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La genesi del terrorismo
Nell'approssimarsi della ricorrenza dell'11 settembre, proponiamo qualche annotazione su: LA GENESI STORICA DEL TERRORISMO
Nel 1812, i neonati Stati Uniti d'America
invasero il Canada per annetterselo. Pretesto ufficiale di questa
aggressione fu, manco a dirlo, il problema degli attacchi
terroristici di indiani provenienti dal territorio canadese.
Come
è noto, quella guerra non andò come gli statunitensi
avevano sperato, dato che gli inglesi, nonostante il loro grosso
impegno militare in Europa, riuscirono a ristabilire i precedenti
confini e persino ad incendiare Washington.
Aldilà
dell'insuccesso, questa aggressione statunitense seguiva uno schema
tutt'altro che improvvisato, che si sarebbe ripresentato più
volte nella Storia, che si era anzi già presentato
all'affacciarsi degli Stati Uniti sulla scena mondiale.
Nel
primissimo documento di politica estera statunitense, la
Dichiarazione d'Indipendenza dei Tredici Stati Uniti d'America del 4
luglio 1776, redatta da Thomas Jefferson, tra le varie accuse
rivolte al re di Gran Bretagna, c'è infatti anche questa
affermazione:
"ha tentato
di istigare contro gli abitanti delle nostre zone di frontiera i
crudeli selvaggi indiani la cui ben nota norma di guerra è la
distruzione indiscriminata di tutti gli avversari, di ogni età,
sesso e condizione".
(la traduzione che presentiamo è tratta dall'antologia di documenti storici di Gaeta e Villani, Principato Editore).
La Dichiarazione
d'Indipendenza degli Stati Uniti è invece universalmente, e
ingiustamente, famosa solo per quel preambolo in cui dice che tutti
gli uomini sono stati creati uguali e che sono stati dotati dal
Creatore di certi inalienabili diritti come la Vita, la Libertà
e la Ricerca della Felicità.
Questa fama universale è
però dovuta ad un equivoco, cioè a una confusione che
molti fanno tra Dichiarazione d'Indipendenza e Costituzione degli
Stati Uniti d'America.
Nella Dichiarazione d'Indipendenza questa
enunciazione di diritti non ha nessun effetto giuridico, ma solo
propagandistico. Laddove avrebbe potuto invece avere effetto
giuridico - cioè nella Costituzione degli Stati Uniti -,
questa enunciazione NON c'è. Nella Costituzione americana
infatti non si accenna neppure all'uguaglianza, mentre la libertà
è definita un bene e non un diritto. Il preambolo sui diritti
aveva quindi nella Dichiarazione una mera valenza autocelebrativa,
che serviva a sottolineare la non umanità dei propri
avversari. Non a caso oggi Bush può sospendere le garanzie
costituzionali nei confronti di un cittadino americano in quanto
terrorista, cioè disumano.
Come si vede, l'oligarchia americana si è saputa parare le spalle, per evitare ciò che era accaduto nel 1772 in Inghilterra, dove la sentenza di un tribunale aveva abolito l'istituto della schiavitù riconoscendone la incompatibilità con le leggi vigenti. Dato che l'agricoltura delle colonie americane si fondava sulla schiavitù, nel 1773 cominciò il movimento d'indipendenza: nel porto di Boston un gruppo di coloni, travestiti da indiani, irruppe su una nave inglese e gettò in mare il suo carico di tè (ieri travestiti da indiani, oggi da terroristi islamici). La leggenda vuole che Thomas Jefferson avesse previsto nella Dichiarazione d'Indipendenza l'abolizione della schiavitù, ma poi il congresso non l'avesse seguito su questa linea. Anche questo però è un falso: il testo originale di Thomas Jefferson (vedi la sua antologia di scritti politici, Cappelli Editore) NON accennava all'abolizione della schiavitù, ma si limitava ad addossare la responsabilità di questo istituto al re di Gran Bretagna, accusandolo inoltre di voler fomentare rivolte di schiavi. Nel testo originale di Jefferson si ritrova invece la frase sulla crudeltà degli indiani.
La leggenda ufficiale ci
presenta Thomas Jefferson come la figura idealistica della
indipendenza statunitense, mentre il ruolo pratico viene attribuito
a George Washington. Sta di fatto che la biografia di Jefferson non
corrisponde a questa icona.
Tra il 1785 ed il 1789 Jefferson fu
ambasciatore statunitense in Francia; se ne tornò in patria
nel settembre del 1789, dopo che la Rivoluzione era già
scoppiata. Mentre le ricostruzioni storiche si soffermano spesso
sugli aspetti pittoreschi del soggiorno parigino di Benjamin
Franklin durante la guerra d'indipendenza, sorvolano invece, con
evidente imbarazzo, su quello di Jefferson e sul suo documentato
ruolo nella destabilizzazione in Francia.
Lo scopo di Jefferson,
e della politica estera statunitense, non era evidentemente quello
di esportare la propria rivoluzione, ma di favorire una guerra in
Europa che permettesse agli Stati Uniti di espandersi a spese delle
colonie che Francia e Inghilterra avevano in America. Il progetto
riuscì a metà: nel 1803 Napoleone fu costretto a
svendere al presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson (sempre
lui) la colonia francese della Louisiana, ormai tagliata fuori dalla
madre patria a causa della marina britannica; ma, come abbiamo già
detto, gli stessi artigli inglesi non si fecero sfuggire il
territorio del Canada.
Non tutti i progetti di
Jefferson andarono a buon fine. Dai suoi scritti (vedi l'antologia
citata) apprendiamo anche che il suo sogno era di annettersi Cuba,
non appena le condizioni si presentassero (ancora un po' di
pazienza).
Ritiratosi dalla vita politica ufficiale, Jefferson
fondò l'Università della Virginia, con l'evidente
proposito di allevare la futura oligarchia statunitense.
Jefferson
fu il vero architetto degli Stati Uniti e il suo modello di dominio
è attuale: tuttora la sua classe dirigente viene selezionata
e addestrata nel segreto delle confraternite universitarie, mentre
la politica estera statunitense è ancora quella della
destabilizzazione sotterranea su scala planetaria, per giustificare
interventi e aggressioni.
Rabin, per raggiungere un
accordo con Arafat, era stato costretto a scavalcare gli Stati Uniti
e ad affidarsi a una mediazione norvegese. Fatto fuori Rabin, oggi
gli Stati Uniti hanno ripreso il controllo della situazione, e
infatti il Medio Oriente è nel caos.
Ma tutta la Storia
del '900 è falsata dalla mancata messa in evidenza di
"dettagli" grossi come macigni; fatti che pure sono noti
agli esperti, e che riguardano il ruolo di destabilizzazione svolto
in Europa dagli Stati Uniti:
- dopo la prima guerra mondiale,
Henry Ford (quello delle automobili) divenne nel mondo il maggior
esponente dell'antisemitismo, scrivendo e pubblicando un best
seller: L'Ebreo internazionale;
- decisivo, e documentato,
fu inoltre il ruolo dell'altra grande multinazionale dell'auto, la
General Motors, nell'ascesa di Hitler e nel riarmo tedesco.
Perché si è fatto finta, e si fa finta, di non vedere? È una questione storica da approfondire. Accontentiamoci per ora di citare gli immortali versi di Giuseppe Giusti:
rimarrà come un babbeo
l'Europeo.
Comidad - Napoli
Agosto 2002