L’Italietta pacioccona del pareggio di bilancio in questi anni si è buttata in folli spese militari. L’ultima venuta è
la portaerei Trieste, prodotta da Fincantieri e Finmeccanica, che è stata varata a Castellammare di Stabia il 25 maggio scorso, alla presenza del Presidente Mattarella e del ministro dello Sviluppo Economico Di Maio. Il costo dichiarato è circa di un miliardo e cento. La stampa ha dato la notizia concentrandosi sull’aspetto folcloristico della presenza di un ministro 5 Stelle a festeggiare una mega-spesa militare.
L’incoerenza dei 5 Stelle è però solo l’aspetto marginale della questione. La presenza di un ministro dello Sviluppo Economico al varo di una portaerei rappresenta il contrassegno di tutte le ambiguità che hanno disseminato il percorso di questa spesa militare, contrabbandata con il pretesto del “dual use”, cioè della doppia destinazione della nave, sia per difesa che per protezione civile. È la conferma di quanto si sapeva da tempo: le spese militari vengono dissimulate in altri capitoli di spesa.
A quanto pare non sarebbe neppure finita qui. Le notizie di stampa a riguardo sono rade e laconiche ma, in base a quanto riferito dal quotidiano “Il Messaggero”, l’anno scorso sarebbe stato effettuato un altro investimento per
un’altra mega-nave, che Fincantieri e Finmeccanica dovrebbero consegnare nel 2022.
Se le cose stessero davvero così, si tratterebbe della quarta portaerei italiana, dopo il finto incrociatore Garibaldi, la Cavour e la Trieste. In base alle condizioni di pace dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia non potrebbe avere portaerei, ma lo sviluppo tecnologico ha portato ad aerei a decollo verticale che possono essere allocati anche su quella che, ufficialmente, sarebbe solo una portaelicotteri.
In base a quanto circolato sui siti militari nel 2016, la terza portaerei avrebbe dovuto chiamarsi “Giulio Cesare”, un nome davvero inquietante, tanto che poi si sarebbe nuovamente ripiegato sulle suggestioni risorgimentali, chiamandola Trieste. A meno che non esista già, infrattata da qualche parte, anche una Giulio Cesare di cui il parlamento non è stato informato. L’ipotesi è azzardata ma non del tutto peregrina, se si considera l’assoluta mancanza di trasparenza che ha caratterizzato queste spese. Nel 2016 vi fu anche una specie di
sfuriata dei parlamentari un po’ di tutti i partiti, i quali constatavano che, in tema di spese militari, erano stati presi per i fondelli e tenuti all’oscuro. Ovviamente il sussulto di indignazione non ha avuto alcun seguito e tutto è continuato come prima e peggio di prima.
Questa storia delle portaerei italiane rende finalmente più chiaro l’isterismo dimostrato dai governi francesi nei nostri confronti. La Francia ha o, per meglio dire avrebbe, una megaportaerei, la De Gaulle, che però si è rivelata ancora più disastrata di quella che l’ha preceduta, la Clemenceau, venuta agli onori delle cronache non per le sue battaglie, ma perché disseminava amianto per tutto il pianeta. La De Gaulle, a sua volta, è quasi sempre in riparazione o restauro, quindi inutilizzabile. La Francia, come il Regno Unito, ha adottato il modello della megaportaerei a trazione nucleare, un modello che funziona se di portaerei se ne hanno dieci, in modo da disporre sempre di tre o quattro realmente funzionanti.
Tutte le portaerei richiedono continui restauri - e infatti anche la Cavour è attualmente in fase di “aggiornamento” -, ma per le megaportaerei è molto di più il tempo che si passa in cantiere che in mare aperto. Insomma, avere una sola megaportaerei è come non averla. Il governo francese sta attualmente considerando la possibilità di sostituire la De Gaulle, ma ripiegare dal modello della megaportaerei ad
un modello più agile, comporterebbe un crollo di status internazionale. Queste remore di grandeur, oltre che le spinte della sempre potentissima lobby nucleare francese, comportano il rischio di ritrovarsi in ritardo nei confronti dell’Italia.
Non si tratta di semplice invidia dei cugini d’Oltralpe nei confronti dell’Italia, ma di qualcosa di più serio. Nel governo francese vi è probabilmente la convinzione che in Italia vi sia una sorta di politica estera sotterranea, che farebbe capo ai tre potentati di ENI, Finmeccanica e Fincantieri, una politica che avrebbe mire imperiali sul Nord Africa, quindi su quello che la Francia considera il proprio cortile di casa. I timori francesi potrebbero essere confermati dal fatto che all’aumento del naviglio militare italiano, corrisponde anche
un aumento delle truppe da sbarco. Nel 2013 il battaglione San Marco è infatti diventato una brigata composta da tre reggimenti, per un totale di circa quattromila fucilieri di Marina.
Tutto è possibile, ma l’aumento a dismisura delle spese militari non rappresenta di per sé il segnale certo di velleità imperiali. A parte gli ovvi e storici scetticismi sulle virtù militari degli alti gradi della Marina italiana, occorre infatti constatare che il lobbying del complesso militare industriale italiano ha la vita sin troppo facile, visto che, in base ai dogmi liberisti, il settore industriale militare è l’unico in cui lo Stato può tranquillamente intervenire senza incorrere nella violazione delle norme di concorrenza. Questo lobbying industriale militare si è dimostrato assolutamente trasversale ai vari governi di tutte le coalizioni e continuerà ad imperversare anche dopo la caduta del governicchio Conte.
Tra i disastri del liberismo vi è anche quello di spingere verso il militarismo. Il panettone di Stato era considerato uno scandalo intollerabile, mentre dai liberisti è considerato giusto e normale che lo Stato investa nella “Difesa”. L’unico keynesismo ammesso è quello militare.
Le portaerei fanno PIL, sviluppo tecnologico, lavoro stabile e qualificato, quindi sono l’unica ancora di salvezza contro la decadenza irreversibile del settore industriale determinata dalle politiche liberiste. Un dato oggettivo che serve a tacitare anche i politici più in buonafede. L’eventuale buonafede però non implica necessariamente buonsenso; anzi, in questo caso è il contrario. Non si tiene conto del fatto che un’Italia troppo armata, e con le idee confuse, rappresenta un fattore di destabilizzazione nel Mediterraneo. Non soltanto la Francia, ma anche la Turchia e l’Egitto potrebbero sentirsi minacciati nei loro orticelli di influenza. Possedere dei “gioielli” militari poi non sempre è utile per difendersi, ma può trasformare in prede da derubare. Le guerre non si combattono solo in modo aperto, ma soprattutto destabilizzando il nemico dall’interno.