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Franco Lattanzi (Sbancor)
Franco Lattanzi (Sbancor) è morto il 30 aprile scorso, qui di seguito un breve ricordo di Cosimo Scarinzi.
Conobbi Franco Lattanzi all'inizio degli anni '70 in un'occasione per
me singolare, un convegno organizzato dalla rivista "L'Erba Voglio".
Nonostante la stima che avevo nei confronti di Lea Melandri, infatti,
non era quello un ambiente che, in quella mia fase di operaismo hard,
frequentassi molto.
Franco veniva dalla Federazione Comunista Libertaria di Roma, uno dei gruppi allora definiti piattaformisti del movimento anarchico. Nonostante i piattaformisti fossero o, almeno, fossero ritenuti una versione bolscevizzante dell'anarchismo, il gruppo piattaformista romano, e Franco in particolare, tendeva ad un superamento del movimento anarchico specifico ed ad un'adesione ad un più ampio movimento di opposizione sociale, quello che, in maniera per la verità imprecisa, venne anche definito come l'autonomia diffusa.
In quell'occasione nacque un sodalizio molto forte. Entrambi, pur
venendo da esperienze alquanto diverse, ci proponevamo una
ridefinizione di una prassi e di un'elaborazione libertarie che ci
sembravano allora, magari con qualche presunzione da parte nostra,
inadeguate al livello dello scontro politico e sociale del tempo.
In quegli anni tentammo di ripercorrere una serie di elaborazioni
teoriche del passato dall'anarchismo classista e comunista al
consiliarismo passando per l'unionismo industriale degli IWW e per
l'elaborazione della sinistra antiburocratica degli anni '50 e '60 come
quella rappresentata dalla rivista "Socialisme ou Barbarie". Questo
mentre eravamo impegnati 25 ore al giorno nelle lotte e nel confronto
con altre posizioni teoriche e politiche.
Dal nostro incontro, e soprattutto dalla nostra collaborazione con
diversi altri compagni, nacque, in particolare, la versione stampata
della rivista "Collegamenti per l'organizzazione diretta di classe"
che, sino al 1976 era uscita come un bollettino ciclostilato
essenzialmente milanese.
La redazione della rivista era allora un laboratorio politico per noi
appassionante, un luogo di confronto di idee, di ricerche, di
esperienze.
Franco in quell'ambiente giocava un ruolo importante. Una solida
preparazione, una straordinaria curiosità intellettuale, una
qualità notevolissima dell'esposizione e della scrittura ne
facevano un redattore di primo piano e, soprattutto, un interlocutore
in mille avventure politiche ed esistenziali.
Attraverso di lui e dei compagni del suo milieu romano stringemmo,
infatti, rapporti importanti con collettivi di lavoratori di Roma e ci
misurammo in una discussione sovente stimolante.
La redazione allora era, è opportuno ricordarlo, prima un
collettivo politico che un luogo di studio. La definizione "per
l'organizzazione diretta di classe" era presa assolutamente sul serio.
La redazione di Roma della rivista portava nella discussione
un'attitudine parzialmente diversa rispetto a quelle "nordiste", una
maggior attenzione al quadro politico e l'ambizione di svolgere un
ruolo nelle vicende della sinistra sovversiva del tempo che erano
sostanzialmente assenti nella componente classista dura dei compagni
del nord.
Ricordo ancora le risate che ci facevamo quando Franco raccontava
che diffondeva con altri il primo numero della rivista durante i fatti
del '77 romano pubblicizzandola come rivista moralista e fabbrichista.
Franco non era solo, in quegli anni, un compagno. Era anche un amico
della lunga adolescenza che accompagnava il maggio rampante italiano.
Con lui se ne combinavano di tutti i colori dalle mangiate
pantagrueliche alcune delle quali meriterebbero una narrazione a parte
alle avventure con le signorine che, in più di un'occasione,
furono le stesse.
Con lui e con Giovanbattista Carrozza, il terzo membro più
stretto del nostro sodalizio, conquistammo sul campo il soprannome di
"I tre mandarini" ad opera di un ruspigante gruppo di operai toscani
più classisti, almeno nelle intenzioni, di noi e decidemmo di
dar vita ad una rivista letteraria dallo stesso titolo, rivista che non
vide mai la luce.
Assieme vivemmo la fine del maggio rampante e le prime lotte del
precariato sociale, la nascita di "Collegamenti Wobbly", scoprimmo
assieme, lo cito, che i colori del tramonto sono simili a quelli
dell'alba.
Prendemmo poi strade diverse e il mutare stesso del nostro stile di vita portò a diradare i rapporti.
Restò un'amicizia importante e una serie di incontri anche se
non frequenti. Mi parlava a volte dei suoi libri e delle sue ricerche,
delle sue curiosità e delle sue inquietudini.
Sapevo di suoi problemi di salute e di sue sofferenze interiori e sin
da quando lo avevo conosciuto mi era chiaro che il suo vitalismo, come
sovente avviene ai vitalismi, era la maschera di tensioni profonde e di
un sostanziale male di vivere.
Con lui, è buffo ricordarlo, giocavo a volte la parte del
saggio. Ora non potrò più tirargli metaforicamente le
orecchie e sentire le sue risposte a volte ironiche a volte ciniche e
la cosa mi mancherà molto.
Cosimo Scarinzi