Più di un commentatore ha notato l’assoluto nonsenso della
lettera di risposta di Matteo Renzi ad Eugenio Scalfari, il quale sollecitava una posizione del governo italiano sulla proposta del presidente della BCE, Mario Draghi, di istituire la figura del ministro del Tesoro europeo. Renzi ha infatti ripresentato, persino nelle virgole, la stessa litania che ripete da due anni: l’austerità non basta, la Germania non rispetta le regole, mentre noi le rispettiamo, ecc.
Se Renzi avesse voluto, o potuto, spostare la polemica su un piano più incisivo, avrebbe quantomeno messo in evidenza l’inganno insito nella proposta di Draghi,
la quale non fa altro che prospettare ai governi del Sud-Europa altre deleghe in bianco in cambio di promesse generiche. In queste condizioni di impotenza, la strada maestra per Renzi sarebbe di tacere di più e di fare di meno in termini di “riforme”, dato che ogni atto di obbedienza non fa altro che ribadire la sottomissione ai diktat di Bruxelles e di Francoforte. Se è vero che Draghi tiene il Tesoro italiano per i cosiddetti, dato che è proprio la BCE oggi a sostenere il debito pubblico italiano comprando i suoi titoli, è anche vero che un default dell’Italia non sarebbe una buona notizia per le banche del Nord-Europa.
Non è questione di “sovranità” o di indipendenza, dato che ci sarebbe da discutere sul fatto che l’Italia tale indipendenza l’abbia mai avuta davvero. Molti storici tedeschi ritengono, legittimamente, che l’Unità d’Italia sia una creatura prussiana. Senza la guerra austro-prussiana del 1866 - quella che in Italia è passata come Terza Guerra d’Indipendenza -, non solo l’Italia non avrebbe potuto ottenere il Veneto dall’Austria sconfitta, ma la stessa Austria non avrebbe cessato la sua assistenza alla guerriglia legittimista del Meridione d’Italia (il famoso “brigantaggio”, ma oggi lo si chiamerebbe “terrorismo”); guerriglia che infatti si esaurì di lì a poco. La guerra franco-prussiana del 1870 e la sconfitta francese consentirono inoltre l’annessione di Roma al Regno d’Italia, poiché il cancelliere Bismark aveva neutralizzato il protettore del papa, Napoleone III. Non a caso la “Breccia di Porta Pia” e l’ingresso delle truppe sabaude a Roma avvennero venti giorni dopo la disfatta francese di Sedan contro i Prussiani. Insomma, la tesi storica secondo cui l’unificazione italiana sarebbe stata un sottoprodotto dell’unificazione tedesca operata dal cancelliere prussiano Otto Von Bismark, ha un suo fondamento oggettivo.
La schizofrenia renziana, ed in genere della classe “dirigente” italiana, consiste nel voler combinare il servilismo tremebondo con l’illusione di poter un giorno discutere allo stesso livello con i padroni; cioè non si pone la propria condizione di debolezza come un dato scontato da cui partire per far valere le proprie ragioni. La cognizione della propria debolezza non è autorazzismo, mentre lo è la smania di rendersi “degni” dei propri padroni, magari dimostrando di saper fare i “compiti” che ci assegnano. L’autorazzismo si esprime con un senso di inadeguatezza nazionale; un’inadeguatezza che andrebbe colmata attraverso le solite “riforme”.
Sarebbe un errore però considerare tutto questo come se si trattasse di un problema psicologico o culturale degli Italiani. Non si comprende nulla dell’imperialismo se non si sottolinea il suo carattere bilaterale: ogni oligarchia locale tende a vedere nel dominio straniero un’occasione per regolare i conti al proprio interno contro le classi povere. La sottomissione imperiale può avere i suoi aspetti duri anche per i ricchi, ma comunque i poveri rimangono per loro il primo nemico. L’imperialismo non si configura quindi come un confronto di potenza tra le nazioni, ma come una guerra mondiale dei ricchi contro i poveri.
Questo schema bilaterale dell’imperialismo può essere applicato alla stessa oligarchia tedesca, che è sì sottomessa agli USA nel quadro dell’imperialismo NATO, ma comunque in una posizione di forza nei confronti degli altri Paesi europei. Il sub-imperialismo tedesco ha i suoi effetti anche interni, dato che la classe operaia tedesca ha visto comprimere sempre più il proprio salario negli ultimi quaranta anni.
In Italia le critiche nei confronti del sub-imperialismo tedesco sembrano farsi sempre più esplicite. Sul quotidiano “Il Giornale” l’ex ministro Renato Brunetta non esita ad
accusare la Germania di volersi “mangiare” le banche italiane. Tutto vero, ma questo frammento di verità viene inserito in un contesto che lo falsifica e che ribadisce la sottomissione al quadro imperialistico, dato che si colloca in un organo di stampa che fa dell’allarmismo anti-islamico il suo cavallo di battaglia.
L’Islam come religione è ovviamente solo un pretesto propagandistico, che serve ad evocare un presunto assalto dei poveri del mondo alla cittadella dei ricchi, cioè il Sacro Occidente. L’accostamento subliminale tra Islam e poveri non è un’esclusiva della destra palese, ma riguarda anche ambienti della cosiddetta “sinistra”. Su un numero del gennaio 2016 del settimanale “Charlie Hebdo” la giornalista Angélique Kouronis narra su ben due pagine di un suo tour di vari giorni nella periferia di Parigi per registrare la reazione della gente alla vista del giornale “Charlie Hebdo” nelle sue mani. Le reazioni sarebbero state molto più pacate di quanto ci si aspettasse, o si sperasse. Ma il punto è che la redazione della rivista francese non coglie il paradosso del proprio comportamento, cioè l’andare a stuzzicare dei poveri, come se il problema fossero loro.