Non è un caso che di una questione di competenza delle istituzioni sanitarie come le vaccinazioni sia stata investita invece la Scuola, che non c’entrava nulla. Non è un caso neppure il fatto che il governo abbia adottato la linea della drammatizzazione artificiosa e della conseguente emergenza, determinando pasticci giuridici come quello di un “obbligo” scolastico condizionato alla presentazione di autocertificazioni o di certificazioni di vaccinazioni da parte dei genitori. E, ancora, non è un caso che la risoluzione dei conflitti derivanti da una normativa contraddittoria e caotica sia stata demandata a figure come i Dirigenti Scolastici, fabbricate appositamente in base ad una antropologia “manageriale” del diniego insolente e pregiudiziale, dell’ottusità e della rissosità.
La Scuola infatti non è più concepita come un’istituzione che debba svolgere una propria e specifica funzione, bensì come un laboratorio sociale del lobbying multinazionale. La scelta di usare la Scuola come veicolo di un terrorismo contro le famiglie non abbastanza sollecite a vaccinare i bambini, rientra appunto in un’operazione di lobbying a favore delle multinazionali farmaceutiche.
Nel laboratorio sociale i governi hanno finito per testare soprattutto la propria malafede: se Gentiloni e soci avessero davvero creduto nella necessità dei vaccini per tutelare la sanità pubblica, avrebbero pianificato e disciplinato l’obbligo della vaccinazione ed i relativi controlli nell’ambito delle ASL e della medicina di base. La scelta di usare la Scuola per innescare una concitata corsa alle vaccinazioni indica perciò che occorreva bruciare i tempi, prima che l’insorgenza di qualche grosso scandalo sulla qualità dei vaccini determinasse il rischio di far sgonfiare il business.
Se l’antropologia dei dirigenti scolastici è di marca bullistica, quella degli insegnanti è all’insegna dell’inconsapevolezza compiaciuta e opportunistica. Pur ricoperta di critiche da parte del corpo docente, l’alternanza Scuola-lavoro vede oggi un impegno meticoloso e volontaristico da parte degli insegnanti, i quali nella loro maggioranza non hanno neppure ritenuto di adottare una forma di resistenza simbolica, come l’aspettare almeno un ordine di servizio prima di collaborare.
Gli insegnanti non si sono resi conto (o non hanno voluto rendersi conto) di operare così per la propria delegittimazione. L’alternanza Scuola-lavoro infatti toglie autonoma dignità all'istruzione pubblica e la subordina al mercato del lavoro; ma ciò che risulta più grave è rappresentato dalla concezione del lavoro che viene così imposta alle giovani generazioni: non uno scambio ma una servitù. Il lavoro, qualsiasi lavoro, andrebbe pagato, ma il pretesto della “formazione” esime le aziende da questo obbligo che persino i preti una volta invocavano (“dare la giusta mercede all’operaio”).
Per criticare il capitalismo si dice spesso che il lavoro è una merce; poi si scopre che la situazione in realtà è molto, ma molto, peggiore. Se le merci si devono pagare, il lavoro invece può essere estorto attraverso la “formazione” ed il “volontariato”. Il governo aggiunge al danno la beffa annunciando
una “Carta” contro gli “abusi” degli imprenditori ai danni degli studenti, come se l’abuso non fosse già intrinseco alla sottomissione istituzionalizzata dell’istruzione all’impresa.
La vicenda dell’ alternanza Scuola-Lavoro sfata anche un altro luogo comune sul potere, quello sul “consenso”. Storicamente le opposizioni rivoluzionarie sono state afflitte dagli scopritori dell’acqua calda, cioè da quelli che si accorgono improvvisamente che il potere ha il “consenso”; senza però mai precisare di che consenso si tratti. L’alternanza Scuola-lavoro ha dimostrato ancora una volta che ogni potere si avvale di una rendita di posizione che travalica consensi e dissensi e si avvale di un’obbedienza rassegnata e opportunistica.
Il governo Gentiloni ha rilanciato anche la riduzione del ciclo di istruzione superiore a quattro anni, cioè una Scuola-parcheggio conclamata; un’ipotesi che peraltro già si sperimentava da tempo ed era subordinata alla costruzione delle necessarie infrastrutture intermedie. Il ciclo di quattro anni corrisponde infatti al modello anglosassone, che demanda la vera istruzione ai corsi universitari e pre-universitari (il “College”, appunto, che non è altro che il vecchio Liceo che non si potrà più fare al Liceo). Tutti i corsi saranno ovviamente a pagamento o, meglio ancora, a credito. Si tratta del modello anglosassone di finanziarizzazione dell’istruzione che fa di
ogni studente un potenziale indebitato cronico.
Non per nulla tra le materie di insegnamento scolastico da anni si sta introducendo la cosiddetta
“educazione finanziaria”, cioè un merchandising di prodotti finanziari per studenti e famiglie. A proposto di agenzie di lobbying occulte: è la Banca d’Italia ad occuparsi istituzionalmente di promuovere l’educazione finanziaria nella Scuola.