Riguardo all'uccisione di una ragazzina afgana di tredici anni da parte di militari italiani, i media hanno seguito la linea consueta in questi casi: parlarne il meno possibile e minimizzare l'episodio, presentandolo come un errore o un incidente. In realtà le dichiarazioni ufficiali rilasciate dai comandi italiani configurano chiaramente l'ipotesi di omicidio volontario.
L'accaduto non può essere ascritto né a fatalità né a negligenza, dato che, per come erano state concepite le regole d'ingaggio, l'eventualità di uccidere persone che non c'entravano nulla era stata presa in considerazione e accettata dai militari e dal governo. In termini tecnico-giuridici questo non si chiama colpa, ma dolo eventuale.
Quindi, in base alla stessa legge dello Stato che li ha mandati lì, i militari italiani sono responsabili di un assassinio, dal soldato che ha sparato e via via, in ordine crescente di gravità, sino ai generali. Responsabili di omicidio volontario sono anche il ministro della Difesa e il Presidente del Consiglio, e, in base al principio della collegialità, anche il governo nel suo insieme. Tutti assassini e criminali di guerra; o criminali di pace, se si considera che i militari italiani sono in Afghanistan per una missione di pace.
Ciò, ovviamente, in base alle leggi dello Stato italiano, che, in questo caso, è anche l'assassino.
|