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LE BOMBE INNESCATE DELL’ECONOMIA REALE
Di comidad (del 20/06/2019 @ 00:38:29, in Commentario 2019, linkato 8563 volte)
La gerarchia internazionale è composta da Paesi giudici e Paesi perennemente imputati. Nei prossimi vertici internazionali il governo cinese sarà chiamato a rendere conto delle manifestazioni di Hong Kong, quando invece nessuno si era sognato di mettere sulla sedia degli imputati gli USA o il Regno Unito per le rivolte e le repressioni razziali di Ferguson o di Birmingham.
Se ai meccanismi della gerarchia internazionale si aggiunge il lobbying commerciale, l’effetto è esplosivo. Oggi l’Iran viene accusato dagli USA e dai suoi satelliti di aver compiuto gli attentati alle petroliere nel Golfo dell’Oman. Queste accuse pregiudiziali e pretestuose ci sarebbero state anche venti anni fa, ma ora c’è di mezzo la guerra commerciale che gli USA stanno combattendo per promuovere i loro costosi idrocarburi ricavati dalla frantumazione delle rocce di scisto. Ogni Paese produttore di petrolio e di gas è quindi nel mirino degli USA: Iran, Russia, Venezuela e, prossimamente, anche la Nigeria.
Si parla spesso, giustissimamente, delle prevaricazioni della finanza sull’economia reale, ma gli idrocarburi ricavati dallo scisto rappresentano un business che dimostra quanto possa essere distruttiva la cosiddetta economia reale. L’espressione “economia reale” va sempre presa con le molle ed in questo caso più di altri, infatti gli idrocarburi ricavati dallo scisto rappresentano un business col massimo di impatto ambientale, un business drogato dalla finta emergenza della fine del petrolio; un falso allarme che ha giustificato l’afflusso di enormi finanziamenti pubblici alle compagnie private. Pseudo-allarmismo ed assistenzialismo per ricchi: il capitalismo nella forma più ortodossa. Il guaio è che i falsi allarmi hanno creato le condizioni per un allarme vero.
Gli idrocarburi ricavati dallo scisto sono infatti troppo cari per incontrare spontaneamente la domanda, ma gli investimenti nel settore sono stati faraonici, con il rischio che saltino le principali aziende coinvolte nel business del fracking, con la conseguente prospettiva di trascinarsi dietro l’intera economia americana. L’agenzia USA per l’energia ci ha fatto perciò sapere con un suo documento ufficiale che l’esportazione di gas di scisto sarà una priorità, un vero e proprio export di libertà verso i Paesi, come quelli europei, oppressi dalla dipendenza energetica nei confronti della Russia e dell’Iran.
Gli idrocarburi ricavati dallo scisto sono solo una delle bombe innescate dagli USA nell’economia reale. In ritardo sulle tecnologie informatiche di quinta generazione, gli USA hanno risolto il problema bloccando le sinergie tra le multinazionali informatiche americane e la cinese Huawei. Il pretesto adottato nella circostanza è quello della “sicurezza” delle comunicazioni americane, che i Cinesi potrebbero violare: una narrazione al cui confronto diventa credibile persino quella sulla nipote di Mubarak. Intanto le vendite di Huawei sono crollate del 40% ed i mega-investimenti cinesi rischiano di andare in fumo.
La Cina oggi è il gigante dell’economia reale e quindi è anche la più esposta alle guerre commerciali. La Cina a sua volta è uno dei maggiori detentori del debito USA, perciò si apre un possibile scenario inverso a quello a cui ci eravamo abituati negli ultimi anni: stavolta una crisi dell’economia reale potrebbe riversarsi sulla finanza.

L’altra bomba già innescata riguarda il settore dell’auto. La Volkswagen ha guidato il processo di iper-tecnologizzazione del prodotto automobile. Si è visto poi che la tecnologia serviva a mascherare le emissioni tossiche e non ad eliminarle. L’automobile iper-tecnologica, con un costo ed un prezzo elevati, ha rappresentato un grosso traino per la finanza, dato che le auto si possono acquistare solo a credito. Alla fine dell’anno scorso vi è stato il temuto crollo delle vendite di auto. La Volkswagen, seppure ancora ai vertici delle vendite, comincia a perdere colpi ed a ridurre personale, giustificando il tutto con i processi di automazione.
Come spiegava Marchionne buonanima, attualmente il costo di progettazione e produzione di un nuovo modello lo rende remunerativo solo se lo si vende a milioni. Ma il possesso dell’automobile non è più ritenuto da tutti come una priorità, tanto è vero che si stanno sempre più affermando multinazionali del noleggio auto.
Il rischio che la Volkswagen deve scongiurare è che qualche Paese si rimetta a produrre prima di lei auto attraenti ma a basso costo, auto destinate a fasce di consumatori più ristrette. L’Italia non pensa affatto di farlo, anzi si illude ancora che FCA sia un’azienda italiana; ma l’Italia è in grado di farlo: un motivo più che sufficiente per bloccarne preventivamente il potenziale industriale, altrimenti la Volkswagen non può investire a cuor leggero. Nella gerarchia internazionale l’Italia è strutturalmente in posizione di imputato e a questo si aggiunge non solo la tradizionale virulenza del lobbying finanziario ma anche l’aggressività crescente del lobbying commerciale. L’eventualità di un commissariamento si fa sempre più realistica e lo sarebbe quale che fosse il governo in carica, anche in considerazione del fatto che l’arrivo della Troika trova i suoi entusiastici supporter persino all’interno dell’Italia.

Matteo Salvini ha costruito la sua linea politica pseudo-sovranista sul modello dell’Ungheria di Orban: diminuzione delle tasse e pretestuosa enfatizzazione dell’emergenza migratoria. Un’emergenza che, nel caso dell’Ungheria del debolissimo fiorino, è particolarmente inconsistente, dato che la migrazione si muove solo verso Paesi a moneta forte, che consenta al migrante di trasformare un basso salario in qualcosa di più sostanzioso grazie all’effetto cambio. Orban può impunemente atteggiarsi a bullo ed “enfant terrible” perché il suo Paese è pienamente integrato nel sistema tedesco, svolgendo il lavoro sporco di impedire il passaggio di migranti verso la Germania ed accogliendo le delocalizzazioni, poiché, se da un lato il cambio sfavorevole del fiorino scoraggia i migranti, dall’altro lato attrae i capitali.
Salvini quindi, imitando Orban, ha finito per adottare inconsapevolmente non un modello sovranista ma un modello coloniale. È molto dubbio che un modello del genere gli serva in un contesto di crescente guerra commerciale. Certo è che se le guerre commerciali dovessero diventare guerre guerreggiate con mezzi militari, questi problemi sembrerebbero inezie.