L’AMERICAN DREAM DEI REAZIONARI EUROPEI
La guerra in Georgia ha costituito un indiretto insuccesso militare degli Stati Uniti, che è stato interpretato da alcuni come un segno significativo del declino americano, cosa che, sempre secondo alcuni, potrebbe favorire uno sganciamento dell’Europa dal dominio USA.
Non c’è dubbio che la vittoria russa in Georgia abbia incontrato una malcelata simpatia nei gruppi dirigenti europei, stanchi dei soprusi statunitensi ed ansiosi di ritrovare un margine di manovra tramite il contrappeso russo. Il problema è però che il dominio americano non rappresenta un semplice riflesso della potenza militare ed economica degli USA. Anzi, sin dal 1946 - anno di inizio di ciò che è impropriamente definito “impero americano”- le difficoltà incontrate dagli Stati Uniti per realizzare i propri progetti di dominio globale sono risultate sempre più evidenti.
La storia militare statunitense di questi ultimi sessanta anni è, infatti, più una storia di insuccessi militari che di vittorie. Già prima delle sconfitte nella guerra di Corea, i marines americani diedero prove disastrose sul terreno quando accorsero in appoggio di Chiang Kai-shek nella guerra civile cinese, che vide poi la vittoria dei comunisti di Mao Tse Tung.
Fu nella guerra di Corea che il comandante in capo delle forze USA e ONU, Mc Arthur, inventò la formula propagandistica per la quale gli eroici soldati statunitensi venivano defraudati della vittoria dai loro pavidi dirigenti politici, timorosi di vincere davvero la guerra.
Questo tipo di propaganda vittimistica fu utilizzato poi massicciamente durante la guerra del Vietnam e negli anni successivi a quella guerra. Il vittimismo militare americano costituì infatti l’oggetto di famosi film come “Apocalypse Now”, in cui un pelato Marlon Brando pronunciava un monologo in cui attribuiva la sconfitta in Vietnam all’incapacità americana di emulare i Vietnamiti in fatto di crudeltà, e si richiamava ad un episodio in cui i Vietcong avrebbero tagliato un braccio a dei bambini loro connazionali, colpevoli di essersi lasciati vaccinare dai soccorrevoli soldati americani; questo episodio di crudeltà dei Vietcong non ha nessun riscontro in nessuna delle cronache dell’epoca, perciò costituisce una pura invenzione, anche se, grazie all’impatto del film, ha assunto la consistenza di un fatto realmente accaduto.
Gli Stati Uniti hanno quindi costruito una propaganda che aveva il preciso scopo di dissimulare i limiti della loro potenza militare, attribuendo le sconfitte ad un eccesso di scrupoli morali. Tutto il dibattito imposto dalla propaganda americana è sempre infarcito di dilemmi morali, dilemmi tanto più fasulli dal momento che sono dei criminali in servizio permanente effettivo a proporli. Del resto non si capisce quali scrupoli morali oggi si stiano facendo le truppe ed i mercenari statunitensi in Iraq ed in Afghanistan.
Il dominio statunitense non è quindi legato esclusivamente o principalmente alla potenza militare, ma soprattutto all’alleanza organica con i reazionari di tutto il mondo. In Europa la reazione ha sognato l’America sin dagli inizi del ‘900 e, dalle pagine del “Mein Kampf”, si apprende che Hitler non faceva eccezione. La propaganda statunitense inventa ogni giorno un “nuovo Hitler”, però quello originale era un filo-americano.
Nel 1946 le oligarchie europee sono diventate “americane” non per il timore di un’Unione Sovietica prostrata dalla guerra, ma per timore dei loro operai. Un avvenimento del 1946 di cui pochi storici si sono occupati - ad esempio: Joyce e Gabriel Kolko - riguarda l’esperienza dei consigli operai nella Germania Est. Questa parte della Germania era stata da sempre la meno industrializzata e, nello stesso periodo, la Germania Ovest deteneva l’ottanta per cento dei suoi impianti industriali ancora intatti, poiché in gran parte di proprietà di multinazionali americane, e infatti i bombardamenti USA si erano concentrati soprattutto sulle abitazioni civili e sulle città d’arte come Dresda.
Nonostante questa inferiorità in fatto di impianti industriali, la Germania Est superò nel corso del 1946 la produzione dell’Ovest, dimostrando che i consigli operai costituivano un’alternativa non solo in termini di giustizia, ma anche di efficienza. Per un certo periodo, Stalin non si oppose all’esperienza dei consigli a causa dell’impellente bisogno di prodotti industriali da parte della Russia. Quando gli operai di Berlino Est nel 1953 tentarono di riproporre quell’esperienza, la risposta del potere fu invece una brutale repressione.
L’esperienza dei consigli operai è stata screditata anche a causa dell’apologetica dei consiliaristi e dei situazionisti, che li hanno proposti come un improbabile modello di potere assoluto; in realtà la loro validità si dimostrò proprio nel determinare una spinta sociale a cambiamenti molto più vasti e profondi, cosa che determinò il terrore nelle oligarchie europee, che si dimostrarono pronte ad inchinarsi agli USA purché li difendessero da questa prospettiva.
Il piano Marshall è presentato nei libri di storia come una grande prova di generosità americana, mentre in realtà costituì un finanziamento governativo alle esportazioni statunitensi; ma la cosa più rilevante è che esso fu accompagnato dalla imposizione di una serie di stretti vincoli alla spesa pubblica dei Paesi europei che determinarono una terribile depressione e una disoccupazione di massa. Con il piano Marshall arrivarono in Europa anche le basi militari americane e, nel 1949, la NATO. Le basi americane e NATO per le oligarchie europee sono come tanti baluardi antioperai sparsi sul territorio, veri e propri templi dell’antioperaismo.
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