Alfredo Cospito non è né un mafioso né un corrotto, perciò il ministro Nordio ha giustamente stabilito che il garantismo non gli spetta. Nordio ci ha spiegato che Cospito si merita il 41bis perché è cattivo; così ammettendo che in questa circostanza il 41bis non è usato secondo la sua finalità dichiarata, cioè a titolo cautelativo, per impedire ad un criminale potente le relazioni di potere interne ed esterne al carcere, bensì con uno scopo vendicativo contro un nemico debole che di potere non ne avrà mai. Il ministro ha confessato: la legalità è una buffonata ed è solo il potente a decidere. In questa occasione Nordio ha riscosso l’avallo persino dal suo fustigatore personale, Marco Travaglio. In soccorso al governo è arrivata la goffa narrativa mediatica sull’offensiva della “galassia anarchica”. Ma perché accontentarsi della misera galassia, quando ci sono pure l’universo e il multiverso?
Il governo Meloni quindi tira dritto, in atteggiamento di fermezza sotto gli attacchi di coloro che si illudono di intimidirlo, manco fossero parenti di Biden. Il governo respingerà le orde degli anarchici, allo stesso modo in cui ha sgominato quelle dei percettori del reddito di cittadinanza, che pretendevano di vivere di sussidi statali credendosi di essere John Elkann. Ristabilite le dovute gerarchie sociali, Meloni e soci si godono così questo epico momento di gloria, accomunandosi al loro eroe Zelensky, che ora verrà a concionare le platee del prossimo festival di Sanremo.
Mai sottovalutare la futilità, perciò sia lungi da chicchessia disdegnare la questione di Zelensky a Sanremo, poiché da sempre l’intrattenimento è uno dei veicoli principali di propaganda del potere. Le obiezioni che ha suscitato l’ennesimo atto di presenzialismo del presunto presidente ucraino persino in insospettabili ambienti filo-NATO, riguardano probabilmente l’eccessiva spudoratezza dell’operazione, in quanto la propaganda è tanto meno efficace quanto più è evidente.
Un film del 1994, Forrest Gump, rappresentò uno degli esempi più efficaci di sintesi tra intrattenimento e propaganda, una specie di manifesto dell’americanismo, che indicava a tutti i popoli la via maestra per americanizzarsi, cioè l’istupidimento. Fu proprio uno dei maggiori estimatori del film, Walter Veltroni, a riconoscerne la valenza ideologica e ad adottarla senza riserve. Chi conosce Veltroni dai tempi della giovinezza, è pronto a giurare che questi fosse già cretino di suo e che Forrest Gump non c’entri; ma la questione trascende gli aspetti meramente biografici. Si tratta infatti di capire che tutta l’operazione di understatement su cui è basato quel film, comporta un decisivo sottinteso. La chiave del successo propagandistico dell’americanismo infatti non consiste nel grado di considerazione nei confronti degli USA, bensì nella criminalizzazione dei suoi avversari di turno. L’understatement americano implica un overstatement per ciò che riguarda la cattiveria dei nemici; alla minimizzazione delle responsabilità americane corrisponde un’esagerazione sulle responsabilità altrui. Insomma, gli USA non saranno granché, ma il vero problema è quello dei vari Hitler con cui sono costretti ad avere a che fare.
A proposito di Sanremo, c’era una canzone del festival del 1969 che, trattando dell’invadenza pubblicitaria, diceva: “Se non vuoi farti la faccia a fette, devi usare queste lamette”. In effetti il massimo del feticismo della merce, l’accesso della merce alla sfera del sacro, non si verifica quando si dà retta alle sue promesse di felicità, bensì allorché si crede alla capacità di quella merce di scongiurare una catastrofe. Abbiamo visto infatti come il fascino dei sedicenti vaccini non consistesse nel darti una bella vita, ma nel tenere lontana la morte. Ciò vale anche per la merce più importante di tutte, cioè le armi. Non si tratta infatti di innamorarsi di bombe, missili e carri armati; al contrario, si può provarne all’inizio tutta la ripugnanza del caso, salvo comprendere che le armi sono purtroppo indispensabili per tenere a bada i cattivi. L’amore ed il culto devono provenire non da superficiale passione, bensì da questo senso di mistica ineluttabilità, tipico di persone adulte e responsabili. Solo in questo spirito lo spot pubblicitario può essere vissuto come una vera avventura, un’intensa esperienza esistenziale. Non ci si vende soltanto un prodotto, ma anche euforia.
Verso la fine del suo mandato, il presidente USA Eisenhower segnalò l’ingerenza eccessiva del cosiddetto “complesso militare-industriale” nella politica americana.
Negli anni ’60 un ingegnere statunitense, Seymour Melman, dimostrò che quel concetto di “complesso militare-industriale” era già obsoleto e superato dai fatti. Robert McNamara, segretario alla Difesa con i presidenti Kennedy e Johnson, aveva infatti trasformato il Pentagono in qualcosa di simile ad un ministero delle partecipazioni statali, configurando un tipo di capitalismo in cui la mano pubblica e le corporation private si saldavano condizionando ed indirizzando l’intera economia della nazione. Il Pentagono era diventato sia un centro di ricerca tecnologica, sia un committente/finanziatore per l’uso industriale e commerciale di quelle ricerche. Melman individuava nel “capitalismo del Pentagono”, cioè nella cronicizzazione dell’economia di guerra, il principale responsabile del declino industriale americano, con il conseguente decadimento delle infrastrutture ed il crollo delle condizioni di vita della popolazione.
A svolgere un ruolo analogo a quello del Pentagono, oggi negli USA c’è anche la principale agenzia di intelligence, la National Security Agency. A ben vedere però, la descrizione di questo capitalismo del Pentagono e della NSA, non completa il quadro, poiché tra gli anni ’70 e ‘80 un nuovo attore è intervenuto a complicare il tutto, cioè il sedicente neoconservatorismo, indicato spesso con l’etichetta “Neocon”. Già l’ossimoro del nome neoconservatorismo dovrebbe mettere sull’avviso: conservatori ma anche nuovi, provenienti dalla sinistra ma di destra; insomma, tutto ed il contrario di tutto, facendo appello ad ogni possibile suggestione del linguaggio; tanto che alcuni hanno creduto che i neocon fossero davvero di provenienza trotzkista e non dei semplici ladri di slogan. I Neocon sono una lobby di piazzisti delle armi che si è costituita come un finto gruppo ideologico, ed attinge a qualsiasi ideologia per creare gli slogan pubblicitari di volta in volta utili allo scopo, cioè vendere armi provocando guerre. I Neocon si sono da decenni impadroniti del Dipartimento di Stato e contendono al Pentagono la gestione dei miliardi della spesa militare.
In Italia c’è
un organo di stampa che fa riferimento ai Neocon americani, ed è “Il Foglio”, fondato da Giuliano Ferrara. Questi ogni tanto si fa prendere da slanci lirici e canta l’epopea dei Neocon, i quali, secondo Ferrara, sarebbero stati inascoltati profeti di sventura durante il sogno pacifista clintoniano degli anni ’90, sino a che la nuova Pearl Harbour rappresentata dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, non avrebbe dato la sveglia a tutti.
La fortuna mediatica del paragone tra l’11 settembre e Pearl Harbour, dimostra come sia efficace la tecnica pubblicitaria dei Neocon. “Pearl Harbour” non è più un episodio storico ma uno schema narrativo: l’americano troppobuonista e pacioccone che viene aggredito a tradimento dal malvagio. Qui non si tratta di confutare le mitologie su Pearl Harbour e sull’11 settembre; anzi, si può tranquillamente far finta di dare per acquisite tutte le narrazioni ufficiali sull’uno e sull’altro episodio. Ma è proprio prendendo per buone le narrative ufficiali che il paragone tra l’11 settembre e Pearl Harbour risulta infondato. Presentare l’11 settembre come un attacco proditorio ed inaspettato infatti contrasta con la stessa versione ufficiale. Ci si è parlato infatti di terroristi sauditi e di un mandante, Osama bin Laden. Quella versione ufficiale faceva riferimento a specifici precedenti. Nel giugno del 1996 a Dharan, in Arabia Saudita, diciannove militari americani furono uccisi in
un attentato alle Khobar Towers, delle torri residenziali per il personale delle basi militari americane che si sono insediate in Arabia Saudita dal 1990 con il pretesto della prima Guerra del Golfo.
C’era quindi un precedente grave di appena cinque anni prima, cioè un attentato ad altre torri, contro militari americani; c’era anche un oggetto del contendere piuttosto sostanzioso, cioè l’occupazione militare dell’Arabia Saudita da parte degli USA. Come se ciò non bastasse, nel giugno del 2001, meno di tre mesi prima dell’11 settembre, gli USA avevano lanciato un allarme sul rischio di altri attentati terroristici da parte di bin Laden.
Questi allarmi furono riportati minuziosamente in un articolo sul quotidiano “La Repubblica”, nel quale si precisava che lo Stato complice del capo terrorista saudita era l’Iran.
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Il “pacifista” Clinton aveva ovviamente cercato di far fuori bin Laden e, nell’agosto del 1998, aveva compiuto due
attacchi aerei e missilistici contro presunti obbiettivi di al Qaeda; uno contro basi terroristiche al confine tra Afghanistan e Pakistan, e un altro obbiettivo in Sudan: una fabbrica chimica, che è poi risultata essere una semplice industria farmaceutica. In quell’occasione tra i bersagli non c’era bin Laden in persona, poiché, secondo la versione americana, questi risiedeva in Pakistan. Quest’ultimo dettaglio è stato ripreso da Barack Obama quando ci è stata raccontata l’eliminazione di bin Laden.
Sino all’11 settembre si era raccontata una storia precisa: c’era una guerra in corso contro bin Laden e c’era un preciso oggetto del contendere; non un generico odio verso gli USA o l’Occidente, bensì l’occupazione militare dell’Arabia Saudita da parte di militari americani. I complici di bin Laden cambiavano nella narrazione, una volta era il Pakistan, un’altra volta era l’Iran; certo è che la fiaba degli americani ignari che dormivano sonni tranquilli senza sapere di essere minacciati, è del tutto smentita dalle notizie della stampa ufficiale. Le contraddizioni nelle dichiarazioni dei governi sono spiegabilissime; infatti i bugiardi spesso dimenticano le loro stesse bugie, e poi i governi non sono entità compatte, per cui ogni cosca può aver agito per conto proprio, per poi cercare una versione comune in modo da evitare di sputtanarsi a vicenda. Da buoni pubblicitari, i Neocon conoscono però la tecnica per trasformare le incongruenze narrative in suggestione, ed il funzionamento dei media inevitabilmente gli viene in soccorso, rimuovendo e resettando tutto ciò che possa smentire lo spot. Il venditore di armi ed il venditore di notizie hanno infatti lo stesso bisogno di allegare al proprio prodotto un’emozione e un’euforia che lo rendano appetibile e desiderabile per i consumatori. In base a questa comune logica commerciale, non c’è da stupirsi che anche le “notizie” diventino spot. Non è più semplice propaganda, ma vera e propria pubblicità, perché l’attenzione/tensione è puntata sul prodotto, sulla merce salvifica che ci ripara dalla catastrofe incombente: prima i finti vaccini che scacciavano la morte, ora le armi che ci salvano da Putin. La merce-notizia si è feticizzata e consacrata anch’essa di riflesso alla sacralità delle armi e dei “vaccini” che sta promuovendo, diventando a sua volta un veicolo di salvezza contro l’infezione delle fake news. Anche il sacro è contagioso.