Dopo fattacci come quelli avvenuti a Caivano, la politica e i media tendono automaticamente a creare un clima catartico, di aspettativa per un collettivo riscatto morale dal degrado; ed è appunto in questo clima che avvengono i peggiori disastri (ed anche i migliori affari). Era scontato che vi sarebbero stati da parte del governo i soliti esibizionismi di potenza poliziesca, che dovrebbero garantire la palingenesi morale e invece lasciano tutto come prima; anzi, peggio di prima. Non potevano mancare neppure
le interviste alla dirigente scolastica dell’Istituto “Morano”, che è uno storico polo di istruzione tecnica nel Parco Verde di Caivano. Tra le dichiarazioni della preside c’è anche un appello alla Meloni a fornire a Caivano insegnanti bravi, anzi i più bravi. Come a dire che gli insegnanti che oggi la preside ha a sua disposizione, sono delle pippe. Fin qui ci potrebbe anche stare: uno se ne fa una ragione e tira avanti. Il problema riguarda però gli effetti pratici di certe dichiarazioni. Il primo effetto, il più ovvio, è che gli studenti avranno un alibi in più per non fare nulla, visto che lo dice pure la preside che i loro insegnanti non sono all’altezza. Ma c’è un effetto persino più insidioso, che è quello di alimentare oltre misura la naturale mitomania degli adolescenti, determinando in loro la convinzione di meritarsi l’avvento di una sorta di docente messia, un concentrato di sapere e di carisma in grado di “formare” le giovani menti. Si prospetta così un ideale scolastico ultra-autoritario, basato sulla figura di un insegnante narcisista e manipolatore, che ipnotizza gli studenti col suo fascino magnetico.
Un ulteriore effetto sarà quindi quello di deteriorare maggiormente il già precario equilibrio mentale degli insegnanti, i quali tendono sempre più a reagire alla privazione della loro dignità di cittadini e di lavoratori con la fuga nei personali deliri di grandezza. La sottomissione della categoria docente viene attuata “premiando” il conformismo dei singoli insegnanti, offrendogli l’euforia di un irrealistico senso di superiorità nei confronti dei colleghi. Ciò che rende la scuola attuale un inferno, non è soltanto il comportamento aggressivo e insolente dei dirigenti, degli studenti e dei genitori, ma soprattutto quello degli insegnanti, impegnatissimi nel mobbing orizzontale, cioè nel calunniarsi e nel gettarsi discredito a vicenda. Una volta la compresenza di più insegnanti era un fattore di scoraggiamento delle aggressioni fisiche e verbali da parte di studenti e genitori, mentre oggi le incoraggia, poiché ogni insegnante coglierà l’occasione per sottolineare esclusivamente le manchevolezze dei colleghi; ciò corrisponde ad un politicamente corretto che impone agli insegnanti di non essere “corporativi”. Il politicamente corretto ha i suoi momenti maniacali ma, ovviamente, anche quelli depressivi; perciò gli studenti ed i genitori, a cui è concesso di ergersi a giudice e boia degli insegnanti, devono poi scoprire che, quando si tratti di alternanza Scuola-lavoro,
gli studenti sono soltanto carne da macello da immolare al moloch delle aziende.
In questo ultimo quarto di secolo la Scuola è stata un laboratorio sociale di privazione della dignità e di incentivazione del conformismo, a livello degli
esperimenti di psicologia sociale di Asch e Milgram. Lo schema manipolatorio di combinare l’umiliazione del singolo con la sollecitazione delle sue manie di grandezza, è probabilmente ancestrale e intrinseco ad ogni forma di potere, anche la più arcaica. Lo schema ha però ricevuto una sistematizzazione scientifica con le tecniche di management dell’ultimo secolo. Il paradigma avvilimento-euforia è stato poi largamente applicato durante la psicopandemia. In quella circostanza si è riconfermato che la privazione della dignità personale viene compensata, “premiata”, con l’ebbrezza di partecipare ad un evento epocale; il che comporta anche l’incentivazione di un comportamento poliziesco e delatorio nei confronti degli altri cittadini.
In altre epoche i genitori si accontentavano di valutare la “bravura” di un insegnante proporzionalmente alla quantità di compiti che assegnava; ma il basso livello degli insegnanti è diventato un problema assillante (anzi, un’emergenza) solo di recente; e infatti dove c’è emergenza, c’è business. Non è il bisogno a creare la domanda di una merce, bensì è l’offerta di una merce a creare artificialmente il bisogno. Ci si è accorti che gli insegnanti fanno schifo da quando gli si può vendere la formazione. Con la riforma scolastica del 2015
il dovere della formazione dei docenti è stato ulteriormente rafforzato ed istituzionalizzato, ma in realtà sono quasi quaranta anni che gli insegnanti di ogni grado di istruzione sono costretti a sottoporsi a corsi di formazione. Dopo decenni di formazione i docenti sono però tuttora inadeguati, necessitano di sempre più dosi di vaccino … pardon, di sempre più dosi di formazione. Ad emergenza cronica corrisponde business eterno.
La merce va pubblicizzata, magari con spot e relativi testimonial. Non sempre i testimonial sono consapevoli di essere stati prescelti dai media per questa funzione pubblicitaria. Probabilmente è
il caso di Giulia Pedretti, imprenditrice ventisettenne, che è stata elevata dalla rivista statunitense “Forbes” al rango di eroina e di modello esemplare per le giovani generazioni. Quando un’imprenditrice che fattura appena qualche milione di euro, viene celebrata in questo modo esagerato, e tutti gli altri media si allineano a riprendere enfaticamente questa mitologia, è evidente che si tratta di strumentalizzazione pubblicitaria. Nella biografia della Pedretti c’è infatti questo dettaglio prezioso di aver scelto la giusta formazione. Anche se la Pedretti sgamasse la strumentalizzazione di cui è fatta oggetto, non potrebbe comunque sottrarsi, poiché è evidente che gliela farebbero pagare cara.
Il vero target della campagna pubblicitaria lanciata da “Forbes” e ripresa dagli altri media, non è genericamente quello dei giovani. Per i ragazzi che non dispongano di alcuna risorsa finanziaria, il mito della Pedretti può risultare persino irritante, poiché è chiaro che questa ha potuto permettersi delle spese che non sarebbero alla portata delle tasche dei più.
Il target della campagna pubblicitaria di “Forbes” è invece quello dei giovani del ceto medio le cui famiglie dispongano ancora di qualche soldino da spendere; famiglie che hanno da parte dei risparmi, non abbastanza da consentire ai loro ragazzi di avviarsi un’attività, ma sufficienti per pagarsi l’illusione della formazione presso una delle tante aziende che vendono il prodotto. Pare che anche Milena Vaccinelli (già Gabanelli) abbia scoperto che la formazione è un business miliardario; ma ogni tanto un po’ di finta denuncia serve a rendere più piccante la narrazione e più appetibile la merce.
Tra gli articoli “marchetta” di “Forbes” (ma “Forbes” è tutto una marchetta) infatti abbondano quelli che narrano
le epiche gesta delle società che vendono formazione. Bisognerebbe addirittura chiedersi se esista una “informazione” che non abbia finalità commerciali. La narrazione attuale del mainstream è che l’emergenza della disoccupazione giovanile è dovuta al fatto che la domanda e l’offerta di lavoro non si incrociano, che le aziende faticano a trovare lavoratori che detengano competenze adeguate, eccetera. Di fronte ad una descrizione così commovente viene quasi da piangere. Meno male che a lenire il dolore e sanare la piaga, arriva la merce-formazione. Purtroppo le emergenze non prevedono mai un vero lieto fine e neppure una conclusione; sono come le serie televisive, che ti confezionano un finale inconcludente per lasciare aperta la porta alla produzione di un’altra stagione della serie. Meglio ancora se l’emergenza diventa come una soap opera, che può durare indefinitamente per decenni e decenni; per cui, ad esempio, “Un Posto al Sole” sarà soppiantato da “Un Posto al Covid”.