Mentre in Italia il governo Letta annuncia una nuova ondata di privatizzazioni, il "capitalismo" statunitense continua tranquillamente a fondarsi sulle partecipazioni statali. I ministeri delle partecipazioni statali di marca USA sono addirittura due: il Pentagono e la National Security Agency.
I media oggi ci narrano dei colossi dell'informatica che si mettono in posa da accusatori contro gli eccessi spionistici della NSA, ma rimane il fatto che le
fortune di Silicon Valley dipendono a tutt'oggi dai contratti delle agenzie governative, e della NSA in particolare.
Le ricadute civili delle tecnologie sviluppate in ambito militare e spionistico generano un business che viene fatto gestire ad appositi prestanome, come i Steve Jobs o i Mark Zuckerberg, attorno ai quali sono costruite le fiabe dei "miliardari per caso", che avrebbero spiccato il volo da umili garage. I "miliardari per caso" sono personaggi della più generale fiaba del "capitalismo per caso", come appunto il modello "anarchico" di Silicon Valley. Di fatto la
spesa annuale della NSA per Silicon Valley viene valutata ad un minimo di otto o dieci miliardi di dollari l'anno. C'è poi da considerare il fenomeno delle "revolving doors", per il quale i funzionari delle agenzie governative lasciano il loro posto statale per andare a percepire stipendi milionari nei colossi privati dell'high-tech.
Ma c'è anche il percorso inverso, come dimostra il
caso di Max Kelly, il massimo dirigente per la sicurezza di Facebook, che nel giugno scorso è andato a lavorare proprio per la NSA. La vicenda ha fatto sorgere il legittimo sospetto che Kelly fosse già un agente NSA anche nelle vesti di dirigente di Facebook, e che oggi egli sia tornato alla casa madre per porsi sotto la protezione legale del governo e del segreto di Stato in caso di controversie legali. Ovviamente la notizia su Kelly non è stata ritenuta di tale importanza da essere ripresa dai media italiani, ed è stata sottovalutata dagli stessi media anglosassoni; eppure la vicenda di Kelly pone dubbi più che fondati sulla stessa genesi e funzione di Facebook.
C'è chi ritiene che Facebook non possa interessare agenzie come la NSA o la CIA, data la scarsa qualità delle informazioni che vi circolano, cioè per lo più pettegolezzi. In realtà Facebook è in grado di ovviare a quello che per le agenzie spionistiche costituisce un difetto radicale di internet, cioè il trovarsi di fronte a miliardi di informazioni, senza però alcuna possibilità di classificazione e di individuazione dei target di ricerca. Al contrario, Facebook consente una mappatura a catena delle relazioni umane, e quindi di sapere su quale rete di persone concentrare di volta in volta lo spionaggio.
Quando si parla dello spionaggio della NSA, lo si considera unicamente dal punto di vista della violazione della privacy, senza coglierne le evidenti implicazioni per ciò che riguarda il mega-business dello spionaggio industriale all'ombra del pretesto dell'antiterrorismo. Vi sono oggi prove che lo
spionaggio industriale della NSA abbia colpito una delle principali aziende brasiliane, la Petrobras; ma è difficile credere che si tratti di un caso isolato.
Sempre bravissimi ad interpretare la parte delle vittime, gli USA si danno da fare per elaborare legislazioni ad hoc per difendersi dallo spionaggio industriale, in particolare contro la minaccia dei cattivissimi Cinesi. Ovviamente queste
leggi anti-spionaggio industriale potranno costituire un ulteriore pretesto ed un avallo legale per aumentare le attività spionistiche ai danni degli altri.
Se davvero qualcuno avesse sviluppato nuove tecnologie nei garage, avrebbe avuto ben poche possibilità di non vedersi trafugate le sue invenzioni da parte della NSA. Forse è per l'impossibilità di soffermarsi su questi insignificanti dettagli che la trasposizione delle fiabe capitalistiche dei "miliardari per caso" in narrazioni cinematografiche ha prodotto storie prive di senso. I film sull'argomento non hanno soddisfatto del tutto la critica, e neppure le torme dei pur creduli fans; quelli convinti che a qualunque sfigato basti smanettare sul computer indossando felpa e t-shirt per partecipare alle opportunità di accesso all'olimpo capitalistico. Così è accaduto che abbia deluso quasi tutti il film biografico sul più mitico dei presunti maghi dell'high-tech, il
defunto Steve Jobs.
Nel caso di
Zuckerberg neanche il diretto interessato si è dichiarato entusiasta del film che lo riguardava. Ma era inevitabile, poiché, quando la narrazione scende nel dettaglio, vengono alla luce crepe logiche insormontabili, che si cerca di reincollare con forzature sempre più grossolane, da cui diventa urgente prendere le distanze per non alimentare ulteriori scetticismi.
Non è un caso che anche i film e le serie televisive sul terrorismo abbiano sofferto dei medesimi problemi, in quanto è nei dettagli narrativi che alla fine si scopre l'assunto fiabesco. La narrazione del capitalismo ha quindi assoluto bisogno di vaghezza, perciò è sempre bene che rimanga confinata nel limbo dei talk-show. In quanto ad auto-narrazione, il capitalismo non riesce mai a diventare adulto, perciò ha assoluto bisogno di infantilizzare anche il proprio pubblico.