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LA RICCHEZZA NON Č REDDITO DA CAPITALE, MA DA FURTO
Di comidad (del 28/01/2010 @ 01:26:18, in Commentario 2010, linkato 1934 volte)
Quando il segretario della CGIL Epifani ha lanciato la proposta di uno sciopero generale per promuovere una riforma fiscale, si è attirato una reprimenda da parte dei segretari di CISL e UIL. Il fatto che i segretari di CISL e UIL si siano profusi nelle consuete manifestazioni di servilismo verso il governo ed il padronato, non implica di per sé che la linea di Epifani abbia un senso.
Il tema della riforma fiscale è un po’ come quello della riforma istituzionale, serve cioè a rimandare il tutto ad una scadenza fittizia, apparentemente urgente, ma in effetti dilazionabile all’infinito, il cui risultato certo consiste soltanto nella delegittimazione delle garanzie esistenti.
Non a caso il Presidente del Consiglio - che ha attuato nel più assoluto silenzio una raffica di privatizzazioni natalizie - ora lancia pubblicamente ed enfaticamente una proposta di riforma fiscale, senza avere alcuna voglia di farla, ma solo per far abboccare la CGIL. In tal modo il sindacato delegittima se stesso e la propria funzione, poiché la difesa del salario viene demandata non ad un aumento dello stesso salario, ma ad una riduzione della pressione fiscale da parte dello Stato.
Un sindacato ha in realtà un modo diretto e semplice per “tassare” il padronato, rivendicando cioè il pagamento di salari più alti. La funzione storica del sindacato era infatti quella di scavalcare la mediazione del governo, non di invocarla. Il sindacato si pone come organizzazione di classe, quindi dovrebbe partire dal presupposto che lo Stato non sia neutrale, ma che, al contrario, costituisca un apparato funzionale al privilegio affaristico.
D’altra parte, il sindacato non è stato soltanto oggetto di una infiltrazione del suo gruppo dirigente, ma anche di una colonizzazione ideologica, che lo ha indotto a prendere come oro colato tutto il repertorio mitologico del vittimismo padronale. Č la vecchia fiaba ufficiale del ricco che vive sempre insidiato dall’invidia sociale dei poveri, che cercano subdoli espedienti legali per espropriarlo. Il mito della “via fiscale al socialismo” fa il paio con il mito, altrettanto fasullo, delle “toghe rosse”, costituisce cioè un prodotto del vittimismo dei ricchi, i quali evocano tutta una serie di spettri della minacciata uguaglianza sociale: la “imposta progressiva”, la “patrimoniale”, la “tassazione delle rendite da capitale”. In questa fiaba il ricco, tartassato da un fisco manovrato dai poveri, non può svolgere tranquillamente la sua santa missione di creare altra ricchezza per la società. Ecco che allora il ricco è costretto ad impugnare la bandiera della “rivolta fiscale” ed a farsi condottiero e vindice dei meritevoli soffocati dall’invidia sociale. In questo scenario fiabesco, il copione assegna alla cosiddetta "sinistra" il ruolo del partito delle tasse, destinate ad alimentare una gigantesca spesa sociale, un assistenzialismo pubblico che deprimerebbe la concorrenza e il "mercato".
In realtà la spesa sociale non solo è cosa distinta dalla spesa pubblica, ma ne costituisce una parte minima. Attraverso un gioco degli equivoci, sia i politici che i giornalisti fanno credere che persino le pensioni siano a carico della spesa pubblica dello Stato, mentre invece sono completamente pagate dai contributi versati dai lavoratori all'INPS. A sua volta l'INPS usa il suo attivo di bilancio per sostenere la cassa integrazione, la quale però costituisce più un'assistenza alle imprese che ai lavoratori. La cassa integrazione è infatti diventata per le imprese un modo per risparmiare sul costo del lavoro, dato che i padroni, mentre da un lato mettono in cassa integrazione una parte dei lavoratori, nel frattempo fanno fare gli straordinari ai lavoratori rimasti.
I contributi pensionistici sono quindi usati per alimentare un assistenzialismo per ricchi, ed a riguardo non mancano i casi clamorosi. Ad esempio, alla fine degli anni '70 i lavoratori subirono per parecchio tempo una trattenuta per alimentare un ipotetico "Fondo Perequazione Pensioni", che però non fu mai attivato, dato che il fondo fu fiscalizzato e dirottato a finanziare le imprese private. Questo è il mondo reale, in cui si ruba ai poveri per dare ai ricchi, e infatti uno dei prossimi bersagli delle privatizzazioni è proprio l'INPS. Se persino i contributi pensionistici dei lavoratori sono usati per assistere i ricchi, figuriamoci poi quanto i ricchi possano attingere direttamente dalle casse dello Stato. Oggi si discute se sia giusto che la FIAT riscuota finanziamenti statali mentre licenzia i lavoratori di Termini Imerese, ma si dimentica che i licenziamenti a Mirafiori nel 1980 erano già stati finanziati dallo Stato, che aveva appena versato alla FIAT sessantamila miliardi di lire dell'epoca con la Legge per la Riconversione Industriale. In una lacrimevole intervista di un anno fa, Massimo D'Alema si lamentò dell'ingratitudine della Confindustria, sempre sprezzante e insolente verso il governo Prodi, che pure era così prodigo di finanziamenti agli imprenditori.
Quasi tutti credono alla "mano invisibile del mercato", sebbene nessuno l'abbia mai vista, e intanto non ci si accorge di una cosa evidente come il fatto che i ricchi sono tali non solo perché pagano poche tasse, ma soprattutto perchè sono assistiti dallo Stato. Persino le privatizzazioni vengono tutte operate a carico della spesa pubblica e del patrimonio pubblico, senza che il privato ci spenda un soldo di suo. Negli ultimi mesi i patrimoni immobiliari delle aziende municipalizzate idriche, delle Università, della Difesa, della Protezione Civile e del Demanio dello Stato sono stati regalati dal governo ad affaristi privati attraverso vari artifici pseudo-legali, come fondazioni e SPA.
Con il pretesto della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina e con il trucco del “federalismo demaniale”, l’intera Provincia di Reggio Calabria è divenuta di proprietà della multinazionale edilizia Impregilo. In più, per la costruzione di un ponte che probabilmente non si farà mai, finora la Impregilo non ha sborsato un soldo, dato che i finanziamenti sono tutti statali. Quale “imposta patrimoniale” potrebbe mai ovviare ad un saccheggio del genere?
Dovunque le privatizzazioni siano riuscite ad imporsi a tappeto, non solo i poveri sono diventati più poveri, ma anche il ceto medio è stato travolto e ridotto alla miseria. Č la storia dei Paesi dell’America Latina e di tutte le parti del mondo dove il Fondo Monetario Internazionale sia riuscito ad imporre il vangelo delle privatizzazioni. Il vangelo del FMI impone anche i tagli alla spesa sociale, e non perché ciò incida davvero sulla spesa pubblica - che ha tutt'altri oneri e scopi-, ma in quanto determina un minor numero di posti di lavoro nella pubblica amministrazione, quindi disoccupazione, e ulteriore calo del costo del lavoro. Che la povertà non sia un incidente di percorso, ma un preciso obiettivo dell'affarismo, è indicato dal fatto che il FMI ha spalancato le porte ad uno dei più grossi business mondiali di sfruttamento della povertà, cioè le agenzie di recupero crediti, le quali risultano determinanti anche nel fenomeno della migrazione; perciò i migranti arrivano qui non perché attirati da un presunto "italian dream" - di cui, giustamente, non gli frega nulla -, ma perché costretti per poter pagare un frigorifero comprato a credito, o le esose bollette dell'acqua privatizzata.
Come fare per convincere il ceto medio - colpito dalle privatizzazioni e dagli attacchi al pubblico impiego - a ritornare all’ovile ed a schierarsi con quella borghesia che lo sospinge verso la precarietà? Basta spaventarlo chiamando Epifani e facendogli dire che i risparmi in obbligazioni e titoli di Stato di tanti impiegatucci sono minacciati dal fisco a caccia di “rendite da capitale”; così il risparmiatore viene convinto che la sua sorte personale sia legata a quella di Rothschild e della Impregilo, piuttosto che a quella degli operai.