LA FABBRICA DI NUOVI HITLER
L’Iran è di nuovo al centro della riprovazione mediatica, nonostante che nelle scorse settimane la nuova amministrazione statunitense sembrasse voler rompere l’accerchiamento diplomatico messo su negli ultimi cinque anni, e nonostante che il governo di Teheran avesse fornito una collaborazione decisiva nel consentire l’occupazione statunitense dell’Iraq, mediando fra gli invasori e la popolazione sciita.
Qual è stata la causa dell’ulteriore ondata di sdegno che ha colpito il governo di Teheran?
L’Iran non ha invaso nessun Paese, non ha rotto trattati internazionali, non ha costruito nuove armi - se non quelle già fantasticate nei processi alle intenzioni da parte di sionisti e neocon -, perciò l’oggetto dell’indignazione riguarderebbe alcune dichiarazioni bellicose contro Israele, attribuite ai leader della Repubblica Islamica.
“L’Occidentale” si è meritato nei giorni scorsi un posto nella home-page di Google, accusando l’Iran di fascismo islamico. Il fatto che un giornale che si chiama “L’Occidentale”, accusi qualcun altro di fascismo, ricorda molto la storia del bue che dà del cornuto all’asino, poiché uno dei tratti distintivi del fascismo è proprio quello di identificare geografia ed ideologia.
Ma la questione centrale è piuttosto quella della effettiva possibilità di pronunciare giudizi su leader internazionali invisi ai media, in base a dichiarazioni rispetto alle quali non si ha nessuna prova circa la loro autenticità. Il vero Hitler poté esporre le sue idee in un suo libro che divenne un best-seller internazionale: il “Mein Kampf”. Oggi invece è possibile fabbricare sempre nuovi Hitler in base a resoconti di terza o quarta mano delle dichiarazioni di questo o quel “dittatore”.
Dichiarazioni rilasciate in lingua Parsi richiedono una traduzione, e sull’attendibilità delle traduzioni è lecito nutrire qualche dubbio, dati i precedenti. Il famoso video in cui un presunto Bin Laden parlava dei suoi sogni a proposito delle Torri Gemelle, risultò poi essere stato tradotto dall’Arabo in modo del tutto arbitrario; perciò alla sospetta autenticità del video, si aggiungeva anche la non credibilità dei dialoghi che esso avrebbe contenuto.
Il Parsi e l’Arabo sono pur sempre lingue rispetto alle quali un controllo sulle traduzioni è possibile in tempi brevi, ma quando si tratti di lingue africane, allora aspettare la verifica di quello che ha affermato il tale o talaltro leader diviene impossibile. Ma allora perché questi leader, per mettersi al sicuro, non rilasciano dichiarazioni in Inglese?
Non è detto che non lo facciano, ma il punto è che conosciamo il pensiero di certe persone esclusivamente per quello che ci si vuol far sapere.
Il leader libico Gheddafi, in questi ultimi quaranta anni, è stato chiamato molte volte dai media a sostenere per qualche tempo la parte del nuovo Hitler. Attualmente è rientrato nelle grazie dei media in seguito a degli accordi affaristici con il cosiddetto Occidente, compresa l’Italia. Questi trionfi mediatici gli furono riservati anche alla metà degli anni ’70, quando Gheddafi entrò come socio nella FIAT per sostenerne le casse esauste.
Nel 1986 Tripoli fu bombardata dalla flotta statunitense per ordine del presidente Reagan, con il dichiarato scopo di uccidere Gheddafi, che rimase però illeso, anche se perse tra le macerie la sua figlioletta adottiva. In quell’occasione Gheddafi fece lanciare un suo missile Scud in prossimità di Lampedusa, dove si trova una base americana. Lo scopo del lancio non era di colpire il territorio italiano, ma di far sapere agli Italiani dell’esistenza di quella base militare che era stata utilizzata per l’attacco alla Libia.
Ma nessun organo di “informazione” italiano riportò la notizia dell’esistenza a Lampedusa di quella base americana, accanto alla quale il missile libico era caduto. L’ingenuo Gheddafi era perciò rimasto anche lui vittima della propaganda del sedicente “Occidente”, il quale proclama di essere la patria della libertà di informazione, ma invece sa tacere all’unisono quando di certe cose non si possa parlare.
Attraverso la decontestualizzazione delle azioni e l’omissione di fatti decisivi, è facilissimo per i media fabbricare nuovi Hitler, in base alle esigenze occasionali del colonialismo. Ad esempio, il fatto che Hamas sia un movimento che ha vinto delle regolari elezioni - per quanto delle elezioni possano essere regolari -, è divenuto la prova mediatica del carattere nazista di questo movimento, in base all’argomento che “anche Hitler” sarebbe andato al potere con delle elezioni (l’obiezione “anche Hitler ecc. ecc.” riesce a coprire praticamente tutte le possibilità del comportamento umano).
In realtà in questo caso l’argomento è storicamente falso, poiché nel 1932 Hitler ricevette l’incarico di Cancelliere dopo aver riportato una sconfitta elettorale, e solo per guidare un governo di coalizione. Hitler prese invece il potere assoluto per un colpo di stato, cioè la promulgazione di leggi eccezionali dopo un “attentato terroristico” attribuito ai comunisti: l’incendio del Parlamento, il Reichstag. L’antiterrorismo fu dunque la giustificazione propagandistica della dittatura hitleriana, e l’appello all’emergenza/terrorismo rende Hitler molto più somigliante agli occidentalisti, che non agli avversari, veri o presunti, che il sedicente Occidente si sceglie di volta in volta.
Ma una dialettica ritorsiva del genere lascerebbe il tempo che trova, poiché il problema non è di stabilire se gli Hitler siano da cercare da una parte piuttosto che dall’altra, quanto nel capire che le tecniche di dominio tendono a somigliarsi.
In particolare, la propaganda del potere rappresenta, nelle sue caratteristiche essenziali, uno dei fenomeni storicamente più stabili, perciò qualsiasi tema si trovi in un certo periodo al centro dell’attenzione mediatica, non si può non guardarlo con sospetto. Per questo motivo, la troppo plateale persecuzione giudiziaria dei cosiddetti negazionisti del cosiddetto “Olocausto” (termine che Primo Levi aborriva), costituisce uno di quei segnali che dovrebbero mettere in guardia.
Se oggi il negazionismo ha acquisito una dignità ed una credibilità a livello culturale, ciò è dovuto esclusivamente al fatto che chi lo sostenga viene sottoposto al martirio giudiziario e mediatico. Il dominio preferisce che si metta in forse la verità del genocidio ebraico nel corso della seconda guerra mondiale, piuttosto che se ne individuino le responsabilità sino in fondo. Non si può capire nulla di quell’evento se non lo si mette in relazione con due fatti storici essenziali: la Dichiarazione di Balfour del 1917, ed il best-seller antisemita “L’Ebreo Internazionale”, scritto dall’industriale Henry Ford nel 1920.
Nel 1917 il ministro degli Esteri britannico Balfour aveva dichiarato in una lettera a Lord Rothschild che la Gran Bretagna riconosceva agli Ebrei una patria in Palestina per compensarli del contributo che davano alla guerra contro la Germania (e ciò mentre la maggior parte dei soldati ebrei moriva invece combattendo nelle file tedesche e austriache).
Nel 1920 Henry Ford conferì con il suo libro una credibilità alla tesi della cospirazione giudaica internazionale, accusando - tra l’altro - gli Ebrei di essere anche gli organizzatori dei sindacati che lo importunavano.
Insomma, il fabbricare il mito di nuovi Hitler presenta per il colonialismo il vantaggio ulteriore di poter cancellare dalla memoria comune i metodi con cui è stato fabbricato il vecchio Hitler, quello vero.
|