In molti hanno ritenuto di liquidare l’intervista rilasciata da Putin a Tucker Carlson come propaganda. Certo che si tratta di propaganda, e non si capisce cos’altro avrebbe dovuto essere. Ciò non esimerebbe però i nostri governi dal replicare a delle specifiche dichiarazioni piuttosto imbarazzanti. In particolare Putin ha riconfermato quanto già si era detto immediatamente dopo l’attentato al gasdotto North Stream, e cioè che il pur grave sabotaggio non aveva del tutto compromesso la possibilità di approvvigionamento di gas russo, in quanto un tubo è rimasto funzionante, perciò la Germania, se volesse, potrebbe ancora servirsene; cosa che invece non sta facendo. La carenza energetica, dovuta al mancato approvvigionamento di gas russo, ha determinato in Germania un drammatico incremento dei costi di produzione, con la conseguente chiusura di numerosi impianti di aziende come Basf, Michelin, Ford, Goodyear, ed ora anche Volkswagen. Secondo alcuni commentatori il partito dei Verdi, ora al governo a Berlino, non considera la deindustrializzazione un problema; anzi, essa andrebbe nel senso di un’auspicabile decrescita. In realtà nulla assicura che la decrescita sia “felice”, poiché la deindustrializzazione e la carenza energetica comportano il rilancio di produzioni obsolete e maggiormente inquinanti; infatti
il governo tedesco ha lasciato in funzione centrali a carbone che avrebbero dovuto essere già dismesse.
Anche la rigassificazione in appositi impianti del GNL o del GPL comporta un notevole spreco di energia e molto inquinamento in più. Si farà così almeno contenta la "Democrazia"? Neanche quello, dato che le forniture di gas liquefatto (sia gas naturale, sia gas di petrolio) dalla Norvegia e dagli USA non sono sufficienti. Gli USA non hanno aumentato la loro produzione poiché per farlo dovrebbero spendere per nuovi investimenti, che nel fracking sono particolarmente onerosi; mentre invece la minore produzione comporta una comoda situazione di prezzi più alti e maggiori profitti. La cosa più ridicola è che la Germania risulta costretta a continuare a rifornirsi di
gas liquefatto di produzione russa, però attraverso l’intermediazione di imprese indiane, quindi con un sovrapprezzo da pagare.
La deindustrializzazione della Germania rende poco attendibili certi proclami bellicosi del governo Scholz, il quale strombazza i suoi propositi di sempiterna ostilità con la Russia; come se le guerre si combattessero a bordate di parolacce, invece che con le fabbriche di missili, cannoni e proiettili. La decrescita però non risulta infelice proprio per tutti, dato che in questi ultimi anni la Germania ha visto
uno sviluppo della microfinanza a livello di paesi in via di sviluppo. Nella grande Germania, nota per i suoi salari più alti della media europea, sembra strano che il microcredito si espanda a livelli da Bangladesh, trovando un target sia nei residenti, sia negli immigrati. Anche in Germania la deindustrializzazione ha comportato la finanziarizzazione sociale, cioè la necessità di integrare salari bassi e aleatori accedendo a piccoli prestiti. Ben poca felicità per gli indebitati, moltissima invece per le multinazionali del credito. Nella relazione creditore-debitore il denaro si identifica tout court con la gerarchia sociale, cioè il denaro diventa l’unica socialità; perciò ogni opposizione concreta, volente o nolente, deve ripartire dalla redistribuzione del reddito.
Dato che i consigli di amministrazione delle società per azioni devono presentare profitti ogni anno, non c’è nulla di strano che le imprese “industriali” conservino soltanto una facciata di produzione, con l’esclusivo scopo di riscuotere sussidi dai governi con il pretesto di tutelare posti di lavoro che in realtà tendono a scomparire comunque. Ogni riferimento a Stellantis è puramente casuale. Intanto gli Elkann, tramite la loro finanziaria Exor,
spostano il business verso la sanità privata. Si tratta del grande business del futuro, in quanto lo smantellamento della sanità pubblica, accelerato drasticamente dalla psicopandemia, costringe adesso anche i meno abbienti a ricorrere al privato; ovviamente tramite assicurazioni, o a credito, oppure a microcredito, a seconda dei casi. Si tratterebbe comunque di business finanziari.
Nelle ultime settimane negli USA si è assistito al confronto tra il governatore del Texas col governo Federale. Il governatore ha schierato la guardia nazionale al confine con il Messico per bloccare l’ondata migratoria. Ma siamo sicuri che sia proprio necessario chiudere il confine e non ci siano altri strumenti per evitare la migrazione di massa? Ci sono infatti dei dati che spiazzano la visione comune del problema migratorio. La fonte della notizia è uno di quei giornalacci complottisti che sono il bersaglio preferito del nostro “Open”. Il giornalaccio in oggetto è il “Washington Post”, il quale nel 2019 pubblicava un articolo, peraltro documentatissimo, in cui si illustrava
il ruolo di finanziatore della migrazione svolto dall’agenzia governativa statunitense per lo sviluppo internazionale, l’Usaid, fondata nel 1961 da John Kennedy. Insieme con la Banca Mondiale, l’Usaid ha finanziato in Guatemala la nascita di un istituto finanziario specializzato in microcredito per facilitare lo sviluppo e l’uscita dalla povertà. A questo proclama di belle intenzioni corrisponde però un’altra realtà, e cioè che i prestiti vanno a finanziare la migrazione clandestina negli USA; infatti il Guatemala è uno dei paesi da cui parte il maggiore numero dei migranti che passano il confine del Texas “illegalmente” (negli USA solo la corruzione è pienamente legalizzata). Si innesca un ciclo finanziario per il quale l’indebitamento porta alla migrazione, e poi la migrazione comporta l’accesso ad altri servizi finanziari. Anche la migrazione rientra nel generale fenomeno della finanziarizzazione sociale. La semplice povertà non può essere infatti un movente per la migrazione, poiché migrare ha un costo e comporta spese immediate per chi debba migrare; e per quelle spese ad un guatemalteco servono ad hoc i dodicimila dollari del prestito. Oggi l’Usaid afferma di essere fuori dall’affare almeno da dieci anni, mentre la Banca Mondiale dice di esserci entrata soltanto l’anno scorso; intanto il business è partito con i soldi dell’Usaid, anche se attualmente ci sono altri finanziatori privati. Il governatore Abbott ha taciuto per anni su queste losche commistioni tra denaro pubblico e finanza privata, a riprova del fatto che anche in quei casi in cui la stampa mainstream riferisce i fatti, bisogna poi far di tutto per dimenticare e tornare ai soliti luoghi comuni. Ora Abbott si esibisce in questa prova muscolare, che ovviamente ha riscosso l’ammirazione dei soliti fascistoidi nostrani che non vedono l’ora di fare anche loro la caccia al migrante. I leader politici si adeguano alla fintocrazia, evitando di mettere in discussione la gerarchia del denaro, cioè la spirale dei debiti, ed offrono invece all’opinione pubblica una serie di occasioni di rifugiarsi nella psicodrammatica. La falsa politica si concentra così sull’alternativa illusoria tra controllo/repressione sui corpi oppure controllo/educazione delle menti, distraendo dagli effetti devastanti di quei flussi di denaro pubblico privatizzato che nel gergo economico vengono chiamati movimenti di capitali.