In Italia uno dei segnali di agonia di un governo è la
messinscena di contrasti tra il Presidente del Consiglio ed il suo ministro dell'Economia, in cui il primo lancia segni di aperture su temi scottanti come il fisco e le pensioni, mentre il secondo frena in nome dei mitici "conti pubblici". Renzi e Padoan hanno messo su in questi giorni quella pantomima del "poliziotto buono e poliziotto cattivo" che aveva caratterizzato anche l'ultimo anno di vita del governo del Buffone di Arcore, con il ministro Tremonti nelle vesti di "frenatore". Allo stesso modo, ad un Renzi che parla di "flessibilità in uscita" per le pensioni, corrisponde oggi un Padoan che oppone ostacoli, pur negando ufficialmente ogni contrasto interno al governo.
Mentre nel governo ognuno recita la sua parte in commedia, il Fondo Monetario Internazionale torna alla carica sulla
questione previdenziale, facendo però la solita, e voluta, confusione tra spesa previdenziale e spesa pubblica, lasciando credere che il carico pensionistico sia a spese del bilancio dello Stato. Il quotidiano confindustriale "Il Sole-24 ore" corre a dar man forte al FMI con la consueta valanga di slogan e luoghi comuni, lasciando però intendere che il vero obiettivo rimane sempre quello di mettere le mani private su quella gigantesca cassaforte che è l'INPS, la grande idrovora dei contributi previdenziali dei lavoratori. "Mani private" non vorrà dire necessariamente privatizzazione a tappeto della previdenza, ma una previdenza sempre più avara, che renda i pensionati sempre più vulnerabili all'offerta di prestiti da parte di agenzie finanziarie private.
La realtà è che lo Stato è uno storico evasore contributivo, e che l'inglobamento dell'ente previdenziale statale, l'INPDAP, da parte dell'INPS, ha scaricato sullo stesso INPS una serie di crediti inesigibili nei confronti dello Stato. La propaganda però è molto più forte della realtà, perciò i progetti di saccheggio della previdenza pubblica si avvalgono di una copertura ideologica che presenta invariabilmente i poveri come i predatori ed i parassiti delle finanze pubbliche. Il FMI è una lobby bancaria, quindi ha come progetto economico solo quello di impoverire gli Stati e le persone per favorire la finanziarizzazione dei rapporti sociali, una riedizione della schiavitù per debiti. Per chi abbia l'obiettivo di impoverire, il moralismo costituisce un'arma propagandistica incredibilmente efficace. Non c'è quindi da sorprendersi del fatto che il FMI si ponga come una sorta di "Super-io" a livello planetario, una "coscienza morale" particolarmente severa contro coloro che pretenderebbero di vivere "al di sopra dei propri mezzi".
L'opinione pubblica progressista è facilmente manipolabile con il vecchio espediente degli slogan moralistici; perciò ai
commentatori-icona della "sinistra", come Roberto Saviano, su giornali di "sinistra", come "l'Espresso", spetta il compito di perpetuare la fiaba fondomonetaristica, narrando di una vecchia generazione di spreconi che avrebbe lasciato solo debiti ai giovani. Si predica la scomparsa della lotta di classe, e si offre in alternativa l'odio generazionale.
Ma il monopolio ideologico del FMI era indiscusso già alla fine degli anni '70, quando anche riviste dell'estrema sinistra condividevano la tesi secondo cui erano le aspettative crescenti delle masse a pesare sulla finanza pubblica. Anche l'odio generazionale come surrogato della lotta di classe risale alla fine degli anni '70, allorché da settori dell'estrema sinistra fu lanciato il tema dei "non garantiti" in contrapposizione alla classe operaia tradizionale.
Oggi che si parla tanto di "nuovi soggetti della sinistra" (Civati, Landini, ecc.), va rilevato che la questione del monopolio ideologico del FMI rimane del tutto in ombra, e gran parte dell'opinione pubblica di sinistra è tuttora all'oscuro del ruolo di "sorvegliato speciale" dell'Italia da parte del FMI. Questa condizione di
"sorveglianza rafforzata" fu l'ultimo lascito del governo del Buffone di Arcore, che si illudeva, con quella scelta di sottomissione, di assicurarsi qualche protezione internazionale che lo lasciasse sopravvivere.
Il FMI monopolizza il dibattito economico, ma, al tempo stesso, il suo nome e la sua posizione di tiranno esterno, sono del tutto fuori discussione. Il FMI non è considerato in Italia neppure una controparte; anzi, molti di quelli che si bevono i suoi slogan non sono nemmeno a conoscenza della sua esistenza, poiché ricevono quegli slogan attraverso la mediazione dei commenti giornalistici e politici. Ed è questo dato a fare la differenza con la sinistra dell'America Latina, dove invece il FMI è riconosciuto dalla pubblica opinione come il grande nemico e oppressore.
C'è un'altra differenza da considerare. In America Latina (come anche in Grecia) il FMI è il grande creditore, mentre l'Italia in questo momento non ha debiti con questa organizzazione sovranazionale. Nel 1976 il governo Andreotti di unità nazionale invece contrasse per un certo tempo un piccolo debito col FMI (quattrocentocinquanta milioni di dollari). Il ministro del Tesoro dell'epoca, Gaetano Stammati, ottenne quel prestito dietro il consueto impegno di osservare il precetto del vangelo fondomonetaristico, cioè i tagli alla spesa pubblica. Tutte queste
forche caudine furono accettate non per effettivo bisogno, vista la modestia della cifra del prestito, ma come sottomissione simbolica, nell'ambito di un processo di rassicurazione nei confronti dell'alleato-padrone, cioè gli USA. L'anno prossimo quindi si potrà celebrare il quarantennale dell'inizio della colonizzazione ideologica dell'Italia da parte del FMI.