I media ci hanno fatto sapere che la Francia per mezzo del suo uomo, il generale Haftar, ci sta estromettendo dalla Libia. Ma l’Italia non era stata già estromessa dalla Libia nel 2011, quando l’allora presidente francese Sarkozy aveva mosso guerra a Gheddafi?
In questi otto anni qualcosa ci deve essere sfuggito. Emuli di Graziani e di Balbo, i bellicosi Italiani attuali devono aver riconquistato la Libia manu militari imponendovi il regime del loro Quisling, Al Sarraj.
Ovviamente non c’è stato nulla di tutto questo. I governi italiani hanno sempre appoggiato il regime di Tripoli solo perché era quello riconosciuto dalla “Comunità Internazionale”, cioè dagli Stati Uniti. Al Sarraj è stato messo lì non da Monti, non da Letta, non da Renzi, non da Gentiloni, non da Conte, ma da Obama. Al Sarraj è stato l’interlocutore dei nostri governi, perché ad un Paese che occupa un grado infimo nella gerarchia internazionale non ne sarebbero stati concessi altri. Del resto neppure re Idris e neppure Gheddafi erano stati messi lì dall’Italia e, quando hanno trovato conveniente farci affari, è stato perché l’Italia era più debole degli altri e quindi costretta a concedere di più. Dopo la figuraccia e il tradimento nei confronti di Gheddafi nel 2011, l’Italia ha perso completamente la faccia, eppure gli affari continuano. Segno che i partner dell’ENI non si aspettano affatto serietà e determinazione dagli Italiani, ma solo condizioni contrattuali più favorevoli e tangenti più consistenti. La debolezza e l’insipienza possono essere percepite come caratteristiche attraenti.
I soliti predicatori dell’italocentrismo autodenigratorio alla Massimo Giannini, col ditino sempre puntato, hanno affermato che in questi anni l’Italia in Libia ha puntato sul cavallo sbagliato; ma immaginiamoci cosa sarebbe successo se l’Italia avesse prevenuto Macron ed avesse stabilito proprie relazioni ufficiali con Haftar. Il governo italiano sarebbe stato accusato di destabilizzare la Libia e si sarebbe beccato come minimo una risoluzione di condanna dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
È vero che in questi otto anni l’ENI ha continuato a fare i propri affari in Libia, ma non perché avesse trovato in Al Sarraj il suo burattino. Al Sarraj non ha mai contato nulla e l’ENI ha continuato le sue attività versando la mazzetta a tutte le tribù che la pretendevano. E non perché l’ENI fosse particolarmente furbo (l’ENI di Mattei è ormai più una leggenda che un ricordo), ma perché ha dovuto subire sequestri di persona e prese di ostaggi ogni volta che ha provato a lesinare sui versamenti. Si è cercato di
depistare le indagini sull’uccisione degli ostaggi verso l’ipotesi della “vendetta degli scafisti”; ma, guarda la combinazione, era sempre l’ENI a segnalare il pericolo dei sequestri.
L’attuale governo Conte ha proseguito in Libia sulla stessa identica linea del governo Gentiloni. Per negare questa palmare evidenza, l’ex ministro degli Interni
Minniti ha escogitato tutta una narrativa per stabilire un nesso tra l’egoistica politica migratoria di Salvini e l’attuale “isolamento” dell’Italia.
È chiaro che si tratta di sciocchezze; neanche di sciocchezze a fini elettorali, poiché Minniti sta facendo un ulteriore regalo propagandistico a Salvini facendolo apparire come una vittima della vendetta di Macron. Si tratta in realtà dello stesso Macron che lanciava le sue provocazioni a Ventimiglia, quando però il ministro degli Interni era Minniti. Gli esponenti del PD sembrano ora accreditare l’idea che pur di colpire Salvini tutto sia lecito, anche alimentare una guerra civile con migliaia di morti e ondate di profughi che l’Italia dovrebbe gestire. Non è una posizione che possa riscuotere molta popolarità.
C’è da rilevare che lo scenario secondo cui in Libia si starebbe giocando una partita tra noi e Macron, ha scarse pezze d’appoggio. Non per nulla a proporre questa rappresentazione è il quotidiano “la Repubblica” e lo fa in modo da trasformare la questione libica in un ulteriore motivo di polemica politica interna. Il compito istituzionale di organi come “La Repubblica” è di fomentare un clima di spaccatura e di guerra civile su alternative completamente inconsistenti. Il destino sarà anche crudele, ma non ci sta affatto costringendo a scegliere se schierarci con Salvini o con Macron.
Persino la rivista “Limes”, nell’affannosa ricerca di “errori” italiani (come se i governi italiani fossero davvero in grado di scegliere qualcosa), si è spinta ad individuare un improbabile legame tra l’abbandono di Al Sarraj da parte degli USA e la firma di Conte al memorandum cinese per la Via della Seta, una firma che avrebbe (senti, senti) compromesso lo schieramento “occidentale” dell’Italia. Ma come ? Le centodieci basi militari USA in Italia non garantirebbero abbastanza questo “schieramento occidentale”?.
“Limes” si comporta a volte come un’agenzia di disinformazione, spargendo notizie infondate come quella riguardo un disinteresse americano per la Libia. A parte il fatto che gli USA hanno proprie truppe in Libia, è evidente che l’Amministrazione statunitense è interessata a qualsiasi Paese petrolifero che possa fare concorrenza al ribasso al costoso petrolio di scisto che si produce negli USA. Se c’è un Paese interessato a lasciare la Libia nel caos per metterne fuori mercato gran parte delle risorse petrolifere, questo Paese è proprio gli Stati Uniti. Anche l’altro mega-produttore di petrolio africano, la Nigeria, quindi non può dormire sonni tranquilli.
La gerarchia imperialistica occidentale è composta da un imperialismo dominante, quello USA, con alcuni sub-imperialismi, di cui due sono attivi in Africa, quello francese e quello britannico. L’Italia non ha e non mai avuto il riconoscimento di un ruolo sub-imperialistico, perciò è rimasta allo stadio di imperialismo debole, un imperialismo di straforo che trova i suoi spazi nelle crepe degli imperialismi altrui. La destabilizzazione USA ha di fatto impedito la stabilizzazione e spartizione della Libia tra Francia e Regno Unito, favorendo indirettamente l’imperialismo debole italiano. Macron quindi si atteggia a bullo con l’Italia perché non può prendersela con chi davvero lo ostacola, cioè gli USA.
La politica di destabilizzazione degli USA comporta anche altri inconvenienti. Non solo in Africa ne è stata favorita la Cina, ma vi è stato anche in questi anni
un inserimento della Russia in Libia, così da diventare uno degli sponsor di Haftar, insieme con la Francia, l’Egitto e l’Arabia Saudita. Ciò smentisce ancora una volta la tesi secondo la quale Macron sarebbe il principale attore in Libia, sebbene oggi anche ai Russi faccia comodo lasciarlo credere. Adesso anche Conte ha stabilito proprie relazioni con Haftar nell’eventualità che conquisti Tripoli.
Che Haftar non escluda l’Italia dai suoi possibili partner commerciali, è abbastanza fisiologico, perché gli affari sono affari. Del resto se l’Italia è riuscita a rimanere in Africa nonostante tutto, non è stato certo per abilità dei suoi governi o dell’ENI, ma per l’arroganza e impotenza dei suoi concorrenti. Agli occhi degli Africani, gli Italiani possono infatti vantare una virtù incommensurabile: non sono Francesi e neppure Inglesi o Americani.
In definitiva, la campagna mediatica allarmistica di questi mesi circa le sorti dell’imperialismo italiano in Libia non ha fondamento, poiché l’Italia non può rischiare di perdere posizioni che ha già perso nel 1943; mentre, proprio per la sua debolezza, l’Italia può ancora essere considerata come un partner interessante dagli affaristi africani. Il problema è che questo allarmismo pretestuoso ha spostato l’attenzione dal punto vero, cioè il fatto che ad alcuni governi è ormai internazionalmente riconosciuto il diritto di destabilizzare a piacimento altri Paesi.