LA SFIDA È DI PUTIN O DELL’ESERCITO?
Per una curiosa ricorrenza storica, l’invasione russa della Georgia è andata a coincidere con il quarantennale dell’invasione sovietica di Praga, avvenuta nell’agosto del 1968. La liberazione della Cecoslovacchia dal giogo sovietico, ha fatto sì che, anzitutto, la stessa Cecoslovacchia non esista più, sostituita da due staterelli-fantoccio degli Stati Uniti, di cui uno, la Cekia, è già una base NATO, mentre l’altro, la Slovacchia, si appresta a diventarlo. L’arruolamento dei Paesi ex-realsocialisti nella NATO, è avvenuto peraltro contravvenendo a solenni impegni presi dagli Stati Uniti nei confronti di Gorbaciov, quando questi sciolse l’impero sovietico. L’industria meccanica di cui, sin dagli anni ’20 e ’30, la Cecoslovacchia andava fiera, era di proprietà pubblica da molti decenni prima del dominio sovietico e del “socialismo reale”, mentre oggi è privatizzata a favore di multinazionali americane e tedesche. Oltre alla Germania Est - che peraltro era la parte della Germania meno industrializzata anche ai tempi di Hitler -, la Cecoslovacchia era l’unico Paese del blocco sovietico che potesse vantare un’antica tradizione industriale, mentre Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria prima del socialismo reale avevano un’economia da terzo mondo, basata su monocolture agricole per l’esportazione; quindi l’attuale colonizzazione economica costituisce per l’ex Cecoslovacchia una condizione particolarmente umiliante. Anche il prestigio morale ed intellettuale della Cecoslovacchia si è vanificato da quando il drammaturgo Vàclav Havel, da presidente della Cekia, divenne il cantore e l’apologeta dei bombardamenti americani, da lui indicati come un luminoso esempio pratico di supremazia dell’etica sulla politica.
Questo quarantennale cade perciò in un momento in cui l’inesausto battage della propaganda anticomunista trova sempre meno credito, ed anzi si deve confrontare, anche all’interno dei Paesi dell’ex-blocco sovietico, con una sorta di nostalgia dell’Unione Sovietica; ovviamente non dell’Unione Sovietica in quanto tale, ma del contrappeso che le sue armi e la sua proprietà pubblica costituivano nei confronti dello strapotere e della prepotenza delle multinazionali.
Pare che la vampata militaristica russa stia provocando nostalgia anche fra i gruppi dirigenti della “vecchia Europa”, che sperano di riacquisire un ruolo di mediazione che era stato soffocato dalla prepotenza statunitense e dall’inerzia russa. Nei giorni scorsi Sarkozy - presidente francese e presidente di turno dell’Unione Europea - ha potuto finalmente fingere di servire a qualcosa, attivandosi per un accordo per il cessate il fuoco tra Russia e Georgia.
Questo atteggiamento europeo non costituisce una sorpresa, poiché era da tempo che i gruppi dirigenti europei speravano di essere “salvati” da Putin. Di tutto questo, dalla propaganda ufficiale, sempre rigorosamente filo-americana, è filtrato pochissimo, poiché le speranze europee vengono covate nel silenzioso timore di irritare gli USA.
La propaganda ufficiale ci parla di un Putin “nuovo zar” che mediterebbe ambizioni neo-imperiali. Se davvero Putin cova di queste ambizioni, allora le ha nascoste sinora molto bene, perché la precisa sensazione è sempre stata che gli affari fossero la sua prima preoccupazione. La realtà è che, se non fosse intervenuto militarmente in Georgia, Putin avrebbe rischiato di essere abbattuto da un colpo di Stato militare, poiché la ex-Armata Rossa non avrebbe tollerato che l’accerchiamento statunitense nei confronti della Russia si chiudesse.
Le due forze in campo in Russia sono l’ex KGB, riconvertitosi nella compagnia commerciale Gazprom, attuale roccaforte dell’affarismo, e la ex Armata Rossa; e questi due costituivano i poteri in concorrenza già nella vecchia Unione Sovietica, poteri che si confrontavano sotto la facciata del guscio ormai vuoto del Partito Comunista. Dopo la sconfitta ed il discredito subiti in Afghanistan, l’esercito ha dovuto lasciare campo libero ai “riformatori” del KGB, ansiosi di fare affari con il petrolio e, soprattutto, con il gas di cui abbonda il sottosuolo russo. Abbandonato il vecchio e costoso impero in nome della conversione al culto del denaro, la Russia oggi annovera molti fra gli uomini più ricchi del mondo, a fronte di una popolazione impoverita e priva di garanzie.
Mentre negli USA, il militarismo e l’affarismo costituiscono un intreccio inestricabile che procede come un’unica entità, in Russia invece i due poteri sono ancora separati e spesso in contrasto. Nonostante che la Russia costituisca ancora uno dei maggiori produttori ed esportatori di armi, queste non costituiscono l’affare principale, come avviene negli USA; anzi in Russia un militarismo troppo accentuato disturberebbe gli affari del petrolio e del gas. Ogni Paese dell’Est Europa che rientrasse nell’orbita russa, lo farebbe inoltre solo a patto di ritornare alle antiche condizioni di favore nella vendita di petrolio e gas, e questo desiderio si sta facendo strada in questi Paesi massacrati dalle privatizzazioni dell’economia e dalle cleptocrazie imposte dagli Stati Uniti.
Nel 2004 Putin dovette cedere alle pressioni dei militari e sperimentare il nuovo missile intercontinentale Topol M - denominato SS-27 nel codice NATO -, un supermissile che può essere lanciato da rampe mobili, che, dopo quattro anni di produzione e gli ultimi testi del 2007 e del 2008, conferisce nuovamente alla Russia la superiorità strategica in campo nucleare. Forte di questa superiorità missilistica, ora l’esercito sovietico ha nuovamente gettato il suo peso sulla bilancia del potere russo e del potere mondiale.
Ciò che sta accadendo perciò non riguarda un presunto confronto fra Putin e l’Occidente, ma è soprattutto l’effetto di uno scontro interno alla Russia, con il riaffacciarsi di un esercito in cui l’affarismo dominante incontra critiche dettate da motivazioni molto varie: velleità neoimperiali, ma anche un nazionalismo tradizionalistico alla Solgenitsin, suggestioni terzomondistiche, ma anche posizioni anticolonialistiche e socialiste.
Era già successo nel Portogallo del 1974, che l’esercito diventasse l’unica sede di dibattito politico e si radicalizzasse in senso socialista ed anticolonialista, in quel caso evolvendosi nel confronto con le lotte di liberazione. Anche in Russia l’esercito e la marina militare stanno diventando un luogo di confronto politico, che coinvolge sia ufficiali che sottoposti, e ciò, curiosamente, coincide con quanto avvenne nella stessa Russia agli inizi del ‘900, con i tentativi rivoluzionari del 1905, del febbraio del 1917 e del 1920.
20 agosto 2008
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