A POMIGLIANO MARCHIONNE FA L'IMITAZIONE DI BRUNETTA
L'ultima settimana l'Amministratore Delegato della FIAT si è prodigato in una campagna mediatica contro gli operai "fannulloni", che ora non sarebbero più soltanto quelli di Pomigliano, ma andrebbero ricercati in tutte le fabbriche italiane del gruppo. In tal modo Marchionne si è conquistato una tale centralità mediatica da suscitare una reazione indispettita del ministro Renato Brunetta, che, con il pretesto di appoggiare l'offensiva di Marchionne, è andato in realtà a rivendicare un personale copyright in questo tipo di propaganda contro i presunti "fannulloni". Ancora nel febbraio ultimo scorso, Brunetta polemizzava con la FIAT sulla questione dei finanziamenti statali, rilanciando quella che egli diceva essere un'opinione diffusa fra gli Italiani, cioè che con tutti i soldi versati negli ultimi anni dallo Stato alla stessa FIAT, ci si sarebbe potuto comprare l'azienda anche un paio di volte. Oggi anche Brunetta si allinea completamente con il nuovo Messia Marchionne, cercando di ritagliarsi accanto a lui almeno il ruolo del Giovanni Battista, del precursore, anche se, in base ai dati, potrebbe tranquillamente contestargli il plagio.
Si è cominciato dunque a calunniare i lavoratori statali, poi si è passati agli operai meridionali, dato che il razzismo antimeridionale è talmente accettato dal senso comune da consentire alla propaganda di veicolare facilmente quei messaggi di cui si vuole successivamente estendere la portata; infatti si è andati presto a "scoprire" che alla fine i lavoratori italiani in genere non reggono il confronto con quelli stranieri, poiché si assenterebbero in coincidenza con le partite della Nazionale di calcio. Nessun "organo d'informazione" si è preoccupato, ovviamente, di verificare queste accuse, e alcuni giornalisti si sono limitati a commentare che non vi sarebbero state smentite a riguardo, come se le smentite avessero potuto mai arrivare alla risonanza mediatica.
Ancora poco tempo fa i giornalisti spremevano le loro ipocrite lagrimuccie sulle "morti bianche", per le quali il marzo dell'anno scorso il presidente della Repubblica Napolitano aveva fatto istituire dai vari Comuni delle "giornate della memoria". In questi giorni in cui si parlava dei diciassette o diciotto turni a Pomigliano, nessun giornalista si è riferito all'ovvio collegamento tra le morti bianche ed i ritmi di produzione, ed anche la strage alla Thyssenkrupp, e la relativa indignazione, sono state dimenticate.
C'è da rilevare lo sconcerto che lo spettacolo del Marchionne imitatore di Brunetta e del suo linguaggio triviale, ha provocato in tutti quegli intellettuali di sinistra che avevavo voluto vedere nel nuovo Amministratore Delegato della FIAT un esempio di capitalismo "vero". Il politologo Marco Revelli era rimasto affascinato dal "piano quinquennale" di Marchionne, mentre ora se lo ritrova a motivare un eventuale ritiro delle produzioni FIAT dall'Italia in base ad un argomento pretestuoso e squallido come l'assenteismo per le partite di calcio. Quindi l'avvento del "vero capitalismo" è ancora rimandato, e probabilmente nessun dubbio sorgerà sul fatto che forse il capitalismo "vero" non esiste e non è mai esistito, che anzi lo stesso termine "capitalismo" costituisca solo uno slogan, una cortina fumogena per coprire le solite pratiche di uso privato del denaro pubblico e di criminalità dei colletti bianchi. La propaganda di questi giorni - avviata da Tremonti e avallata da Draghi (ma secondo i blog della destra "antagonista" non erano nemici?) - ha infatti ripreso gli antichi luoghi comuni vittimistici della "deregulation", del povero imprenditore con le mani legate dalle troppe regole, dai troppi "lacci e lacciuoli"; una propaganda che, spogliata degli orpelli retorici, si riduce ad una rivendicazione di impunità per i reati che continuamente i padroni commettono.
Nessun commentatore ha infatti accennato all'ipotesi che la campagna mediatica di Marchionne sui cosiddetti "fannulloni" configuri anch'essa una sorta di reato di aggiotaggio. Nella cosiddetta economia di "mercato" la prestazione lavorativa è considerata una merce - anche se poi di fatto è trattata come una servitù - e in base all'articolo 501 del Codice Penale si considera aggiotaggio il:
"Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio":
«Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifizi atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 516 a 25.822. Se l'aumento o la diminuzione del prezzo delle merci o dei valori si verifica, le pene sono aumentate."
Marchionne ha divulgato "notizie false, esagerate o tendenziose" con l'evidente scopo di turbare una contrattazione sindacale, cioè una contrattazione sulla merce-lavoro, quindi avrebbe commesso un reato di aggiotaggio e nessun giornalista se ne è accorto, e ciò perché in tale reato sarebbero incorsi anche i giornalisti che gli hanno fornito la grancassa. Risulta significativo anche che la giurisprudenza non abbia mai contemplato di applicare l'articolo 501 alla merce-lavoro, cosa che comporta la constatazione che, nella sedicente economia di mercato, il lavoro non abbia neanche la dignità di una merce, perciò diminuire il prezzo del lavoro calunniando i lavoratori, costituisce uno dei tanti reati per i quali i padroni sono autorizzati.
Per i padroni la forza-lavoro costituisce il principale valore di cui appropriarsi, pagandola il meno possibile o non pagandola affatto; ma il mezzo più efficace per raggiungere lo scopo di asservire e sfruttare il lavoro, è quello di costruire un'ideologia, una propaganda e un'incessante guerra psicologica che svalutino con ogni pretesto il ruolo del lavoro, facendolo apparire ai lavoratori stessi come un accessorio o un peso morto, oppure, meglio ancora, come una carità che viene concessa. Nella menzogna ufficiale la produzione diventa perciò merito esclusivo del cosiddetto "imprenditore", unico sacerdote in grado di compiere il miracolo della transustanziazione della materia informe in prodotti finiti.
L'aggiotaggio costituisce anche un'abituale pratica colonialistica, un modo di "deprezzare" dei territori per poterli saccheggiare più facilmente. Molte finte emergenze, con relative campagne mediatiche, hanno colpito la Campania negli ultimi anni. Due anni fa c'è stato il caso delle presunte mozzarelle DOP alla diossina, rivelatosi poi un falso, ma anche in questo caso nessuna Procura ha avviato un'indagine per scoprire chi si sia avvantaggiato per le false notizie e per il relativo crollo del prezzo di quei latticini. Da due anni si sono registrate notizie di stampa sulle infiltrazioni camorristiche agli scavi di Pompei, senza peraltro alcun riscontro giudiziario: sta di fatto che, in base a queste false notizie, si è verificata una privatizzazione degli stessi scavi ad opera del ministro Bondi. La Campania è recepita dalla pubblica opinione come un luogo "altro", radicalmente anomalo e diverso, in emergenza cronica; eppure, attraverso la rappresentazione di questa anomalia, le "emergenze" cominciano ad insinuarsi nella mente del pubblico.
Ora risulta chiaro che anche la "emergenza-Pomigliano" costituisce il laboratorio per una "emergenza" nazionale, cioè la guerra psicologica comincia col deprezzare il lavoro campano per arrivare a deprezzare quello italiano. Sarebbe però un errore considerare il 63% dei sì al referendum di Pomigliano solo come un effetto della guerra psicologica contro gli operai; in realtà la guerra psicologica è consistita nel referendum stesso e nelle suggestioni ad esso legate.
Il referendum era infatti irrilevante ai fini pratici, dato che anche una schiacciante vittoria del sì non avrebbe vincolato la FIOM. Anche se i no fossero stati solo il 20%, ciò avrebbe comunque indicato l'esistenza di una minoranza abbastanza consistente da poter bloccare la fabbrica; e la storia del movimento operaio non si è mai fatta a colpi di maggioranze, ma sempre di minoranze attive. La FIOM infatti era in netta minoranza alla FIAT anche negli anni '50.
L'obiettivo della guerra psicologica era invece di creare a Pomigliano la rappresentazione e la suggestione di una sconfitta, dell'ennesima "sconfitta operaia". "Sconfitta" e "operaia" sono due parole che costituiscono una coppia semantica, cioè due termini che nella propaganda devono automaticamente richiamarsi a vicenda; così come accade con "crimini" e "comunismo", oppure con "terrorismo" ed "islamico". Dato che la sconfitta operaia poi non è stata così clamorosa come i media speravano, quel 36% dei no al referendum è diventato per Marchionne il pretesto per ulteriori imitazioni di Brunetta, adottandone anche gli atteggiamenti da bambino viziato ed isterico. La guerra psicologica quindi continua con la consueta messinscena del vittimismo padronale, ed i media versano lacrime sull'immagine del povero padrone costretto a trascinarsi questo operaio-peso morto, che vorrebbe rimanere legato alle garanzie del passato.
Ma i media più sfacciatamente filo-padronali sono solo l'aspetto più sputtanato della guerra psicologica, la quale può assumere anche toni più insinuanti e difficili da smascherare. Il cinema britannico si è specializzato in prodotti di psico-guerra antioperaia, film in cui gli operai vengono rappresentati persino con una finta simpatia umana, ma comunque in un'atmosfera decadente ed "autunnale", che abitui all'idea che la condizione operaia costituisca un residuo del passato. Non conta tanto il numero di persone che vede questi film (anche se alcuni sono stati dei successi commerciali), ma il tipo di spettatori, cioè intellettuali ed insegnanti, e magari anche studenti ai cineforum. L'antioperaismo così diventa "cultura", cioè guerra psicologica preventiva.
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