Pare proprio che il generale Vannacci in versione di filosofo vada rivalutato e che tutto si giochi attorno al concetto di “normalità”. Ad offrirci la parola definitiva sulla nozione di “normalità”, è arrivato però Stefano Besseghini,
il presidente di Arera, l’Autorità che si occupa di “tutela del consumatore” in campo energetico. Besseghini ci ha tutelato davvero alla grande, infatti apprendiamo da “Fanpage” il suo verbo: la “nuova normalità” è l’aumento delle bollette elettriche ed anche di quelle del gas, perciò in molti dovranno abituarsi all’idea di andare a dormire sotto i ponti; e, se si lamentano, sono pure anormali.
Sarà per questo motivo che i redattori di “Fanpage”, da bravi commando del politicorretto, sono immediatamente corsi ad occuparsi delle vere emergenze, di cose serie come i rigurgiti neopatriarcali nello
spot pubblicitario di Esselunga. Peccato che alle casse dei supermercati sia possibile anche pagare le bollette, per cui c’è il rischio che al prossimo spot la bambina, invece di regalare una pesca al papà separato, gli sbatta in faccia la bolletta facendogli presente quanto venga a costare vivere in due appartamenti diversi. Che sia in versione patriarcale o matriarcale, l’unità familiare ritornerà in auge, se non altro come mezzo per risparmiare sulle bollette.
Insomma, la normalità sta nel sapersi abituare. Sarà millantato credito, ma,
secondo lo storico inglese Stuart Laycock, dei centonovantatre paesi attualmente rappresentati all’ONU ben centosettantuno hanno ricevuto l’onore di essere invasi dal Regno Unito. Ci sarebbero quindi ventidue paesi che non si sono ancora regolarizzati, perciò dovrebbero sbrigarsi a presentare formale richiesta al Regno Unito di invaderli al più presto per sanare l’anomalia.
Sarà come prendersi uno sputo in faccia: magari la prima volta ti diranno che non l’hanno fatto apposta, e poi ne potranno arrivare un secondo o un terzo, fino a creare una “nuova normalità”. Molti si aspettavano una reazione indignata da parte di Israele per la standing ovation al parlamento canadese nei confronti dell’ex Waffen SS ucraino Jaroslav Hunka, invece il giornale “Times of Israel” ha espresso comprensione, dato che
il gesto sarebbe stato involontario (“inadvertent”); tanto più che al parlamento di Ottawa c’era pure Zelensky, che è ebreo ed ha avuto la famiglia sterminata nell’Olocausto; perciò se la cosa non ha impressionato lui, non sarà il caso di farne un dramma. La prima volta si chiede scusa e si promette di non farlo più, intanto il precedente si è stabilito.
E poi in Canada certe cose sono effettivamente normali, dato che l’attuale vice primo ministro, ed anche
ministro delle Finanze, Chrystia Freeland, è nipote di un collaboratore degli occupanti nazisti. Nessuno può scegliersi i genitori ed i nonni, ma nel 2017, quando la Freeland era ministro degli Esteri, la notizia era ancora considerata imbarazzante e veniva liquidata come propaganda russa.
Oggi invece si comincia a prendere atto con disinvoltura che la Freeland fa parte di una potente lobby di immigrati nazi-ucraini e ciò spiegherebbe parecchi risvolti della sua luminosa carriera. Dall’anno scorso la stessa Freeland ha smesso di negare o minimizzare i suoi
legami con i nazi-banderisti ucraini e si è fatta persino fotografare in pubblico in loro compagnia, esibendo i simboli di quell’ideologia.
Non c’è quindi da sorprendersi del fatto che la Freeland ha dimostrato una notevole dimestichezza con la biopolitica nazista. Due anni fa infatti la Freeland era già ministro delle Finanze ed era
venuta agli onori delle cronache ed al plauso dei politicorretti poiché, insieme con il primo ministro Trudeau, aveva bloccato i conti correnti sia dei camionisti che lottavano contro il Green Pass, sia di quelli che sostenevano la loro lotta.
La costrizione a vaccinarsi accettando il rischio dei danni collaterali, col Green Pass a rinforzo del ricatto, sono tutti espedienti tipici del politicamente corretto; ma anche questa nozione non è affatto estranea alla propaganda nazista. Pare anzi che sia stata inventata in quell’ambito. Nel 1941 il ministro Goebbels patrocinò e finanziò la produzione di un film che doveva promuovere la biopolitica tramite il ricatto dei buoni sentimenti:
”Ich klage an” (“Io accuso”). Era la storia strappalacrime di un medico di successo che era costretto, per amore, a praticare l’eutanasia alla moglie malata di sclerosi multipla. Anche in quel caso si trattava di abituarsi un po’ alla volta: si partiva dall’idea di far cessare le terribili sofferenze dell’adorata moglie, per veicolare così lo sterminio dei malati di mente, dei disabili e delle etnie malsane. Se l’eutanasia è il gesto di uno qualsiasi nei confronti di una persona cara, allora la si può considerare alternativamente un crimine oppure un atto pietoso, o anche entrambe le cose assieme. Se invece l’eutanasia è praticata dall’istituzione medica, allora diventa potere, e che potere. Dal ricatto dei buoni sentimenti si passa al controllo sui corpi attraverso la medicalizzazione forzata, per poi arrivare alla chirurgia sociale.
La presenza in Canada di un considerevole numero di reduci nazisti era nota da tempo e c’erano varie ricerche a riguardo da oltre mezzo secolo. Uno dei testi più approfonditi sull’argomento è di Howard Margolian ed è stato pubblicato dall’Università di Toronto nel 2000.
L’immigrazione nazista in Canada è stata particolarmente massiccia dal 1945 al 1956, ed è avvenuta con le più “insospettabili” (?) coperture. Sicuramente era implicato anche il Regno Unito e tutto veniva giustificato in funzione delle esigenze della guerra fredda.
Nel 1998 un testo di Kevin Ruffner si dedicava invece all’immigrazione nazista negli USA ed al ruolo svolto dalle agenzie governative nell’operazione di riciclaggio del personale del Terzo Reich in funzione della guerra fredda. Ripubblicato nel 2019, il testo di Ruffner si dimostrava di attualità, poiché illustrava diffusamente i pluridecennali
rapporti tra la CIA ed i “nazionalisti” (alias nazisti) ucraini.
Paesi “democraticamente corretti” come Stati Uniti e Canada hanno rappresentato l’asilo più sicuro e confortevole per i reduci nazisti, e sull’argomento non sono mai mancate ricerche e documentazioni pubblicate in contesti accademici; quindi si sapeva tutto e con dovizia di particolari. Eppure per anni i media ci hanno fatto credere che l’immigrazione nazista fosse un problema dei paesi paria dell’America Latina. La mistificazione è stata realizzata attraverso il metodo di Goebbels, cioè con la ripetizione della menzogna finché non diventa la verità. Nel 2015 la testata online “Il Post” pubblicava l’ennesimo articolo in cui si accreditava
l’idea che i reduci nazisti fossero “tutti” in America Latina, in particolare in Argentina. La radicalità del titolo dell’articolo veniva un po’ attenuata nel testo, dove il “tutti” diventava “soprattutto”, ma il messaggio fondamentale rimaneva quello. Parlare male dell’Argentina è lecito perché non fa parte del club delle democrazie di serie A , mentre il Canada perfettino lo si deve lasciare stare. Vedi come può essere razzista il politicamente corretto.
Le notizie filtrano, ma si può sempre prevenirne l’effetto dirompente diffondendone una versione simile ma mistificata; una specie di vaccino applicato alla comunicazione. Nel corso degli anni ’60 erano corse le prime voci sull’esistenza dell’organizzazione “Odessa”, acronimo per Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen. Nel 1974 questa organizzazione di reduci delle SS fu argomento di un film;
“The Odessa File”. Nel film non si trattava neppure minimamente delle relazioni di queste organizzazioni naziste con la NATO e con la guerra fredda all’Unione Sovietica; anzi, si cercava di propinare agli spettatori un mito di cui non c’è alcuna traccia documentale, cioè che l’unica fisima di quei nazisti fosse di distruggere Israele.