiche di austerità che alimentano la deflazione e la disoccupazione. Gli enunciati però si scontrano con un retroterra ideologico molto diverso che implica risultati spesso opposti a quelli che ci si aspetterebbe.
La deflazione e l’austerità non si presentano come obbiettivi desiderabili in sé, bensì come una strada dolorosa ma obbligata, come “una medicina amara ma necessaria” per rimediare alle colpe passate di popoli che “hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi”. Il tono dolente è funzionale all’intento doloso. Questi popoli che non hanno saputo amministrarsi, devono rimanere in soggezione per essere “educati” ad accedere, in un futuro molto ipotetico, alle “virtù” che consentano di governarsi da soli. Questa operazione ideologica non ci viene imposta dall’esterno ma, al contrario, è tutta “made in Italy”. Si tratta del plurisecolare mito del “Paese Senza”, secondo il titolo del noto saggio del 1980 di Alberto Arbasino; un saggio che si ispirava appunto a quella lunga tradizione del pensiero italiano.

L’Italia si presenta a se stessa come una nazione incompiuta, poiché non ha avuto la Riforma Protestante e non ha avuto neppure la Rivoluzione Borghese, quindi non avrebbe nemmeno un vero capitalismo. L’Italia sarebbe il Paese delle mancate riforme, della “mancanza” tout-court. Ciò che ha reso automaticamente credibili le emergenze finanziarie del 1976, del 1992 e del 2011 è appunto l’idea radicata che vi sia un atavico passato colpevole ed omissivo che incombe sul presente e sul futuro del Paese. L’espiazione sociale, i “sacrifici”, rappresenterebbero perciò la scontata, inevitabile, conseguenza delle tare ereditarie della nazione.
Lo schema propagandistico della “Europa bella, austerità brutta” si rivela perciò piuttosto ipocrita, in quanto l’europeismo, cioè l’autocolonialismo della ricerca del ”vincolo esterno”, si concretizza in un preciso strumento di pauperizzazione sia del ceto lavoratore, sia del ceto medio. Proclamare la propria inferiorità e inadeguatezza come popolo, comporta per i ceti dominanti dei notevoli vantaggi nella gestione dell’oppressione di classe.
Il Recovery Fund è stato presentato come una svolta solidaristica dell’Unione Europea ed effettivamente sembrerebbe una risposta di Germania e Francia alle pressioni dell’Italia, in quanto comporta anche l’istituzione di una sorta di Eurobond. Il problema è che però, mentre gli effetti in termini di aiuto del Recovery Fund sono tutti da verificare, i dati certi riguardano l’allargamento del bilancio comunitario, quindi un esborso immediato da parte dell’Italia, oltre che un crescente controllo esterno sulle proprie finanze. L’effetto certo è quindi un rafforzamento del “vincolo esterno”.

L’ideologia è tale perché genera non un semplice conformismo ma una vera e propria falsa coscienza, perciò nulla esclude che i nostri governanti siano persino sinceri quando affermano di combattere contro l’austerità. Ma la questione non è stabilire se i nostri governanti si salveranno o meno l’anima.
Germania e Francia hanno rivendicato il Recovery Fund come una propria creatura ma, a ben vedere, il ruolo del motore in tutta la vicenda è stato svolto dall’Italia, che, dal punto di vista ideologico, è il vero Paese leader dell’Unione Europea. L’azione dell’Italia ha finito per assegnare anche le parti in commedia ai vari membri dell’Unione: le “cicale e le formiche”, gli “spendaccioni” e i “frugali”.
La ricerca storica si è molto concentrata su ciò che è “mancato” all’Italia, su ciò che l’Italia non ha fatto e avrebbe dovuto fare. L’attenzione eccessiva a ciò che sarebbe mancato, ha fatto sfuggire ciò che invece c’è, anzi, che incombe. L’Italia non è solo un “Paese senza”, è soprattutto un “Paese con”. Un Paese con una lobby della deflazione molto agguerrita, una lobby che è riuscita a colonizzare la cultura e le coscienze persino degli “oppositori”. L’Italia spacciata per frivola e spendacciona, è di fatto l’unico Paese al mondo che abbia portato alla Presidenza della Repubblica due eroi della deflazione, cioè due ex Governatori della Banca d’Italia: Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi.