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I RAPPORTI SOCIALI EMERGENZIALISTI
Di comidad (del 14/03/2019 @ 00:55:13, in Commentario 2019, linkato 9000 volte)
Quando si dice il complottismo. Il presidente venezuelano Maduro ha accusato gli USA di aver provocato ad arte gli attuali black out di energia elettrica in Venezuela. Maduro è notoriamente un paranoico, infatti ha affidato i proventi del petrolio venezuelano alle banche USA e l’oro venezuelano alle banche inglesi. Si è visto con quali risultati.
I sistemi di centralizzazione della rete distributiva dell’energia elettrica, in uso da una ventina d’anni a questa parte, rendono molto più agevole evitare black out ma, al tempo stesso, rendono altrettanto agevole provocare black out pilotati; perciò le accuse di Maduro, sebbene non siano necessariamente vere, sono comunque plausibili. Al di là di come siano andate effettivamente le cose in questa specifica circostanza, c’è da osservare che gli USA possono vantare una notevole esperienza in fatto di black out organizzati a bella posta.
Sul caso dell’azienda elettrica californiana Enron, verificatosi all’inizio degli anni 2000, esiste ormai una notevole documentazione probatoria e persino nastri registrati. È risultato che gli amministratori della Enron si servissero di questi black out per creare finte emergenze, che diventavano il pretesto per riscuotere fondi pubblici. I fondi pubblici, a loro volta, determinavamo un’euforia sui mercati borsistici, per cui il titolo Enron schizzava alle stelle.
Le condanne penali inflitte agli amministratori della Enron, successivamente ammorbidite, non hanno scalfito minimamente il modello Enron che continua ad imperare. Più significative della stessa Enron, sono probabilmente le tante “Enron” che non hanno subìto la rara disavventura di essere state scoperte. Dopo il caso Enron, nel 2003, anche New York subì un altro black out di grandi proporzioni. Rispetto al black out accaduto a New York nel 1977, quello del 2003 fu rose e fiori, tanto che il giornalista filoamericano Giuliano Ferrara ne paragonò gli effetti ad un picnic. In realtà, se è vero che nel 2003 non vi furono i saccheggi e le migliaia di arresti del 1977, il bilancio finale degli effetti del black out fu di undici morti. Cifre analoghe hanno consentito oggi ai media di descrivere un Venezuela nel caos.
Ma, soprattutto, nel caso dei black out del 2003 (ve ne fu uno anche in Italia), le spiegazioni ufficiali sono state del tutto inconsistenti e i risvolti affaristici sono rimasti nell’ombra. Nei periodi in cui il sistema finto-emergenziale non è nella fase virulenta e quindi il sistema mediatico non è del tutto irreggimentato dagli interessi delle lobby, anche la stampa mainstream si concede qualche deroga al suo conformismo, perciò, episodicamente, è stato possibile leggere certe amare riflessioni sul capitalismo reale, così come risulta dal paradigma Enron, persino sulle castigatissime colonne del “Corriere della Sera”.

La pseudo-emergenza della “prossima fine del petrolio” è stata anche alla base del business americano del petrolio ricavato dalla frantumazione delle rocce di scisto (il “fracking”). Dopo aver riscosso fiumi di denaro pubblico, il petrolio di scisto è arrivato in una fase di mercato già depressa, perciò ha contribuito ad un’ulteriore caduta dei prezzi petroliferi. Dati gli alti costi del fracking, la vendita del prodotto è remunerativa solo a prezzi alti, perciò per la lobby statunitense del petrolio di scisto non vi è stata altra possibilità che accelerare il processo di destabilizzazione del principale produttore potenziale di petrolio, il Venezuela. Solo uno shock del genere avrebbe potuto avviare un processo di stabile risalita dei prezzi petroliferi.
La presunta emergenza umanitaria in Venezuela e la prospettiva di una guerra civile che mettesse il petrolio venezuelano fuori mercato, avevano realmente determinato una nuova impennata dei prezzi, ma il deciso intervento della Russia ha, per il momento, allontanato l’eventualità di una caduta di Maduro. L’effetto è stato che uno dei grandi fondi sovrani, quello norvegese, ha disinvestito dai titoli petroliferi ritenendoli non sufficientemente affidabili.
Ma queste relative pause non comportano un cambiamento di tendenza. Un sistema capitalistico drogato di emergenzialismo non ha altra strada che puntare sulla fabbricazione di nuove emergenze. La potenza dell’emergenzialismo non sta in un retroterra cospirativo, ma nel fatto di costituire uno schema comportamentale consolidato nei rapporti sociali e nel linguaggio, tanto da suscitare automaticamente conformismo. Non sono quindi necessari complotti o particolari accordi sottobanco per avviare un’emergenza, ma è sufficiente che parta l’impulso da un piccolo gruppo perché l’intero sistema si adegui per effetto della minaccia della catastrofe incombente, con l’occasione di business che sempre l’accompagna.
Le autorità costituite della sedicente “civiltà occidentale”, come lo Stato e la Legge, rappresentano una superficiale verniciatura “civile” di altre gerarchie, molto più arcaiche e superstiziose. L’emergenzialismo determina una vera e propria gerarchizzazione razziale, per la quale la società si suddivide in un gruppo divinizzato di “Salvatori” e nella massa amorfa ed inferiore di coloro che devono essere “salvati”, magari dal pericolo che rappresentano per loro stessi. Non a caso i “salvataggi” non esimono i “salvati” dal dover compiere rituali espiatori e sacrifici per le loro colpe passate, presenti e future.