PRESIDENZIALISMO DI VELTRUSCONI O GOLPISMO DEL FMI?
L’accordo fra Massimo D’Alema e Walter Veltroni sulla decisione di far accettare al Partito Democratico la trattativa sulla proposta berlusconiana del presidenzialismo, ha ottenuto l’immediato effetto di delegittimare definitivamente la segreteria di Pier Luigi Bersani, già in difficoltà dopo il pessimo risultato elettorale. La decisione è stata argomentata con un’incredibile arrampicata sugli specchi: non ci si può tirare indietro rispetto all’ipotesi presidenziale perché sarebbe ciò che gli Italiani vogliono; d’altra parte occorrerà trovare il modo per rassicurare l’elettorato del PD, che è ostile alla stessa ipotesi presidenziale. Insomma, il gruppo dirigente del PD è riuscito persino a togliere la cittadinanza italiana al proprio elettorato, trasformandolo ipso facto in massa apolide di migranti.
Prima della decisione, Veltroni aveva anticipato la sua posizione favorevole al presidenzialismo, giustificandola con la consueta sottigliezza argomentativa: non si possono dire solo dei no rispetto all’ipotesi presidenziale. In realtà Veltroni, da neo-segretario del PD, aveva già lanciato la proposta di un presidenzialismo alla francese nel gennaio del 2008 e, a quell’epoca, D’Alema, in un’intervista a “La Repubblica”, gli aveva obiettato che quella iniziativa costituiva un siluro contro il governo Prodi, poiché rendeva inutili mesi di discussione con gli alleati di governo su una nuova legge elettorale (denominata giornalisticamente il “Vassallum”), seminando nella coalizione di maggioranza il sospetto che il PD volesse mollare gli alleati per cercare un accordo con Silvio Berlusconi; quell'accordo che nei mesi successivi sarebbe stato chiamato dalla stampa il “Veltrusconi”. Fallita, dopo le elezioni del 2008, l’ipotesi del governo “Veltrusconi”, Veltroni fu costretto per tutto il 2008 a sottrarsi alla sirena del presidenzialismo, rifiutando le lusinghe berlusconiane in tal senso.
Veltroni oggi non fa che ritornare ai suoi antichi amori, mentre è D’Alema ad aver cambiato drasticamente atteggiamento. Ancora poche settimane fa, D’Alema rispondeva alle domande a riguardo, osservando che in Italia già vige un presidenzialismo di fatto, con ciò facendo capire che anche il solo accettare di discutere l’ipotesi presidenziale significherebbe automaticamente fornire un avallo alla attuale dittatura berlusconiana. A questo punto a Berlusconi non sarebbe neppure più necessario far approvare in parlamento la riforma costituzionale, ma gli basterebbe esercitare la sua dittatura in nome di una presunta unanime volontà popolare, di cui lo stesso PD si porrebbe come garante.
Il berlusconismo costituisce un fenomeno caratteristico del dopo-Guerra Fredda, basato cioè su un meccanismo di dominio definibile come "legittimazione al ribasso". Per giustificare le scelte di governo una volta era necessario agitare almeno lo spauracchio della minaccia militare e nucleare dell'Unione Sovietica, magari non vera, ma comunque realistica; oggi invece basta la "FAI informale". Il trucco è semplice e consiste nella assoluta mancanza di opposizione e di contraddittorio, che finisce per far perdere ogni senso della logica e delle proporzioni. Ad esempio, Piero Marrazzo si è dovuto dimettere da Governatore del Lazio perché andava agli incontri coi trans - pagati di tasca sua - con l'auto blu della Regione; ma, al tempo stesso, con sei carabinieri indagati per ricatto e omicidio, né il comandante dell'Arma, né un ministro sono stati chiamati dal parlamento a fornire spiegazioni.
Per far passare il presidenzialismo in Francia nel 1959 ci vollero addirittura un De Gaulle e l'urgenza della decisione di uscire dalla disastrosa guerra coloniale d'Algeria; per proporre il presidenzialismo alla francese oggi in Italia basta invece un Veltroni e il suo timore per la parola "no"; per dover poi decidere non si sa bene che cosa. In effetti l'Italia è per ora l'unico Paese del sedicente Occidente dove sia stato imposto il diktat colonialistico di una riforma costituzionale; altrove chi facesse proposte del genere verrebbe automaticamente sospettato di voler condurre un colpo di Stato strisciante; ed in effetti quello che sta avvenendo in Italia è appunto un golpe strisciante, poiché l'agitare la falsa esigenza di una riforma costituzionale si risolve di fatto in un gettare discredito sulla Costituzione vigente.
D’Alema perciò sa cosa comporta, in base ai meccanismi del conformismo mediatico, se il PD accetta la trattativa sul presidenzialismo, cioè ufficializzare la condizione di vassallaggio del PD verso il governo e la sua pratica di golpismo strisciante. In più D’Alema abbandona al suo destino Bersani, l’uomo che egli stesso aveva imposto alla segreteria del PD per portare avanti tutt’altra linea politica. Bersani era stato scelto in quanto uomo di fiducia - o, per meglio dire, sicario - della piccola-media impresa organizzata. Bersani si era conquistato la stima e la riconoscenza dei suoi mandanti quando nel 1999, da ministro del governo D'Alema, aveva avviato una raffica di privatizzazioni, soprattutto quella dell'energia elettrica.
La piccola-media imprenditoria organizzata, attraverso il ricatto del posto di lavoro sui dipendenti, controlla milioni di voti, ma, ciononostante, da almeno due anni non riesce neppure a farsi ascoltare dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Nel corso degli ultimi incontri con Tremonti, i piccoli e medi imprenditori sono stati costretti ad ascoltare umilmente le elucubrazioni mistico-economiche del ministro e le sue insulse spiritosaggini, non riuscendo però ad ottenere da lui neppure uno sgravio fiscale o un sussidio per le loro imprese. I soldi stanziati dal governo vanno infatti solo alle multinazionali: non soltanto la solita Impregilo, ma soprattutto multinazionali francesi che sono calate in Italia a vendere a caro prezzo obsolete tecnologie nucleari e farraginose tecnologie ferroviarie dell’alta velocità, il tutto con la mediazione di Luca di Montezemolo, che ha legato le sue fortune alla raccolta delle briciole dell’affare.
Bersani aveva avviato la sua intesa con la piccola-media impresa promettendo soldi e agevolazioni fiscali, ma, a poche settimane dalle elezioni, tutto è stato bloccato: addio all’intesa e addio a milioni di voti, dirottati verso la Lega Nord in cambio della promessa di un trattamento di favore da parte delle banche controllate da Umberto Bossi. Per perdere le ultime elezioni non era necessario scomodare e bruciare Bersani, con le sue relazioni con la piccola-media impresa, bastava tenersi come segretario Dario Franceschini, anche lui portabandiera del presidenzialismo. È chiaro che nel frattempo è successo qualcosa che ha costretto il vertice del PD a rinunciare alla sua prima vittoria elettorale. Bersani è riuscito almeno a riscuotere i voti dei suoi clienti privilegiati, quelli della Lega delle Cooperative, tenendosi ancora per un po’ quelle che una volta erano conosciute come le “regioni rosse”. Ma è chiaro che se la crisi economica si aggrava, anche quel legame potrebbe rompersi, perché, senza aiuti governativi, il sistema della piccola-media impresa rischia di saltare nel suo complesso di qui a poco. Venti anni fa, dopo la caduta del Muro di Berlino, il segretario del Partito Comunista Achille Occhetto riteneva di liquidare non solo l'esperienza comunista, ma anche l'esperienza socialdemocratica, in base alla tesi che non era solo il mito dell'Unione Sovietica a tramontare, ma persino quello della classe operaia. Al mito sovietico gli ex comunisti sostituivano disinvoltamente quello americano, mentre il mito operaio veniva soppiantato da quello dell' "imprenditore", specialmente il piccolo-medio, un favoloso personaggio creatore di ricchezza sociale, le cui lodi erano cantate in quei libri di fiabe camuffati da studi socio-economici che sono i rapporti annuali del CENSIS. A distanza di neanche vent'anni il mito imprenditoriale si è dimostrato solo un bluff ideologico e una copertura propagandistica, un alibi per i poteri oligarchici, come le multinazionali e il Fondo Monetario Internazionale.
Veltroni è un personaggio che vanta una sua coerenza storica: è sempre stato uno sradicato, privo di legami con la base elettorale, ha sempre e solo galleggiato sull’onda del favore dei media, si è sempre giovato di sostegni dall’estero, che sono stati ufficializzati dalla sua partecipazione alle riunioni del gruppo Bilderberg. Il Bilderberg viene spesso considerato come una sorta di governo segreto del pianeta, ma in effetti non è altro che una impalcatura di pubbliche relazioni, con cui il potere finanziario che fa capo alla Federal Reserve ed al Fondo Monetario Internazionale corrompe, fagocita e blandisce i suoi servitori all’interno dei Paesi colonizzati.
Mentre Veltroni è sempre stato un semplice lacchè del FMI, D’Alema esibiva invece i numeri del vero e proprio boss locale, che mediava sì la sua posizione con i poteri sopranazionali, ma che gestiva anche un potere finanziario ancorato al proprio territorio. Inoltre, con il suo incarico nella commissione che controlla i servizi segreti, D'Alema si era aperto un accesso al mondo dei dossier ed al potere di ricatto che questi comportano. Si è poi parlato spesso, e più che a proposito, dell’esistenza di un asse affaristico Berlusconi-D’Alema per la spartizione di banche e appalti in Italia; invece oggi l’asse è diventato un’esplicita servitù, con la sottomissione ufficiale di D'Alema nei confronti di un "dittatore" di cui i media favoleggiano un mitico feeling con le masse italiche, sebbene non ne riscuota più del 9% dei voti effettivi.
“Dittatura berlusconiana” costituisce ovviamente un’espressione da usare tra virgolette, poiché è evidente a tutti che il personaggio si trova in uno stato mentale confusionale che non gli permette di esercitare in effetti alcuna dittatura. Un uomo che passa la sua giornata tra stravizi e telefonate il cui principale argomento è Michele Santoro, ha chiaramente rotto i ponti con la realtà. Berlusconi è solo un dittatore fantoccio, che fa da paravento al vero golpismo in atto in Italia, quello del Fondo Monetario Internazionale.
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