A chi gli domandava se avesse paura del “diverso”, qualcuno rispose che gli facevano molta più paura i suoi simili. Le invarianze, le costanti, possono essere molto più significative delle differenze. Cos’hanno in comune Auschwitz, Maastricht e “Striscia la Notizia”? Il filo conduttore è la svalutazione del lavoro.
Che la trasmissione di un’emittente privata, per quanto inserita in un network di enormi dimensioni, possa davvero affrontare i tempi, i costi e gli ostacoli legali di
un’inchiesta sull’assenteismo dei dipendenti pubblici, con tanto di video-appostamenti, appare un evento alquanto improbabile. Molto più realistica appare l’eventualità che la cosiddetta “inchiesta” sia stata compiuta da chi ne aveva i mezzi materiali, ed anche i privilegi legali per aggirare la legge, e che poi i video siano stati “affidati” ad una trasmissione pseudo-satirica di largo ascolto. L’intrattenimento si pone così come uno dei principali veicoli di guerra psicologica.
Pezzi dello Stato avrebbero quindi lavorato contro l’immagine dello Stato? Si sarebbe trattato di un’operazione di propaganda, anzi di psywar interna, per attuare un “aggiotaggio sociale”? L’aggiotaggio è quel reato che consiste nel diffondere notizie false e tendenziose allo scopo di deprimere il valore di una merce; in questo caso la merce-lavoro, presentata come strutturalmente inaffidabile e parassitaria.
L’ipotesi può sconcertare solo chi si attiene rigidamente alla solite coppie di finti opposti: Stato e privato, legale ed illegale. In realtà gli Stati sono in gran parte in mano a lobby che operano per le privatizzazioni, e spesso la legge è confezionata in funzione dell’elusione della legge. Se così non fosse, non potrebbero esistere le multinazionali.
Di recente si è svolta la solita “Giornata della Memoria”, ed ancora una volta l’informazione ufficiale si è dimenticata del ruolo decisivo svolto nel genocidio da multinazionali come la IBM, la Bayer e Deutsche Bank. Ma anche se qualcuno se ne fosse ricordato, la notizia sarebbe stata comunque digerita dall’opinione pubblica secondo la banalizzazione per la quale anche “interessi economici” sarebbero dietro lo sterminio. In effetti, visto che gli esseri umani non sono fatti di puro spirito, non può esistere nessun fenomeno umano che non sia inquadrabile economicamente. Anche parlare di “logica del profitto” non porta lontano, poiché ogni attività economica deve rendere per avere un senso. Che fine farebbe il “non profit” se non costituisse un modo legalizzato per eludere il fisco?
In realtà i campi di sterminio hanno rappresentato uno specifico modo di concepire l’economia, cioè l’assistenzialismo per ricchi; ciò portando forzosamente, attraverso la deportazione, il lavoro al suo valore di mercato più basso possibile. In sé il capitalismo è solo un’astrazione giuridica, il principio per il quale il potere in un’azienda si stabilisce in base alla quote di capitale. Ciò che rende il capitalismo un vero sistema di dominio sociale è la svalutazione preventiva del lavoratore come cittadino e come persona. Il lavoratore viene presentato sempre come un “fannullone”, o, quantomeno, come un malato di rigidità che si oppone al progresso.
In questo senso il Trattato di Maastricht, che ha dato vita alla moneta unica europea, si pone come l’erede di Auschwitz: rendere fisso il valore della moneta per poter svalutare il lavoro. In base all’euro-assistenzialismo per ricchi non si svaluta più la moneta per rendersi competitivi, ma si fa “dumping sociale”, termine tecnico ed eufemistico per indicare la guerra mondiale dei ricchi contro i poveri. Con strumenti di coercizione politica si abbassa il costo del lavoro sino alla soglia di sopravvivenza.
Ma l’euro costituisce solo uno dei tanti strumenti di svalutazione del lavoro. Esistono le merci, ma non il “mercato”, nel quale le “regole” ci sono solo per permettere ai potenti di barare. Il sedicente “liberismo” non consente infatti che il lavoratore possa vendere liberamente la propria merce-lavoro; ed i mezzi per impedirglielo sono sempre extra-legali o illegali. Il lavoratore è continuamente il bersaglio di una guerra, tanto più aspra e virulenta quanto non dichiarata apertamente; anzi, dissimulata attraverso i più vari espedienti propagandistici.
Le deportazioni di massa dall’Africa e dall’Asia rientrano nel “dumping sociale” poiché inaspriscono la concorrenza tra lavoratori, contribuendo ad abbassare ancora di più il costo del lavoro. La guerra è sempre guerra contro il lavoro, in quanto pone le condizioni per attuare le deportazioni. Quel deportato (pardon, immigrato) che si è fatto entrare in nome di una presunta “accoglienza”, se non serve più, lo si può sempre buttare fuori come
sospetto terrorista, magari col pretesto che smanetta troppo su internet. Anche l’allarme-terrorismo rientra nell’aggiotaggio sociale, nella svalutazione del lavoro.