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CRAXI FU FATTO FUORI DA UN GOLPE FINANZIARIO, NON GIUDIZIARIO
Di comidad (del 30/01/2025 @ 00:05:19, in Commentario 2025, linkato 3042 volte)
La fintocrazia trova il suo momento più epico non nello scontro tra destra e sinistra, bensì nella diatriba tra politica e magistratura. La riforma Nordio va stranamente a coincidere con la ricorrenza della morte di Bettino Craxi, colui che una certa vulgata presenta come il martire più illustre del “colpo di Stato giudiziario” del pool di PM milanesi detto “Mani Pulite”; un golpe che sarebbe avvenuto tra il 1992 e il 1993. Purtroppo il gioco delle parti impone che questa narrativa non venga contrastata entrando nei dettagli storici, perciò all’immagine dell’esule perseguitato, rifugiatosi ad Hammamet come a suo tempo Giuseppe Mazzini, si contrappone l’altrettanto acritica versione sul latitante che sfugge ai processi per mazzette. Un articolo sul quotidiano online Linkiesta si compiace del fatto che il presidente Mattarella abbia scavalcato le timidezze nella rivisitazione della figura di Craxi per mettere in evidenza l’opera dello “statista”. Ovviamente siamo sul piano delle chiacchiere; infatti l’articolo si impantana in un calderone di considerazioni inconcludenti sugli esiti politici della fine di Craxi, infilandoci i fumi del “populismo” e persino Giuseppe Conte, il che è quanto dire.
Peccato che tredici anni fa proprio il quotidiano Linkiesta abbia pubblicato un articolo che, sebbene fuorviante nel titolo, riportava qualche fatto che smentisce l’attuale pantomima che si svolge sulle spoglie di Craxi. Il 29 aprile 1993 la Camera respinse la richiesta di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Il risultato di quel voto parlamentare suscitò la scontata indignazione dei media, ma, di fatto, lo “statista” era riuscito a salvarsi dalla “Giustizia” (oppure, se si preferisce, dalla “persecuzione giudiziaria”) grazie alle sue prerogative parlamentari e con un meschino discorsetto in cui se la cavava con un “così fan tutti”. Craxi dimostrava di non aver capito niente di quello che stava accadendo; cioè che il problema non era la corruzione in sé, bensì la transizione dalle cleptocrazie politiche locali alla cleptocrazia finanziaria sovranazionale basata sulla circolazione illimitata dei capitali.

L’articolo di Linkiesta smentisce il proprio titolo quando ricorda che l’evento traumatico che aveva posto fine alla cosiddetta “prima repubblica” non era stato quel voto parlamentare, bensì l’emergenza finanziaria che si era scatenata l’anno precedente. Come è noto, alla fine del 1992 la valutazione della lira crollò a causa della speculazione messa in atto da George Soros; ma non fu neanche quella speculazione in quanto tale a determinare l’emergenza, poiché la svalutazione della lira non comportava di per sé alcuna conseguenza traumatica. A determinare la vera emergenza, cioè la crisi finanziaria, fu la scelta della Banca d’Italia di sostenere a tutti i costi il valore della lira in modo che questa non uscisse dalla fascia di oscillazione del Sistema Monetario Europeo. La Banca d’Italia gettò in quell’operazione di sostegno alla lira quasi tutte le sue riserve in valute straniere. Ma nei giorni precedenti ai quali si sarebbe dovuto votare sull’autorizzazione a procedere contro Craxi era già accaduto un fatto strano. Il presidente della repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, aveva convocato il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, e, invece di chiedergli conto del disastro che aveva combinato bruciando le riserve valutarie, lo incaricava di formare il nuovo governo “tecnico”. Dopo la famigerata lettera di Andreatta che gli assegnava anche un potere sulla gestione del debito pubblico, Ciampi era diventato il banchiere centrale più potente della storia repubblicana, e quindi anche il maggiore responsabile di quel tracollo della lira. C’era quindi di che metterlo alla gogna, e invece Ciampi fu collocato sugli altari; dai quali non è riuscito a smuoverlo neppure la circostanza che il suo governo coincise con le presunte “stragi di mafia”. Neanche su quella vicenda Ciampi diede spiegazioni e se la cavò dicendo che “temeva un golpe”. Magari il suo.
Il diniego parlamentare a far processare Craxi mise inizialmente in crisi la fiducia al governo Ciampi, ma si trattò di un fuoco di paglia; tanto che ne uscì immediatamente fuori una riedizione del suo governo in versione ancora più “tecnica”. Craxi e la sua maggioranza, sebbene vincitori in parlamento, si ritrovavano comunque estromessi dal potere per non aver saputo, e voluto, opporsi al ricatto emergenziale di Ciampi e Scalfaro; i quali non ebbero neppure l’alibi di aver salvato la lira, dato che la svalutazione fu poi sancita lo stesso dai governi successivi. I governi “tecnici” non salvano mai niente dato che la loro vera funzione è di stabilire il primato della finanza sovranazionale sulla politica e il primato del presidente della repubblica sul parlamento.
L’Italietta scoprì improvvisamente che, a norma della Costituzione “più bella del mondo”, il presidente della repubblica ha poteri da monarca, infatti può incaricare chi vuole di formare il governo e può tenere il parlamento sotto il ricatto dello scioglimento. In aggiunta, Craxi fu fatto oggetto di un lancio di monetine, che i media spacciarono per manifestazione di indignazione popolare. Ma nessun commentatore si domandò come mai la polizia avesse lasciato fare e nessuno dei lanciatori di monetine fosse stato fermato per il suo reato di aggressione.
Se si analizza la vicenda Craxi al di fuori del diaframma moralistico che impone di stabilire se questi fosse ladro o statista, ci si accorge che si appanna l’alone “uomofortista” che circonda la sua figura. Un “leader” politico che si preoccupa più della minaccia dei magistrati che di quella dei banchieri, dimostra di essere già un fantoccio della fintocrazia, perciò le nostalgie suscitate da Craxi e dalla “prima repubblica” appaiono poco fondate.
I rituali della fintocrazia prevedono che ogni tanto si facciano volare un po’ di stracci; anzi, un po’ di toghe. A smentire il mito del pubblico ministero come super-poliziotto ci pensa lo stesso Carlo Nordio; non con le sue parole, ma con la sua improbabile figura, che rende irrealistico che abbia effettivamente avuto la capacità di dirigere un’indagine. Alla fine non sono i mitici “super-poliziotti”, ma i poliziotti a stabilire cosa debba passare e cosa no. Tanto è vero che mentre il governo umilia i magistrati, poi ammicca alle varie polizie segrete e palesi, cercando di compiacerle in ogni modo.