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PIÙ SI FONDONO, PIÙ CI FOTTONO (UN TRENTENNIO DI CANNIBALISMO BANCARIO)
Di comidad (del 06/08/2020 @ 00:24:13, in Commentario 2020, linkato 6181 volte)
In uno dei romanzi basati sul personaggio di Hannibal Lecter si scopre che il meschino è diventato cannibale perché ha avuto un’infanzia difficile. Al contrario, il cannibalismo bancario di Intesa Sanpaolo sembra sia dovuto ad un’infanzia, ad un’adolescenza ed una maturità troppo facili. Il “facilitatore”, il tutore, che ha assistito e aiutato questo gruppo bancario, sin dai suoi esordi alla fine degli anni ‘80 nelle vesti di Banco Ambrosiano-Veneto, è stato un personaggio-icona della “sinistra morale” e politicorretta, cioè Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca ancora Governatore della Banca d’Italia.
Nel 1997, diventato ministro del Tesoro del primo governo Prodi, l’ex Governatore Ciampi ebbe modo di esternare in un discorso ai banchieri i motivi che lo spingevano a incentivare le fusioni bancarie. A parere di Ciampi la concentrazione bancaria era la premessa e la condizione per estromettere la mano pubblica dal settore bancario. Oligopolio bancario e privatizzazione venivano quindi individuati da Ciampi come fenomeni correlati e interdipendenti. In un contesto economico di crescente caduta dei saggi di profitto, l’intervento pubblico era infatti l’unico possibile argine contro la tendenza alla concentrazione dei capitali in poche mani private. Dagli anni ‘90 la mano pubblica si è messa ad operare addirittura nel senso opposto, cioè di assistere e finanziare le privatizzazioni e la concentrazione dei capitali, spacciandole acriticamente come “efficienza”.
L’altro aspetto posto in rilievo da Ciampi era la necessità di ridurre il costo del lavoro nel settore bancario attraverso drastiche riduzioni di personale. Negli anni ’60 e ’70 l’assistenzialismo per ricchi era stato giustificato con la necessità di aiutare le imprese a creare posti di lavoro. Con le dichiarazioni di Ciampi la finzione cadeva, per cui il ministro di un governo di “centrosinistra” ammetteva di fare assistenzialismo per banchieri con lo scopo di consentirgli di tagliare i posti di lavoro.
Da notare il fatto che l’impiegato di Banca era stato una delle figure-simbolo del ceto medio negli anni del boom economico. Qualcuno ricorderà la canzone del 1965 “Io vado in banca” dei Gufi, nella quale si metteva in caricatura l’ideale di quieto vivere borghese incarnato dall’impiegato di banca. La fine della guerra fredda e la conseguente restaurazione oligarchica hanno segnato l’avvio di un drastico regolamento di conti non solo con la classe operaia ma anche col ceto medio, di cui le oligarchie avevano dovuto favorire l’espansione in funzione antisovietica. In questo senso ciò che è avvenuto in Italia dal 1992 in poi non può essere interpretato soltanto come un’operazione coloniale nei confronti dell’Italia. Il colonialismo europeo è stato voluto e sollecitato dalle oligarchie italiane per avere una sponda esterna nell’opera di restaurazione dei rapporti di classe all’interno.
Per decenni il ceto medio dei risparmiatori e dei piccoli imprenditori aveva vissuto un rapporto pseudo-idilliaco con la propria banca, sentendosi servito e riverito. Magari era un’illusione, ma quello che è arrivato dopo è stata la materializzazione di un incubo, che ha assunto anche la forma estrema del “bail-in”, cioè del salvataggio interno a spese dei risparmiatori della banca in crisi. Il terrore generato dal bail-in nei risparmiatori ha rappresentato un ulteriore fattore di instabilità del sistema bancario e, di conseguenza, una spinta energica al cannibalismo bancario.

Tenere la cronaca delle “incorporazioni” da parte di Intesa Sanpaolo richiederebbe pagine e pagine. Nel 2018 è avvenuta anche la sua definitiva “digestione” del Banco di Napoli e di molti altri istituti di credito. Oggi che non c’è più Ciampi per il cannibalismo di Intesa Sanpaolo continuano a non mancare i “facilitatori”. L’acquisizione di UBI Banca infatti non ha trovato alcun ostacolo, semmai avalli cavillosi sia dalla Banca Centrale Europea, sia dalla Consob, sia dall’Antitrust.
Non finisce qui: altre fusioni bancarie sono già in atto. La prossima tappa riguarda la fusione di Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio e BPER, cioè l’ex Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, che a sua volta ha già “incorporato” Unipol Banca ed ha persino una miriade di società controllate, tra cui il Banco di Sardegna.
Le fusioni bancarie vengono cantate dai media come foriere di sorti luminose per l’economia nazionale. La ricerca empirica però non ha quasi mai confortato queste attese; anzi, passato il breve periodo dell’euforia di Borsa delle speculazioni azionarie, l’affare di solito non si rivela vantaggioso neppure per il cannibale; eppure queste acquisizioni continuano, sebbene non siano gratificate dai risultati.
Negli USA la ricerca scientifica sul fenomeno delle fusioni bancarie, ha cercato di spiegare questo paradosso con motivazioni psicologiche dei manager, come il cosiddetto ”Ego Trip”. In realtà il problema non riguarda tanto la megalomania dei manager, bensì quella spinta oligarchica alla concentrazione dei capitali di cui Ciampi è stato un efficace teorico oltre che meticoloso attuatore pratico.
Una delle critiche che vengono più spesso mosse alle fusioni bancarie è che facciano venire meno la concorrenza tra gli istituti di credito. In realtà le banche hanno sempre fatto cartello e di concorrenza se ne è sempre vista davvero poca. Il vero problema è che le fusioni accelerano il processo di distacco delle banche dal territorio e quindi dall’attività di credito per imprese e famiglie. Le banche così si inoltrano sempre di più sul terreno della speculazione finanziaria, dove trovano oggi concorrenti più attrezzati di loro, cioè i fondi di investimento, di cui il più famoso è Blackrock, che è già il secondo azionista di Intesa Sanpaolo. La spinta alla concentrazione dei capitali comporterà probabilmente una cannibalizzazione del sistema bancario da parte dei fondi di investimento.

In collaborazione con Claudio Mazzolani.