Una
notizia del marzo scorso, mai arrivata in Italia, riguardava la decisione del presidente Obama di tagliare gli incentivi delle compagnie private di recupero crediti incaricate della riscossione presso gli studenti "beneficiari" di prestiti federali per potersi pagare l'istruzione universitaria. In tal modo si spera che le compagnie di recupero crediti siano un po' meno motivate a dare la caccia agli studenti insolventi, concedendo loro un po' di respiro.
Forse sarebbe stata una buona occasione per i media nostrani di dimostrarci la "bontà" di Obama, ma, nel darci la notizia, il rischio sarebbe stato anche quello di farci sapere che il business dell'insolvenza studentesca frutta alle compagnie private di recupero crediti circa un miliardo di dollari l'anno, e che intere generazioni di studenti americani non hanno davanti alcuna prospettiva di liberarsi definitivamente della schiavitù dei debiti. Le compagnie di recupero crediti hanno l'alibi di andare a recuperare denaro federale, cioè soldi dei contribuenti, ma in effetti, appaltando il business dell'insolvenza, il governo federale non fa altro che trasferire soldi pubblici ad affaristi privati.
Già dallo scorso anno su organi d'informazione italiani specializzati nel settore universitario, circolava la notizia del
dramma dell'insolvenza studentesca negli USA, e ciò costituiva un argomento per invitare a soprassedere alle proposte di "prestito d'onore" per studenti, di cui si era fatto sostenitore Pietro Ichino, allora senatore del PD, ma tuttora lobbista della finanza a tempo pieno.
In realtà è un po' tardi per soprassedere, dato che ormai in Italia il business dei prestiti agli studenti va a pieno regime, e se ne occupano tutti i maggiori istituti bancari. Unicredit è una delle banche più impegnate nel conferire agli studenti universitari l'onore di indebitarsi a vita, con una
vasta gamma di prodotti finanziari per l'istruzione.
Le possibilità per gli studenti di sfuggire all'insolvenza sono scarsissime, perché manca la possibilità di accedere a lavori remunerativi e le famiglie di origine sono sempre più in difficoltà economica, perciò sono state già poste le basi per determinare anche in Italia un dramma dell'insolvenza. Ma non c'è da temere, poiché il gruppo Unicredit ha tra le sue compagnie una specializzata nel recupero crediti, cioè la
Credit Management Bank.
Per gli istituti di credito l'insolvenza non è un malaugurato incidente, ma addirittura un auspicio, poiché consente di far lievitare negli anni dei piccoli crediti a cifre astronomiche, vincolando i malcapitati per il resto della loro vita. Il caso della Grecia ha dimostrato che l'insolvenza, vera o presunta, di uno Stato consente alle organizzazioni internazionali di applicare la categoria di schiavismo persino ad intere nazioni.
La schiavitù per debiti ha in lingua inglese un'espressione diventata ormai familiare per milioni di persone:
"debt bondage". Negli Stati Uniti il recupero crediti è infatti uno dei maggiori business, che riguarda anche grandi gruppi bancari.
In California il colosso bancario JP Morgan dal mese scorso sta avendo qualche
piccola noia giudiziaria per i suoi metodi criminali nel recupero crediti. Il procuratore generale della California si è deciso a prendere in considerazione le numerose e circostanziate denunce dei consumatori, ma purtroppo l'esperienza passata mostra che gli strumenti giudiziari hanno il fiato corto contro un lobbying finanziario così ramificato e ben attrezzato.
Come già ricordato, il lobbying finanziario è in frenetica attività anche in Italia, dato che l'indebitamento studentesco costituisce uno dei maggiori business in prospettiva. Pietro Ichino si è ispirato al principio che quanto più l'affare è sordido, tanto più devono sembrare altisonanti le motivazioni etiche invocate per giustificarlo; ed ovviamente non poteva mancare lo
slogan della "meritocrazia".
Peccato che a smentire la mitologia meritocratica provveda lo stesso Ichino, il quale si rivela con le sue proposte un pedissequo plagiario della propaganda del Fondo Monetario Internazionale, come dimostra un
articolo a firma di Nicholas Barr, dedicato alle mirabolanti virtù dell'indebitamento studentesco, e pubblicato nel 2005 su "Finance e Development", rivista trimestrale del FMI.
Ma la maggiore agenzia di lobbying è proprio il governo. La recente segnalazione del generale Fabio Mini ha nuovamente posto in evidenza lo storico
intreccio d'affari tra il ministero della Difesa e Finmeccanica, ma questo ruolo di lobbying del governo non si limita affatto alla vendita di armi.
A riconferma di un lobbying governativo in ambito finanziario, lo scorso aprile è stato formalizzato l'accordo tra il ministero dell'Istruzione e BancoPosta per attivare dal prossimo settembre la
carta elettronica "IoStudio" per gli studenti della Scuola Superiore di secondo grado, quindi a partire dai quattordici anni di età. Questa carta può diventare un vero e proprio strumento di "servizi" finanziarii, anche se per ora è solo una card prepagata; ma un domani chissà. Quel che è certo è che l'arrivo di questa card determinerà una sempre maggiore confidenza dei ragazzi con i servizi finanziari, cioè quel senso di infondata autostima che è alla base di scelte irreparabili come indebitarsi.