Stavolta anche il mainstream non ha potuto fare a meno di notare la coincidenza tra l’inchiesta giudiziaria nei confronti dell’ex ministro degli Interni Matteo Salvini per
il caso della nave Gregoretti e l’imminenza delle elezioni in Emilia Romagna, probabilmente decisive per le sorti dell’attuale governo. Per un Salvini in lento ma costante calo dei consensi nei sondaggi, è una manna dal cielo la prospettiva di occupare per i prossimi due mesi i giornali ed i talk-show nella parte della vittima che si fa accusatore, accreditandosi nuovamente come difensore dei Sacri Confini nei confronti di una pubblica opinione che invece già sospettava di essere stata da lui presa per i fondelli.
Per i 5 Stelle la situazione si configura invece difficilmente sostenibile. Per il suo rigorismo giudiziario sfoggiato nella circostanza, Luigi di Maio è stato accusato di voler sfogare i propri rancori personali contro Salvini, ma è un dato di fatto che Di Maio si trova nella scomoda posizione di chi sbaglia qualunque cosa faccia. Se Di Maio avesse coperto Salvini, sarebbe stato accusato di aver a sua volta qualcosa da nascondere nella vicenda Gregoretti; se avesse invece messo in evidenza che l’eccessiva tempestività dell’azione della magistratura è uno sfacciato regalo elettorale a Salvini, si sarebbe trovato in contraddizione con quel feticismo giudiziario che rappresenta uno dei tratti distintivi della linea politica dei 5 Stelle. Ai loro esordi i 5 Stelle furono bollati come “antipolitica”, quando invece si trattava di analfabetismo politico. Non era necessaria neanche una lettura ma una sbirciatina agli scritti di Montesquieu per rendersi conto che il giudiziario è potere politico a tutti gli effetti. Dove la legislazione non osa arrivare, ci pensa la giurisprudenza; non a caso sono state le sentenze e non le leggi a riconoscere, negli USA, alle multinazionali diritti analoghi e persino superiori a quelli delle persone fisiche. Pensare che la magistratura sia immune dalle pressioni delle lobby, è quindi peggio che un’illusione: è pura stupidità.
Grazie alle “persecuzioni” giudiziarie Salvini può persino permettersi di continuare impunemente a condurre
la messinscena della Lega camuffata come partito “nazionale”. Una sorta di fasullo “doppio” del partito costituito in mera funzione elettorale, che non tocca minimamente gli equilibri politici ed organizzativi della vecchia Lega Nord che, con il suo gruppo dirigente tradizionale, continua indisturbata a condurre la sua linea separatistica.
I finti nemici di Salvini persistono nel presentarlo come un “populista” (ma che vuol dire?) ed uno degli organi più addentro ai meccanismi della mistificazione, il quotidiano “il Foglio”, lo spaccia addirittura per
un avversario del liberismo.
La tecnica retorica utilizzata per sostenere la mistificazione è quella di mantenere i concetti di populismo e liberismo nella più totale indeterminatezza. L’articolista del “Foglio” arriva a dire che per molti “liberismo” significa genericamente ciò che non gli piace, senza però precisare cosa sia effettivamente il liberismo o, come si preferisce dire oggi con l’aggiunta di un inutile prefisso, “neoliberismo”.
Ognuno può avere la sua personale definizione di populismo oppure può fare tranquillamente a meno del concetto; ma per il liberismo non è così. A differenza dell’indistinto contenitore del “populismo”, il liberismo è invece un concetto preciso e consiste nell’illimitata circolazione internazionale dei capitali, che possono entrare e uscire liberamente da un Paese, con la possibilità di delocalizzare qualsiasi produzione. Uno si aspetterebbe che i capitali rompessero gli argini e i confini dilagando ovunque grazie soltanto alla loro incontenibile potenza. Ci si accorge invece che i capitali esteri vengono invitati, vezzeggiati dai governi con agevolazioni fiscali, protetti con leggi ad hoc, rimpolpati con sussidi in denaro pubblico, in base al consueto repertorio dell’assistenzialismo per ricchi. L’edificio teorico e propagandistico del liberismo si risolve praticamente in assistenzialismo per multinazionali. Anche l’Italia ovviamente ha il suo
ente assistenziale per multinazionali: l’agenzia governativa Invitalia.
Tutto questo apparato per poi accorgersi ogni volta che le multinazionali scappano col bottino lasciandosi dietro il deserto industriale. E allora quale forza politica sarebbe oggi pronta a sostenere che invece alla mobilità dei capitali occorrerebbe porre dei limiti?
Quale formazione politica o quale movimento di piazza o quale sindacato, oggi sarebbe disposto ad affermare che un afflusso di capitali esteri è per un Paese addirittura più insidioso e distruttivo di una fuga dei capitali interni?
Anche mettendo da parte i casi estremi e ridicoli dei sindacalisti innamorati delle multinazionali come Marco Bentivogli della FIM-CISL, la realtà è che nell’attuale sistema politico il liberismo non incontra nessun avversario e che la resa all’imperialismo delle multinazionali è totale. L’antiliberismo è solo una posizione di nicchia ed il liberismo si inventa falsi avversari in base al solito vittimismo dei potenti, che serve a giustificare con inesistenti resistenze i disastri provocati dalla mobilità dei capitali. Non c’è migliore alibi per il dominio che quello di spacciarsi come opposizione.