LA CONDIZIONE DEI PAZIENTI NELLA FIABA MEDIATICA
Il caso della povera Eluana Englaro è stato per i media l’occasione per offrire un quadro idealizzato della società in cui viviamo; una società in cui l’opinione pubblica viene spinta a dividersi su valori “forti”: da un lato la libertà di scelta di morire, a fronte dell’impossibilità di una vita dignitosa, dall’altro lato l’affermazione intransigente della sacralità della vita.
Ora, pur senza nessun disprezzo e nessuna critica verso chi si appassioni a discussioni di questo genere, non si può fare a meno di notare l’irrealismo di questa rappresentazione mediatica, che appare lontana dall’esperienza concreta di chi abbia avuto parenti, amici o conoscenti in condizioni analoghe a quelle di Eluana.
Bisogna dare atto ad alcuni medici intervistati in questi giorni di aver cercato, per quanto inutilmente, di sfatare la mitologia mediatica, tentando di ristabilire la realtà della condizione ospedaliera, in cui il “lasciar morire” costituisce una decisione che appartiene molto più alla routine che allo scontro drammatico di valori.
Anche questa rappresentazione meno idealizzata, e più vicina alla realtà, non tiene conto di pratiche di vera e propria eliminazione dei pazienti, che di tanto in tanto passano come meteore all’attenzione dei media. L’ultimo caso eclatante avvenne proprio nella città natale di Eluana, a Lecco nel dicembre del 2004, quando un‘infermiera venne arrestata con l’accusa di aver ucciso dei pazienti. Queste pratiche di “eutanasia” ospedaliera vengono immancabilmente attribuite dai magistrati e dai media all’iniziativa di infermieri isolati, dotati inoltre di mirabolanti capacità di dissimulare per anni le loro attività omicide prima di essere scoperti.
Ad evitare che il pubblico si ponga a riguardo qualche domanda di troppo, le vicende di questi improvvisati “angeli della morte” scompaiono dai media con incredibile rapidità, per essere immediatamente dimenticati, come se non fossero mai avvenuti. È evidente quindi che gli “angeli della morte” sbattuti per qualche giorno in prima pagina, rappresentano solo il capro espiatorio di un sistema che sa dissimulare molto bene la realtà del suo funzionamento, ed a questo scopo rappresenta un mondo mitico con alternative inesistenti nella pratica. Tutto ciò che non va in questo mondo mitico, viene giustificato dai media con l’alibi della “mala sanità”, cioè il richiamo ad un insieme di inefficienze dei singoli che serve ad assolvere il sistema e le sue motivazioni.
La vicenda di Eluana si presenta, dal punto di vista mediatico, come la fotocopia di casi avvenuti, anche di recente, negli Stati Uniti, dove però la questione dell’accanimento terapeutico poggia su basi concrete, dovute al sistema sanitario basato sulle assicurazioni private. Negli Stati Uniti, quei pochi privilegiati che possono permettersi un’assicurazione sanitaria in grado di coprire ogni periodo e ogni livello di cura possibile, vanno incontro al rischio di essere tenuti in vita dalle strutture ospedaliere fino a che il potenziale finanziario della loro polizza assicurativa non sia stato spremuto completamente.
Lo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate per mantenere in vita i malati terminali, si spiega così con un preciso interesse affaristico da parte di strutture sanitarie, per lo più private, che sfruttano sino in fondo la copertura garantita ai pazienti dalle agenzie assicurative. Avviene così che, mentre gli interessi delle strutture sanitarie finanziano campagne per la difesa della vita, le agenzie assicurative finanziano invece contro-campagne per il diritto dei pazienti ad una morte rapida e dignitosa.
Nel sistema sanitario europeo, che è soprattutto pubblico, non si verifica un analogo scontro di interessi, perciò qui i casi mediatici montati attorno a sciagure personali come quelle di Eluana servono appunto a raffigurare una fiaba utile ad allontanare la percezione della reale condizione dei pazienti. In queste rappresentazioni mediatiche, non manca mai la voce ottusa e irritante della Chiesa Cattolica, che ormai svolge la funzione di una sorta di pupazzo meccanico da azionare a comando, che fa scattare in una parte dell’opinione pubblica un riflesso di anticlericalismo ingenuo, utile a far perdere di vista la reale condizione dei pazienti.
Non è una coincidenza, ad esempio, che tra i casi segnalati di pazienti in coma irreversibile per i quali si pongano le drammatiche alternative proposte dai media, non vi sia nessun adolescente che si sia rotto la testa andando in motorino senza casco. Questi ricoverati sani e di giovane età presentano sempre stati comatosi che conducono immancabilmente a rapidi decessi, utili ad spiantare, altrettanto rapidamente, i loro organi.
In Europa la sanità, per quanto ufficialmente pubblica, è ugualmente subordinata ad interessi privati; anche se questi interessi privati hanno comunque da recriminare circa un difetto imperdonabile delle strutture pubbliche, cioè l’inconveniente che i pazienti, una volta entrati, non possano sparire nel nulla.
Se si riflette sull’ultima sortita del governo Berlusconi, che ha annunciato di voler imporre ai medici la denuncia degli immigrati clandestini, si comprende che il suo scopo va proprio nel senso auspicato dagli interessi privati.
L’annuncio del governo è destinato a rimanere tale, poiché una legge che imponesse l’obbligo di denuncia ai medici andrebbe in conflitto con la stessa legislazione nazionale ed internazionale vigente. Rimane però l’effetto-annuncio, cioè il timore suscitato negli immigrati clandestini dalla campagna mediatica in corso. Un immigrato che si ricoveri in una struttura ospedaliera pubblica rischia sì di essere sottoposto ad operazioni che abbiano un scopo puramente sperimentale, ma non deve temere di sparire.
Ma da ora in poi gli immigrati clandestini avranno delle remore a rivolgersi a strutture pubbliche e potrebbero più facilmente cadere preda di strutture private che operino in una sorta di tollerata clandestinità, e che gli offrissero “soccorso” accampando motivi umanitari. È chiaro che in strutture del genere sarebbe molto più facile che i pazienti sparissero, per diventare organi da trapiantare o materia prima per produzioni farmaceutiche.
Lo stesso procedimento è stato attuato per sabotare la legge sull’aborto pubblico e per incentivare le donne a rivolgersi a strutture private. Anche qui, a livello ufficiale, la legge non è stata toccata, ma le campagne messe in atto a suo tempo da Giuliano Ferrara su alcuni casi di aborto, hanno determinato in molte donne il timore di trovarsi al centro dell’attenzione una volta che si rivolgessero a strutture pubbliche.
Mentre i feti e gli embrioni nelle strutture pubbliche devono essere distrutti, poiché così impone la legge, nel settore privato i feti e gli embrioni possono trasformarsi in materia prima per le case farmaceutiche, che li utilizzano oggi per tutta una nuova gamma di prodotti.
Più la realtà della sanità diviene cruda ed insensibile alla dignità delle persone, più la fiaba mediatica dovrà rappresentare un mondo in cui si agitino solo astratti valori morali in conflitto tra loro.
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