CASO TREMONTI-DRAGHI: LA CIALTRONIZZAZIONE È UN’ARMA DEL COLONIALISMO
L’ennesima polemica fra il ministro Giulio Tremonti e il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi si è avvalsa della consueta attenzione spropositata da parte dei media, come se davvero si trattasse di uno scontro tra opposte concezioni dell’economia. In quest’ultima occasione è anche ricomparso il Tremonti “no global”, tanto da far ipotizzare ad alcuni che il ministro sia affetto da quella che gli psichiatri chiamano sindrome da personalità multipla.
C’è un Tremonti-uno che attacca l’euro ed un Tremonti-due che ne esalta la funzione di equilibrio, un Tremonti-tre che considera eccessiva la spesa sanitaria ed un Tremonti-quattro che la ritiene modesta, un Tremonti-cinque che difende il posto fisso ed un Tremonti-sei che continua a precarizzare il lavoro, un Tremonti-sette che condanna il pensiero unico del mercato ed un Tremonti-otto che si appella al mercato per impedire che i megastipendi dei manager vengano regolati, un Tremonti-nove che se la prende con gli “Illuminati” ed un Tremonti-dieci che si fa invitare al gruppo Bilderberg, un Tremonti-undici che vorrebbe ridurre le tasse ed un Tremonti-dodici che dice che le tasse non si toccano, ecc. ecc. Si potrebbe continuare all’infinito, al punto che viene il sospetto che in realtà Tremonti sia uno solo, lo stesso cialtrone di sempre.
Ultimamente Tremonti se l’è presa anche con esponenti del Fondo Monetario Internazionale, cosa che gli ha procurato le rampogne di Valentino Parlato, il quale sulle colonne del “il Manifesto” ha quasi gridato al sacrilegio. Valentino Parlato avrebbe fatto meglio a chiedersi come mai il Decreto Tremonti, diventato poi la Legge 133/2008, costituisca un elenco di privatizzazioni, che vanno dall’acqua ai patrimoni immobiliari delle Università e del Demanio dello Stato, un elenco che ricalca pedissequamente le istruzioni che il FMI impone da decenni ai governi di tutto il pianeta. Forse a distanza di due anni Tremonti si è pentito di aver privatizzato tanto? Per nulla, dato che con il federalismo fiscale si prepara addirittura a privatizzare la stessa esazione fiscale alla fonte, e non più il solo recupero crediti.
A Valentino Parlato occorrerebbe spiegare che i ministri hanno la tendenza a non dire quello che pensano, non solo perché difficilmente pensano qualcosa, ma soprattutto perché i loro obiettivi sono inconfessabili. La Legge 133/2008 non è soltanto incostituzionale, è illegale, poiché aliena dei beni pubblici senza contropartite, quindi per vararla non bastava farla approvare dal parlamento ad agosto, ma occorreva anche sollevare fumo, parlare d’altro. Così Tremonti svolge con discrezione il suo ruolo coloniale di servitore del FMI, recitando in pubblico la parte del nemico dei “poteri forti” sopranazionali.
È la logica delle pubbliche relazioni: dire alla gente ciò che vorrebbe sentire, senza far seguire alle chiacchiere le decisioni, ma recitando anche la parte della vittima circondata da nemici che mettono bastoni tra le ruote. In un periodo storico in cui tutti gli obiettivi dell’azione di governo sono illegittimi, illegali e inconfessabili, poiché finalizzati esclusivamente agli interessi del colonialismo e al criterio degli affari, la cialtroneria dei ministri diviene un accessorio indispensabile della loro funzione; una funzione che risulta appunto inseparabile dal seminare confusione nell’opinione pubblica.
La cialtroneria di un Tremonti o di un Brunetta - per non parlare di Berlusconi - costituisce quindi un elemento nel quadro generale della guerra psicologica, che include tra le sue armi la cialtronizzazione di un popolo, il suo annichilimento morale e culturale. Il colonialismo infatti è guerra; perciò anche quella che si considera “pace”, non è altro che guerra condotta con altri mezzi. Genocidio fisico e genocidio morale/culturale possono andare di pari passo nei processi di colonizzazione, come quando negli Stati Uniti i Pellerossa erano oggetto di sterminio e, nello stesso tempo, molti di loro venivano umiliati costringendoli ad esibirsi nel circo di Buffalo Bill. L'opinione pubblica deve essere però indotta ad accettare la cialtroneria dei propri rappresentanti, ed a ritenerla persino una norma sociale.
Il ruolo mediatico di Mario Draghi è quindi speculare alle esibizioni di Tremonti, per cui due personaggi di per sé inattendibili possono ri-acquisire credibilità criticandosi a vicenda. Tutti si sono accorti che, con lo scudo fiscale, Tremonti ha legalizzato il riciclaggio di denaro proveniente da traffici illegali, e in più non ha riportato un soldo in più nella casse dello Stato. Tutti sanno che la produzione crolla e che la disoccupazione aumenta. Arriva anche Draghi, buon ultimo, a scoprire l’acqua calda e allora i media possono finalmente esaltare il ruolo di “controllo” della Banca d’Italia. Arrivano poi i commentatori ufficiali a cantare lo scontro epico fra il liberista Draghi ed il “colbertista” (da Colbert, ministro di Luigi XIV) Tremonti, per conferire al tutto un alone pseudo-culturale a base di memorie confuse di manuale di liceo.
La figura di Draghi è anche legata ad un aneddoto reso popolare dagli interventi di Francesco Cossiga e, ultimamente, anche dal ministro Brunetta: la riunione del 1992, con l’allora Governatore della Banca d’Italia Ciampi, ed alcuni finanzieri internazionali, sul panfilo “Britannia”, in cui sarebbero state decise le privatizzazioni delle aziende italiane a partecipazione statale. L’episodio, in sé plausibile, non può comunque essere ritenuto decisivo, ma rientra nella logica delle pubbliche relazioni dei colonialisti nei confronti di una loro colonia: invece di fornire agli interessati soltanto un libretto di istruzioni, li si fa partecipare ad un incontro in cui si finge di dar loro importanza. Anche le famose riunioni del gruppo Bilderberg fanno parte di queste tecniche di pubbliche relazioni, in modo da offrire ai servi un momento di euforia e di gratificazione.
Undici anni or sono, fu ucciso dalle presunte Brigate Rosse il giurista Massimo D’Antona, consulente del ministro del Lavoro di allora, Bassolino. A distanza di qualche anno, nel 2002, fu ucciso un’altro consulente giuridico del governo, stavolta di centro-destra, Marco Biagi. Il ruolo di questi due consulenti è stato enfatizzato dai media, come se il loro apporto fosse stato davvero determinante nel varare le “riforme” successive delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro.
In realtà le cosiddette “riforme” vengono attuate dai governi, di destra o di “sinistra”, in base a moduli prestampati forniti dal Fondo Monetario Internazionale. Aver battezzato la Legge 30 sulla precarizzazione del lavoro con il nome di Marco Biagi risulta una tale forzatura propagandistica da rendere sospetto persino il suo “martirio”, dato che il sacrificio del giurista ha conferito un alone sacrale anche alla legge che ne porta pretestuosamente il nome. Lo stesso vale per il caso D’Antona, poiché non occorreva certo la creatività di un talento giuridico per andare a ridurre tout court i diritti sindacali.
Qui non si tratta di “cultura del sospetto”, dato che non c'è nulla di strano a ritenere che chi abbia fatto trenta (in questo caso la Legge 30/2003,) possa anche aver fatto trentuno: la guerra psicologica può avere necessità di seminare cadaveri, appunto perché è guerra.
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