Il famoso aforisma di Von Clausewitz ("la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi") è stato molte volte oggetto di parafrasi. Una delle parafrasi più efficaci - e sconcertanti - fu quella di Georges Clemenceau, in un discorso parlamentare che tenne da primo ministro francese alla fine della prima guerra mondiale. Clemenceau affermò che la guerra è l'unica realtà dei rapporti tra i popoli, e che la stessa pace non è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi. Clemenceau si riferiva al Trattato di Versailles, ma la sua osservazione potrebbe essere applicata anche all'ONU. I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU - quelli dotati non solo del diritto di voto, ma anche di veto -, sono infatti le cinque potenze vincitrici della seconda guerra mondiale: USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia. Si potrebbe concludere perciò che l'ONU non sia altro che la prosecuzione della seconda guerra mondiale con altri mezzi.
Con il suo consueto opportunismo, Stalin aderì all'ideologia "mondialista" (cioè imperialista) alla base dell'ONU; ma, se fosse stato per Stalin, l'Unione Sovietica avrebbe aderito anche al Piano Marshall, solo che in quel caso furono gli USA a rifiutare. Il risultato di questi trascorsi opportunistici, è che per decenni la "sinistra" è stata incapace di distinguere tra internazionalismo e mondialismo, considerando "progressivo" tutto ciò che irreggimentava gli Stati nazionali.
Gli schieramenti dello scontro imperialistico nel tempo sono cambiati, e le "alleanze" continuano a mutare a seconda delle esigenze, ma l'idea di una istituzione sovranazionale incaricata di "mantenere la pace", non ha mancato al suo compito di far persistere lo stato di guerra per settanta anni. L'umanitarismo dell'ONU, basato sul considerare l'umanità eternamente minorenne e bisognosa di tutela, costituisce sempre un ottimo alibi per giustificare ingerenze e destabilizzazioni. L'ecumenismo massonico, cioè l'ideologia puerile secondo cui basterebbe riunire i potenti del mondo a discutere, per risolvere così tutti i problemi, ha contributo ad un'ulteriore infantilizzazione delle masse, tutte contente che il papà e la mamma non litighino più. Che poi le guerre continuino lo stesso, diventa in tal modo un accidente trascurabile, che si può tranquillamente attribuire ogni volta ad un "cattivo" fuori del coro.
Se gli schieramenti sono mutati, una costante riguarda invece gli scenari dove la guerra si svolge, tra cui l'area di confine della Russia e, ovviamente, il Nord-Africa. Nel 2011 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha autorizzato la NATO a stabilire in Libia una "no fly zone" in base ad una presunta repressione scatenata dal "dittatore" Gheddafi. Le notizie a riguardo non furono assolutamente verificate e l'unica fonte era rappresentata dall'emittente Al Jazeera, di proprietà dell'emiro del Qatar, alleato della NATO. Il segretario generale dell'ONU, il sud coreano Ban Ki-moon, assunse sin dall'inizio della crisi libica un atteggiamento apertamente favorevole ai cosiddetti "ribelli", e tutta la macchina propagandistica della stessa ONU fu dispiegata per accreditare l'immagine di
un'emergenza umanitaria e di un popolo in lotta per la democrazia contro il tiranno Gheddafi.
Un'organizzazione internazionale che ha dimostrato tanta malafede nella scelta di destabilizzare un Paese, ora sarebbe chiamata a stabilizzarlo, e gli emissari dell'ONU si sono incaricati di mediare tra le innumerevoli fazioni armate che si disputerebbero attualmente il potere in Libia. Si prospetta adesso
una nuova missione militare sotto "egida ONU", di cui l'Italia dovrebbe assumersi la maggior parte del carico. Pare che il presidente Obama e gli altri "alleati" stiano premendo da qualche anno sui vari governi che si sono succeduti in Italia, per indurli ad assumere l'iniziativa.
Nella riunione dell'ottobre scorso il Consiglio Supremo di Difesa ha dato la missione in Libia per ineludibile, e la dichiarazione finale ha assunto i toni gravi del
monito al governo a prevenire "l'ulteriore destabilizzazione della Libia". I "ribelli" di Bengasi avevano proclamato l'emirato islamico già nel 2011, addirittura prima dell'intervento della NATO, ma solo ora ci si sarebbe accorti che si trattava di "jihadisti". Non si sa mai, perciò tra poco si potrebbero fare nuove scoperte dell'acqua calda, come il fatto che milizie "islamiche" sono finanziate da Qatar e Arabia Saudita, tutti e due alleati degli USA.
Matteo Renzi sembrerebbe proprio l'uomo adatto per trascinare l'Italia in questa nuova avventura militare. I media intanto si stanno dando da fare per creargli
l'alone del "duce" e dell'uomo forte. Renzi presenta inoltre le carte in regola per sostenere la parte del guerrafondaio, visto che nel 2011, ancora semplice sindaco di Firenze, si diede da fare per sostenere l'intervento in Libia, ovviamente per motivi "umanitari".
In questa circostanza Renzi appare invece ancora un po' recalcitrante, e cerca una sponda nella cosiddetta "Europa", che invece lo ignora. Ma oggi la vera questione è se davvero si voglia intervenire per stabilizzare la Libia, oppure al contrario l'obiettivo sia proprio di evitarne la stabilizzazione. Magari non siamo in grado di sapere come stiano effettivamente le cose oggi in Libia; però possiamo stabilire con certezza come le cose non stanno. La falsità della narrazione ufficiale è infatti l'unica garanzia di cui si dispone. Il falso più clamoroso riguarda l'immagine di un "Occidente" preoccupato per il caos libico, se non altro per il disturbo che ciò arrecherebbe agli affari. Ma gli affari possono prosperare anche nel caos; anzi, questo alle volte li agevola.
L'attuale Libia allo sbando è diventata una base del
contrabbando di petrolio. L'entità del business ed i flussi di denaro che esso comporta rischiano di destabilizzare tutti i Paesi confinanti. Ma siamo certi che il contrabbando sia un business gestito dai poveri, e non sia al contrario uno dei tanti business "poveri" gestito dai ricchi, cioè dalle multinazionali?
Altra questione tuttora in campo è la
truffa miliardaria operata da Goldman Sachs ai danni del governo libico con investimenti in titoli derivati. Un giudice britannico della Corte Suprema ha intimato a Goldman Sachs di esibire la documentazione relativa ai profitti. Converrebbe oggi a Goldman Sachs, ed in genere alla finanza internazionale, avere come controparte un governo libico stabile, che possa condurre serenamente il contenzioso giudiziario? C'è da dubitarne.