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LA CHIAMANO AUTONOMIA DIFFERENZIATA MA È FEUDALIZZAZIONE INDISCRIMINATA
Di comidad (del 12/01/2023 @ 00:10:01, in Commentario 2023, linkato 14142 volte)
La Corte dei Conti ha scoperto che la normativa sulla rotazione obbligatoria dei dirigenti scolastici dopo due incarichi triennali, risulta largamente disapplicata. Si stima che circa un sesto dei dirigenti dovrebbe essere trasferito in altra sede (una valutazione che è probabilmente per difetto); ma si sa che il Ministero dell’Istruzione è abituato ad infischiarsene delle leggi. La stessa figura del dirigente scolastico (quello che una volta si chiamava il preside) si è espansa a dismisura proprio in questo quadro di incertezza normativa. Negli istituti scolastici le leggi ed i regolamenti sono stati soppiantati dal Führerprinzip, il “principio del capo”, per cui è la bizzosa e mutevole volontà del dirigente a fare legge momento per momento. Il dispotismo del preside non trova alcun contrappeso e l’unico elemento di garanzia contro tale strapotere avrebbe dovuto appunto essere la rotazione; salvo accorgersi che il ministero non trasferisce i figli ma solo i figliastri.
L’autonomia scolastica e la cosiddetta “aziendalizzazione” sono state quindi gli slogan pubblicitari, le cortine fumogene, per attuare una feudalizzazione della Scuola, col dirigente a svolgere la funzione di un barone/signorotto che può abusare di tutto e tutti per il proprio tornaconto e di quello dei suoi protettori. Il personale della Scuola in maggioranza ha accettato questa condizione di umiliazione prestandosi anche a forme sordide di collaborazionismo, come il ruolo di delatore e di agente provocatore nei confronti dei colleghi. Il laboratorio-Scuola ha anticipato i comportamenti collettivi poi verificatisi durante la psicopandemia. Il test era tanto più significativo, in quanto applicato su un settore sociale istruito come gli insegnanti, che sono stati condizionati ad aspettarsi la “formazione” dall’alto, e che ormai considera l’informarsi da soli come roba da complottisti/terrapiattisti.
Ma anche ogni tentativo di opporsi a questi processi di feudalizzazione è annegato nella confusione ideologica e nell’acritica cre//]dulità, poiché si è badato troppo alle dichiarazioni astratte della legislazione scolastica e troppo poco al margine di abuso pratico che certe astrazioni concedevano. Un testo di legge è spesso più significativo per ciò che non dice, per quello spazio di illegalità che consente di creare. Lo Stato è un’astrazione giuridica, e quelle che ci vengono spacciate come “istituzioni” sono in effetti un coacervo di potentati basati su relazioni feudali di fedeltà personale o di cosca. Ciò vale anche per quei pochi funzionari indipendenti e benintenzionati, i quali riescono ad operare non in base a leggi o regolamenti, bensì per i rapporti di lealtà personale che riescono a stabilire, senza i quali rimarrebbero nella più totale impotenza. Il fondamento dello Stato, cioè la continuità della funzione, è rimasto allo stadio mitologico; per cui la “funzione pubblica” del singolo funzionario può esplicarsi solo se supportata da rapporti privati ed extraistituzionali (tanto per capirsi: gli amici e gli amici degli amici).

Per impedire che venga attuata la rotazione dei dirigenti scolastici, oggi ci si viene persino a raccontare che l’Anticorruzione avrebbe collocato la Scuola nel novero dei settori a basso rischio corruttivo, in quanto circolerebbero pochi soldi. Quando però si è trattato di umiliare gli insegnanti, l’Anticorruzione non la pensava così; e infatti nel 2019 alcuni agenti della Guardia di Finanza furono inviati in un liceo torinese ad identificare gli insegnanti nelle classi, insinuando che questi mandassero qualcun altro non solo a passare il badge ma anche a fare lezione, magari camuffandosi per ingannare la classe. Forse si è ritenuto che le intimidazioni e le vessazioni inflitte dai dirigenti scolastici non fossero sufficienti, e che occorresse ricordare agli insegnanti che l’aspetto pratico della sedicente “aziendalizzazione” della Scuola consiste nella loro licenziabilità.
Che nella Scuola circolino pochi soldi, è inoltre una notizia priva di fondamento. La digitalizzazione dell’istruzione, i corsi di formazione dei docenti e l’alternanza Scuola-lavoro comportano un giro d’affari non indifferente. Ormai l’istruzione è solo un pretesto, e lo scopo della baracca è il business della digitalizzazione. Il PNRR stanzia una gran quantità di soldi per la Scuola 4.0, una farneticante utopia di istruzione basata su “classi virtuali” (come se adesso fossero reali). Tutti questi costosi gadget tecnologici forniti dalle multinazionali del digitale, dovrebbero ovviamente essere installati in strutture scolastiche fatiscenti sia per ciò che riguarda gli edifici, sia per gli impianti elettrici. Si può dare retta a certi dispendiosi voli pindarici sulla digitalizzazione, solo se si fa finta di credere che l’elettronica possa fare a meno di un’adeguata base elettrotecnica tenuta in costante manutenzione.
I soldi che girano nella Scuola creano appetiti anche nelle Regioni, che vogliono giustamente partecipare al banchetto. Il vero oggetto del contendere della cosiddetta “autonomia differenziata” è infatti il flusso di finanziamenti per la digitalizzazione dell’istruzione. La Sanità è stata un collettore fondamentale per distribuire soldi ad aziende private, ma
la Scuola pare persino più promettente. È infatti lì che vanno a parare i progetti delle Regioni, come il Veneto, che hanno avuto l’ingenuità di scoprire subito le carte e le vere intenzioni.

Da tempo il PD ha scoperto che l’autonomia differenziata “è di sinistra” (e non c’era da dubitarne, considerando i soldi che girano). Al di là delle pantomime polemiche, l’autonomia differenziata è un obbiettivo trasversale, che coinvolge tutti i partiti. Come al solito, anche i pochi che cercano di opporsi cadono nelle trappole propagandistiche. L’autonomia differenziata viene infatti venduta alle popolazioni settentrionali come un modo per far rimanere al Nord i proventi del fisco e così smettere di finanziare il Sud. In realtà il Sud è da sempre strutturalmente sottofinanziato, ed anche i pochi soldi che vengono stanziati non sono spesi, e non per generica “inefficienza”, bensì per perpetuare il ruolo storico di colonie deflazionistiche delle Regioni meridionali.
Le colonie deflazionistiche svolgono la funzione di valvole con le quali è possibile contrarre la produzione e l’economia, in modo da evitare i deficit nella bilancia commerciale e nella bilancia dei pagamenti che possono verificarsi a causa degli eccessivi acquisti di materie prime all’estero. Checché ne dicano i neoborbonici, il Sud preunitario, a parte alcune eccellenze industriali e agricole, era piuttosto povero; però, grazie all’Unità d’Italia, è diventato poverissimo. Sembrerebbe quindi che la legittimazione dell’annessione del Sud sia fondata su una fiaba senza lieto fine. In realtà il lieto fine c’è stato, eccome, per quelle oligarchie meridionali che sono riuscite a riciclarsi come agenzie di autocolonizzazione: dapprima i baroni latifondisti, poi gli eredi dei cosiddetti campieri. Ora che l’intera Italia svolge il ruolo di colonia deflazionistica d’Europa, gli oligarchi meridionali possono emergere alla grande, proprio perché in grado di vantare un know-how secolare nella gestione coloniale. Le oligarchie meridionali hanno trasformato il loro autorazzismo in un’ideologia vincente.
Il razzismo antimeridionale è un espediente propagandistico che non fallisce mai e con il quale è possibile abbindolare qualsiasi uditorio, facendogli smarrire le vere questioni. Anzitutto nel momento in cui le Regioni del Nord Italia vanno ad integrarsi insieme con la Baviera nell’ambito della grande Macroregione alpina, esse diventano a loro volta un Meridione, per cui è molto probabile che finiscano anch’esse a svolgere il ruolo di colonie deflazionistiche. Ma le autonomie sono anche un veicolo di feudalizzazione, cioè di creazione di potentati locali che diventerebbero molto più oppressivi e dispotici dello Stato centrale. Il motivo per cui non ci si accorge di questa ovvietà, è che si leggono le leggi nel modo sbagliato, non facendo caso al margine di abuso di potere che esse offrono. Per non farsi incantare dai finti distinguo di un fan sfegatato dell’autonomia differenziata come Stefano Bonaccini, occorre sapere da ora che una serie di misure che ci verranno presentate come contrappeso allo strapotere feudale delle Regioni, rimarranno poi non attuate.