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IL REGIME MONARCHICO LATENTE NELLA COSTITUZIONE
Di comidad (del 18/08/2022 @ 00:24:10, in Commentario 2022, linkato 6029 volte)
Fortuna vuole che in questo periodo il “pericolo fascista” sia incarnato da un personaggio con il pedigree in piena regola come Giorgia Meloni, la quale proviene da un lignaggio nostalgico-fascista a denominazione di origine controllata. Purtroppo da parte “antifascista” si tende come sempre a barare, usando le radici ideologiche della Meloni come motivo per dubitare della sua effettiva fedeltà euro-atlantica. Si tratta di un sospetto alquanto ingeneroso se si considera la storia dei fascisti dal 1945 in poi; una vicenda che ci propone esempi luminosi, come il principe Junio Valerio Borghese, che negli ultimi giorni di Salò andò a trattare il suo reclutamento da parte degli Alleati già con l’uniforme americana addosso; oppure come Pino Rauti, fondatore e capo di Ordine Nuovo, oltre che esponente di primo livello dei servizi segreti della NATO. Insomma, a noi che abbiamo avuto Gladio, il Battaglione Azov ci fa un baffo.
Nel dopoguerra il riciclaggio in grande stile del personale fascista in funzione anticomunista trovò un cronista efficace nel comico triestino Angelo Cecchelin, il quale era stato perseguitato in epoca fascista, e poi perseguitato nuovamente in epoca antifascista da poliziotti già fascisti poi passati a lavorare per la repubblica antifascista, rimanendo però fascisti. Così, mentre il povero Cecchelin era costretto a nascondersi, i fascisti potevano scorazzare per le strade cantando “Giovinezza” grazie ai privilegi offerti dalla loro militanza anticomunista. Non c’è perciò nessuna contraddizione tra la matrice nostalgico-fascista della Meloni e la sua attuale militanza nell’Aspen Institute e nella NATO, anzi, c’è una precisa coerenza storica. La camicia a stelle e strisce è stata la naturale erede della camicia nera.
Se si va ad analizzare i reali contenuti del nostalgico-fascismo ci si accorge infatti che non si tratta per niente della rivendicazione di indipendenza nazionale o di ruolo imperiale, bensì del rimpianto verso la mitica figura del Duce, colui che voleva risollevare l’Italia e del quale gli Italiani non si sarebbero dimostrati degni. Tra fascismo ed antifascismo si riscontra perciò questo filo di continuità nel senso dell’autorazzismo: siamo un popolo minorenne e minorato, quindi bisognoso di un tutore che sia in grado di disciplinarci e di garantirci a livello internazionale grazie al suo personale prestigio. Questa convinzione accomuna i nostalgici di Mussolini ed i nostalgici di Draghi. Questi salvatori della patria hanno avuto però a loro volta dei tutori, visto che in epoca fascista era il re a detenere le leve decisive del potere, mentre oggi tutta la vicenda del governo Draghi è stata gestita da un monarca in versione repubblicana.

Un equivoco storico riguarda il mito secondo il quale la nostra Costituzione antifascista avrebbe rappresentato un serio tentativo di rottura con il passato, ciò al di là del fatto che questa Costituzione sia stata disattesa o tradita. Che ci sia stata in molti dei Costituenti l’aspirazione ad un vero cambiamento, non c’è dubbio; anzi, dal punto di vista filosofico la nostra Costituzione introduce un concetto come la “pari dignità sociale” che è certamente interessante, poiché supera molte delle contraddizioni del liberalismo classico. Mentre la tradizione liberale si è avvitata tra concezioni espansive della libertà e concezioni costrittive dell’uguaglianza, invece il tema della dignità delinea la possibilità di precise soglie di rispetto nei confronti delle persone. In base alla “pari dignità sociale” sarebbero da considerare incostituzionali non solo il Trattato di Maastricht, la precarizzazione del lavoro e il Green Pass, ma anche l’insolenza arrogante e altezzosa che caratterizza l’attuale comunicazione istituzionale.
Ma queste osservazioni valgono per la parte introduttiva ed enunciativa della Carta Costituzionale, non per l’ordinamento dei poteri. In base ad una lettura superficiale della Costituzione, c’è la diffusa opinione che l’Italia oggi sia una repubblica parlamentare. In realtà nel 2013 vi fu un tentativo del parlamento di pronunciarsi contro l’acquisto degli aerei caccia F-35, ma il Consiglio Supremo di Difesa, presieduto da Giorgio Napolitano, dichiarò che si trattava di materia di esclusiva competenza del governo, rispetto alla quale il parlamento non poteva porre veti.
Il parlamento è un organo costituzionale, mentre il Consiglio Superiore di Difesa è semplicemente un organo di rilevanza costituzionale, quindi dovrebbe essere gerarchicamente inferiore. In realtà così non è, dato che nel Consiglio Supremo di Difesa non ci sono soltanto il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e il ministro della Difesa, ma anche i vertici delle Forze Armate. Si tratta perciò di un organo integrato e immediatamente operativo, rispetto al quale il parlamento ha margini di manovra quasi inesistenti, poiché potrebbe al massimo sfiduciare il governo ma non il Presidente della Repubblica o i vertici delle Forze Armate. E poi anche un governo sfiduciato potrebbe rimanere in carica se il Presidente della Repubblica così disponesse, mentre invece il parlamento non potrebbe opporsi se il Presidente della Repubblica decidesse di scioglierlo, a parte la breve limitazione del “semestre bianco”.
Il Buffone di Arcore tiene fede all’appellativo che si è ampiamente guadagnato, infatti auspica una repubblica presidenziale. La proposta non ha senso, dato che in Italia siamo già ben oltre il presidenzialismo, siamo addirittura al super-presidenzialismo. Considerato un semplice garante della Costituzione, il Presidente della Repubblica è in realtà investito di poteri effettivi. La locuzione “finzione giuridica” non è un semplice modo di dire, ma è una possibilità prevista dalla legge; per cui per legge si possono effettivamente costruire delle situazioni vere/non vere in barba alla mitica “certezza del Diritto”. Il parlamento è formalmente il depositario della sovranità popolare che si esprime con il voto, ma è anche nella condizione di un minorenne/minorato da mantenere costantemente sotto tutela. La Costituzione antifascista condivide col fascismo questa figura del tutore, per cui si determina legalmente l’ossimoro di una sovranità popolare sottoposta ad un doppio filtro: prima la delega a dei rappresentanti, poi la riduzione sotto tutela di questa sovranità rappresentata. La sovranità si rivela così un dono avvelenato proprio per il popolo che ne sarebbe il beneficiato, infatti si finge di dargli importanza solo per avere più occasioni per umiliarlo e trattarlo da deficiente.
La parte ordinamentale della Costituzione sottintende una vera e propria restaurazione monarchica, dietro il fittizio paravento di repubblica parlamentare. Il dato di fatto fu sancito dal primo Presidente della Repubblica eletto dopo la proclamazione della Costituzione, Luigi Einaudi, ex governatore della Banca d’Italia. Einaudi era famoso per la sua contrarietà agli “sprechi”, ma intanto scelse come dimora la fastosa reggia del Quirinale, mentre il suo predecessore, Enrico De Nicola, si era accontentato di un ufficio a Palazzo Madama. Il Quirinale segna simbolicamente lo status monarchico del Presidente, quindi congeda definitivamente ogni possibilità di “pari dignità sociale”.
All’inizio degli anni ’90 l’illimitata circolazione dei capitali ha annichilito la politica ed il sistema dei partiti, per cui si sono determinate le condizioni per un’ulteriore formalizzazione del regime monarchico, con la reiterazione dei mandati presidenziali. Va notato però che nel 1948 il sistema dei partiti appariva al massimo della sua vitalità, eppure fu nominato alla Presidenza della Repubblica un ex banchiere centrale; quindi la vendetta dell’establishment finanziario era già latente nel nostro sistema da molto prima del Trattato di Maastricht.