IL MITO DEL "BERLUSCONISMO CULTURALE" PER NON VEDERE LE BASI NATO
Le "fibrillazioni politico-istituzionali" di cui parlava il presidente Napolitano avevano sortito i loro effetti già qualche giorno prima che Gianfranco Fini invitasse Berlusconi a dimettersi. Ai primi di novembre, infatti, il ministro degli Interni Roberto Maroni volava in Israele con il pretesto dell'antiterrorismo, ma in realtà in cerca di investiture internazionali. Il viaggio in Israele sembra rappresentare ormai una sorta di rito di iniziazione obbligato per chi voglia gestire il governo in Italia.
Proprio con i suoi viaggi in Israele, Fini aveva maturato il riconoscimento internazionale del ruolo di successore di Berlusconi; perciò lo stesso Berlusconi, nell'ultimo gennaio, era volato a sua volta in Israele a tuonare contro l'Iran e contro l'ENI, per cercare di accattivarsi nuovamente i favori del sionismo, che è una macchina politica del Fondo Monetario Internazionale e delle principali multinazionali. Ma nello stesso gennaio, Fini stava già compiendo il passo ulteriore per l'investitura, infatti si trovava ospite a Washington, dove si trova appunto la sede centrale del FMI.
L'agonia del governo Berlusconi è durata però più di quanto fosse logico prevedere, e ci sono molti segnali che indicano che gli eventi siano in parte usciti dal copione. Ciò certamente non a causa della vitalità di Berlusconi, che ha fatto invece di tutto per dimostrare ulteriormente non solo la sua assoluta nullità umana e politica, ma anche il suo ormai instabile equilibrio mentale.
La propaganda ufficiale ha cercato di spacciare la questione della salute mentale di Berlusconi per uno scandalo sessuale. In realtà, se Berlusconi fosse stato sano di mente, allora noi non sapremmo assolutamente nulla delle sue abitudini sessuali. Per stanare il governatore Piero Marrazzo c'era infatti voluto addirittura un complotto dei carabinieri, con lo strascico dei poveri trans assassinati, in modo da cancellare le prove. Quindi neppure il caso Marrazzo era inquadrabile come scandalo sessuale, ma come episodio di vera e propria criminalità poliziesca, del tipo della Uno Bianca.
Con la sua solita puerile faccia tosta, Berlusconi ha gridato ad un complotto della mafia contro di lui, mentre, al contrario, in questa ultima vicenda è stato, in pratica, proprio lui a confessare tutto spontaneamente alla polizia. Un uomo che racconta a dei poliziotti la balla - del tutto superflua - della "nipote di Mubarak", e presume che questi se la bevano, dimostra di aver già toccato il fondo della demenza. I poliziotti sono abituati da sempre ad obbedire ed eseguire senza ricevere spiegazioni, e si sono invece trovati di fronte ad un presidente del Consiglio che li intratteneva al telefono, rivelando loro nientemeno che dettagli di politica internazionale; di conseguenza si sono convinti di avere a che fare con un pazzo che poteva metterli nei guai, ed hanno rivelato tutto in esposto.
Dopo un episodio del genere, sarebbe ovvio chiedersi come abbia fatto un tale sprovveduto a sopravvivere nella jungla della lotta politica. E le domande successive sarebbero: chi lo manovra? di chi è il fantoccio?
Come tutti i fantocci, Berlusconi potrebbe essere rimosso in ogni momento, ma anche lasciato lì in eterno, proprio perché un inetto come lui non rischia di riservare sorprese ai suoi padroni. L'ultimo governo "Berlusconi" (in effetti un governo Tremonti mascherato), ha realizzato un record di privatizzazioni, ma né Tremonti, né tantomeno Berlusconi, possiedono la grinta per affrontare la privatizzazione di un osso duro come l'ENI. Se Fini non è ancora succeduto al Berlusconi/Tremonti nel ruolo di castigamatti dell'ENI, è perché lo stesso Fini ha cominciato a suscitare perplessità in coloro che lo avevano eletto a loro sicario.
Forse perché paralizzato dall'affare del cognato, Fini ha dovuto lasciare ai suoi colonnelli, Italo Bocchino e Fabio Granata, uno spazio nell'organizzazione del nuovo partito che ha finito per sovvertire completamente i piani secondo cui doveva nascere una formazione di tipologia "destra europea". In effetti il nuovo partito di Fini presenta simboli e linguaggi esplicitamente fascisti.
I "finiani" parlano ipocritamente nelle interviste di "destra europea", ma intanto si fanno chiamare "futuristi", con chiaro riferimento al movimento artistico-letterario che fu determinante nella genesi del movimento fascista; e addirittura la sigla del partito, FLI, richiama sfacciatamente il "fascio littorio". Come già l'IDV, anche il FLI pare abbia trovato una "base sociale" nei quadri medio-bassi della polizia e dei carabinieri, di cui stanno veicolando il malcontento nei confronti del governo. In Italia si sono quindi affacciati sulla scena politica due formazioni sbirresco/fasciste che cominciano a costituire un'incognita per l'establishment, dato che non è affatto scontato che gli attuali leader, Di Pietro e Fini, si dimostrino in grado di controllarne gli sviluppi e gli agganci.
Il FMI non è certo mosso da scrupoli antifascisti, ma teme i feeling tra la nuova destra e Putin, e paventa probabilmente che si possa ripetere in Italia ciò che è successo ad agosto in Ungheria, dove anche il primo ministro Orban, dopo aver anch'egli parlato di "destra europea" ed aver recitato la parte dell'anti-russo tutto d'un pezzo, poi invece si è fatto forte dell'appoggio di Putin per dare un'impronta nazionalista al suo governo, e congedare in malo modo lo stesso FMI dall'Ungheria.
Ciò che il FMI considera come una rischiosa eventualità, riguarda un'insorgenza statalista/nazionalista che metta in crisi il vangelo delle privatizzazioni. Ci sono segnali che si stia formando anche in Italia un'opposizione da destra alla sedicente "globalizzazione", cioè al colonialismo anglosassone delle privatizzazioni; e ciò proprio mentre invece la FIOM ha dovuto incassare una sconfitta per ciò che riguarda la nomina del segretario generale della CGIL, affidata all'inaffidabile Camusso. La forsennata persecuzione di Marchionne aveva aperto alla FIOM uno spazio di iniziativa politica che sembra però essersi, per ora, esaurito con la manifestazione di Roma. Una vera opposizione da sinistra ancora non c'è, e si apre di conseguenza uno spazio per spinte nazionaliste o pseudo-tali.
La storia dei fascismi ha dimostrato che la loro opposizione al colonialismo anglosassone sull'Europa non è mai stata in grado di esprimersi in un autentico anticolonialismo - che può basarsi solo sull'idea di una pari dignità di tutti i popoli -, bensì solo su altre politiche di colonialismo, in competizione con quelle anglosassoni per ferocia e avidità.
Anche il leader della speranza di sinistra, Nichi Vendola, risulta latitante in fatto di antimperialismo/anticolonialismo, perché è evidente che pronunciarsi in questo senso lo taglierebbe fuori dal gioco elettorale. Vendola propone analisi interessanti sullo squagliamento dei ceti medi, ed ha anche trovato uno veramente bravo a scrivergli i discorsi (Stefano Benni?), ma poi alla fine si dimentica delle centoquindici basi militari USA e NATO disseminate per l'Italia, e se la va a prendere con il "berlusconismo culturale", come se Berlusconi fosse davvero salito al potere per volontà della maggioranza degli Italiani. Nel Paese che viene presentato come la patria dell'illegalità, l'unica cosa pulita sarebbero i risultati elettorali, perciò i "consensi" andati a Berlusconi sono un dato di fatto indiscutibile, magari confortato da interviste televisive fasulle a poveri vecchietti arruolati per l'occasione.
Il salottino di Fabio Fazio è diventato intanto una fucina in cui si elabora il progetto di una nuova sinistra tremendamente simile alla destra fascista, con Roberto Saviano a fare da ideologo dell'operazione. FMI e NATO non si nominano nemmeno, di internazionalismo manco a parlarne, dato che Castro e Chavez vengono considerati due mascalzoni, in nome del principio secondo cui gli errori dei poveri sono sempre crimini, mentre i crimini dei ricchi sono al massimo "contraddizioni". Per l'Italia il salottino-Fazio prospetta invece una sorta di sbirrocrazia dal volto umano, con Falcone e Borsellino come icone, e le mafie ed i corrotti a fare da spauracchio. Se la sinistra diventa una brutta copia della destra, sarà l'originale, come al solito, a prevalere.
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