Ad appena un anno di distanza dalla riforma del lavoro di Hollande, il neo-presidente francese Macron è già pronto a ripresentarne un’altra che ribadisce ed inasprisce i contenuti della precedente. Grazie alla vicenda dei migranti ormai anche i commentatori meno avveduti hanno cominciato ad accorgersi che Macron non è affatto un “europeista” (ammesso che gli “europeisti” esistano), ma uno che fa, caso per caso, gli interessi dell’oligarchia francese. La sopravvivenza dell’euro infatti non è più il movente di questo rincorrersi delle riforme del lavoro. L’euro è servito come veicolante ed acceleratore di processi di finanziarizzazione e precarizzazione, ma questi processi si ha tutta l’intenzione di proseguirli oltre la prevedibile liquidazione della cosiddetta “moneta unica”, ormai troppo sbilanciata a favore degli interessi tedeschi. La liquidazione dell’euro probabilmente sarà formalizzata quando il governo francese avrà comodamente allestito tutte le sue vie d’uscita.
In una di quelle che una volta erano definite “potenze economiche emergenti”, il Brasile, è già stata preparata dal governo golpista una riforma del lavoro che, pur in contesto ancora segnato da forme di sfruttamento tradizionale, inserisce criteri di precarizzazione. Il rapporto di lavoro precario viene legittimato attraverso il principio della esternalizzazione del processo produttivo, con l’affidamento di fasi della produzione ad aziende esterne che usino lavoro temporaneo.
Per colmo di sfortuna per il governo golpista le notizie sulla ripresa dell’economia e dell’occupazione in Brasile sono giunte prima che la riforma venisse varata, perciò non si potrà attribuirne il merito alla riforma stessa, come era invece riuscito a Renzi. In Brasile ci sono state le
prevedibili proteste ma, per ora, i principali sindacati si sono fatti intimidire dal clima golpista e non hanno proclamato lo sciopero generale.
A causa di un’incessante e capillare propaganda le cosiddette “sinistre” non sono più pronte ad indignarsi di fronte all’eventualità di golpe; anzi, una parte dell’opinione pubblica di “sinistra”, dopo la vicenda della deposizione della presidente Rousseff in Brasile, ha cominciato a prendere le distanze anche dal governo regolarmente eletto di Maduro in Venezuela. Dopo la “sinistra interventista”, che ha dato prova di sé nel 2011 per la Libia, vedremo perciò una “sinistra golpista” nel caso venezuelano.
Introdurre la precarizzazione in un colosso economico come il Brasile valeva bene un colpo di Stato, poiché la precarizzazione non è solo un modo di ridurre il costo del lavoro, ma costituisce un business in se stessa. La precarizzazione del lavoro implica infatti l’intermediazione del lavoro e, non a caso in agricoltura e in edilizia era diventata una piaga sociale - il caporalato -, tanto che ci si era decisi a considerarla reato, anche se non si è mai fatto nulla di serio per perseguirla.
Ma la tecnologia riabilita tutto. Oggi i caporali si chiamano agenzie di lavoro “interinale”, o di “somministrazione” del lavoro, o di “servizi” al lavoro. Nel 1999
l’elenco delle agenzie di lavoro interinale (ovvero di caporalato legalizzato) stava in una paginetta. In una città come Torino operava allora una sola agenzia di lavoro interinale. In meno di venti anni il business è esploso ed il numero di multinazionali (anche italiane) che lucrano nel settore dell’interinale è praticamente sterminato.
L’ex segretario del PD Pierluigi Bersani ha rilanciato lo slogan della dignità del lavoro, ma lo fa con lo stesso metodo esclusivamente propagandistico adottato dal laburista Corbyn per quanto riguarda la questione dell’indebitamento degli studenti inglesi. Non si precisa infatti che si ha a che fare con lobby multinazionali agguerrite, capaci di farti vedere nero il bianco e bianco il nero, ma soprattutto pronte a ricorrere a mezzi spicci, come si è visto in Brasile.
La pericolosità di certe lobby sta anche nell’intreccio e nella “sinergia” tra i vari business. È sempre più evidente infatti il nesso tra precarizzazione del lavoro e finanziarizzazione dei rapporti sociali. Il lavoratore “interinale” o “atipico” costituisce infatti il
target ottimale dei servizi della microfinanza. In parole povere, i precari sono le prede più facili per la frode dei piccoli prestiti.
Vi sono anche i
prestiti-esca, cioè quelle offerte di credito che inizialmente possono presentarsi con la faccia amichevole dei prestiti senza interesse. Ma poi, man mano che si incappa nell’insolvenza, gli interessi da pagare non solo arrivano, ma crescono a dismisura.
Oggi chi osservi che la precarizzazione non risponde affatto ad esigenze di produttività ma che costituisce invece un business in sé - e per di più un business connesso alla finanziarizzazione -, non potrà sfuggire a quel consueto espediente retorico che si potrebbe definire: “reductio ad complottistam”. Eppure i dati stanno lì. Le agenzie di “servizi per il lavoro” richiedono minimi investimenti in capitale fisso, che si riduce a qualche struttura informatica, a fronte di profitti illimitati. Quindi un business a rischio quasi zero.
Non per niente l’interinale è diventato uno dei
business preferiti dalle multinazionali. Nel 2015 il nostro governo ci comunicava, tutto entusiasta, che nel settore era entrato nientemeno che Amazon.