Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
In un racconto di Vitaliano Brancati un tale deve spiegare alla moglie i motivi della propria avversione per Mussolini, e perciò enumera le vessazioni che gli vengono imposte, dalle adunate alla camicia nera. A questo elenco la moglie gli replica con un irridente “Tutto qui?”; e allora il protagonista del racconto rimpiange di non aver avuto le capacità espressive di un Leopardi per pronunciare un inno alla libertà. In realtà la libertà poteva anche essere lasciata da parte, preferendo un’osservazione più prosaica: non esiste istupidimento a costo zero.
Quando il nostro presidente Mattarella, in un’occasione solenne, se ne esce con uno slogan del repertorio nostalgo-fascista come “la libertà non è licenza”, abbassa drasticamente il livello della comunicazione, contando di uscirne indenne grazie al culto della personalità di cui è fatto oggetto; magari sarà pure così, ma intanto l’effetto di disincanto lo ha provocato lo stesso. Dire scemenze nelle occasioni ufficiali fa parte della funzione presidenziale, ma anche con le scemenze c’è una soglia da non oltrepassare, una coerenza comunicativa da rispettare, e non si può attingere a qualsiasi repertorio.
La libertà è limitata dalla legge, e quindi un cittadino non dovrebbe essere vessato e umiliato per aver violato una legge che non c’è, invece è quello che sta accadendo da noi. L'obbligo vaccinale rimane allo stadio di minaccia, di bluff, di trovata estemporanea da conferenza stampa. L’istituzione dell’obbligo sarebbe un atto autoritario ma almeno legalitario e sgombrerebbe il campo dall'attuale clima di intimidazione e di estorsione del “consenso informato”. L'obbligo vaccinale è quindi un bluff da andare a vedere per capire se il governo è davvero disposto a rinunciare sia al vantaggio di costringere i vaccinati a firmargli una liberatoria, sia all'opportunità di gerarchizzare e digitalizzare i rapporti sociali attraverso il green pass.
Che l'aumento dei vaccinati sia diventato una questione secondaria, ce lo conferma il ministro della “Salute” (?) Speranza, il quale ha dichiarato che neanche il 90% di vaccinati potrebbe bastare ad evitare nuove restrizioni. Come a dire che se vi vaccinate o no, a Speranza, come dicono a Roma, “nun gliene pò fregà de meno”. Neppure terze, quarte, ottantesime dosi di vaccino eviteranno ulteriori e massicce dosi di digitalizzazione di massa. Anzi, una quota residua di non vaccinati da spacciare per untori ed allevatori di varianti, sarà utile come alibi per perpetuare all'infinito l’emergenza.
Il vaccino è un gigantesco business, ma è niente rispetto al vero business in gioco: la digitalizzazione. Il Green Pass è uno strumento per digitalizzare tutti i rapporti del cittadino con la Pubblica Amministrazione. Si tratta di un tracciamento di massa a cui non si sfugge presentandosi col cartaceo, poiché anche quello sarà verificato elettronicamente.
Nel XIX secolo lo Stato ha dovuto man mano allargare la sfera delle libertà individuali, non per qualche afflato ideale, bensì perché si trovava di fronte al fallimento finanziario dello Stato Assoluto, nel quale i costi del controllo sociale superavano di gran lunga le entrate fiscali. Oggi invece la lobby del digitale vende ai governi una nuova illusione di potere assoluto: sostituire i vecchi e costosi metodi di controllo burocratico con il controllo digitale. La parodia del nazismo che stiamo vivendo fa parte di questa tecnica di vendita, ed ai politici non sorge il dubbio che i nuovi miti di controllo assoluto siano appunto un imbonimento da venditori.
La missione salvifica delle app di controllo viene accreditata secondo uno schema consueto. Ad esempio: nella Scuola si semina l'incertezza sulle procedure di verifica del Green Pass, dopodiché si lancia la nuova super-app che risolverà tutti i problemi. Un'emergenza fittizia a cui si rimedia con una fittizia soluzione.
Il Green Pass sta però determinando anche effetti collaterali e reazioni avverse, tra cui incrinare l’alone di sacralità della campagna vaccinale. La convivenza politeistica tra dio vaccino e la nuova arrivata, la dea app, non sta funzionando, anzi sta sgretolando le fondamenta dell’Olimpo. Narrare che il dio vaccino ha bisogno della stampella delle app per esprimere la sua gloria, è un po’ spoetizzante. Come quando ci si disinnamora, la percezione di un difetto della persona amata, ti fa scoprire di colpo anche tutte le altre magagne. Finora la vaccinolatria aveva ipnotizzato gli intellettuali accademici e li teneva allineati. Con l’istituzione del Green Pass si è invece manifestato chiaramente che il dio vaccino non è in grado di mettere fine all’emergenza sanitaria.
Un'emergenza infinita è una pacchia per i giornalisti, che si nutrono di allarmismo, con tanto di incentivi statali per diffondere notizie che tengano alta la percezione del pericolo; ma non può gratificare chi abbia un minimo di senso di responsabilità sociale. Ciò ha indirettamente indebolito anche la vaccinolatria, per cui molti si sono accorti improvvisamente che il dio vaccino era il primo a non credere in se stesso. In effetti nella storia delle religioni ne sono successe di cotte e di crude, ma un dio che ti facesse firmare la liberatoria prima di salvarti, non si era mai visto.
In questi giorni in cui il mondo è nella morsa del terrorismo dell’ISIS K e delle Brigate No-Vax, i media hanno trovato il tempo per intrattenerci sullo spettacolo del presidente USA Joe Biden che si appisolava in pubblico. Il vero scandalo in realtà sarebbe stato che Biden fosse rimasto sveglio di fronte ad un primo ministro israeliano che lo intratteneva narrando delle terze dosi di vaccino che sta somministrando, e persino con citazioni bibliche. Lamentarsi della mediocrità dei leader è un modo indiretto per mitizzare il potere che, per essere gestito, non ha bisogno affatto di tipi svegli, semmai ricattabili. Al suo arrivo alla Casa Bianca Biden ha messo fine allo sconcio dei governi infarciti di uomini di Goldman Sachs, chiamando ad assisterlo ed illuminarlo personale del più grande fondo di investimento del mondo, Blackrock.
Per Biden capire dove stessero la Via, la Verità e la Vita non è stato difficile, dato che Blackrock ha più soldi di Goldman Sachs. Noi fantastichiamo di "Nuovo Ordine Mondiale” e di “Grande Reset”, ma alla fine le cose sono più semplici. Avete fatto caso che la Verità, il Bene, la Scienza, la Morale, la Religione, la Giustizia, il Diritto Costituzionale stanno sempre dalla parte dei soldi? Più il denaro si concentra in poche mani, più la luce della Verità risplende. Il denaro dà senso, conferisce a chiunque status ed onorificenze. Pensavi di essere un fesso qualsiasi? Invece tu sei un Virologo; tu sei una Vittima del terrorismo ad honorem; ci sono medagliette per tutti, basta stare dalla parte giusta.
Biden ha dimostrato di aver imparato la lezione dai suoi consulenti, così ha congelato i beni dell’Afghanistan depositati presso le banche americane, circa dieci miliardi di dollari. La ricchezza è fatta di tanti piccoli furti nei confronti dei poveri; furti persino doverosi, perché un governo oscurantista come quello talebano farebbe sicuramente un pessimo uso di quei fondi. Ammesso che quei fondi non siano già spariti definitivamente, come i miliardi libici che Gheddafi aveva saggiamente affidato a Goldman Sachs.
Dopo il Fondo Monetario Internazionale, anche la Banca Mondiale ha sospeso le linee di credito che, secondo il regolamento della Banca, sarebbero spettate all’Afghanistan. La motivazione è la stessa offerta dal FMI: l’Afghanistan attuale non dà garanzie di stabilità. Senza soldi i Talebani non potranno comprarsi i consensi delle varie etnie con stipendi e infrastrutture; in compenso potranno stroncarne la ribellione con le armi americane ereditate dal dissolto esercito afgano. La prosecuzione della guerra civile è assicurata, perciò i finanziamenti del FMI e della BM spettanti a Kabul potranno essere dirottati verso un più opportuno assistenzialismo per ricchi.
I ricchi rubano ai poveri esclusivamente per fare il bene dei poveri ma, mentre gli Americani a volte si dimostrano un po’ rozzi e sbrigativi nel farlo, gli Inglesi possono vantare un’altra classe. La Bank of England rifiuta di restituire al Venezuela le riserve auree che Caracas vi aveva depositato; nel frattempo la magistratura inglese fa la sua parte di indecisa: questo oro a chi lo do? A Maduro o a Guaidò? Il governo inglese ha riconosciuto il golpista Guaidò come legittimo presidente del Venezuela, ma neanche lui finora ha visto un lingotto. Con questa annosa manfrina giudiziaria, la Bank of England continua a tenersi l’oro venezuelano, ed a qualcuno comincia a venire il dubbio che i lingotti siano già partiti per altri lidi.
Anche la Banca d’Italia tiene riserve auree presso la Bank of England, ma oltre mille tonnellate di oro italiano sono depositate presso la Federal Reserve americana. Un bell’ostaggio per garantirsi la fedeltà dell’alleato. Anche in questo caso è lecito qualche dubbio sulla effettiva sorte di quell’oro; che rimarrà comunque misteriosa, tanto nessun governo italiano oserebbe mai chiederne la restituzione.
Un benpensante (o, come si dice oggi, un politicamente corretto) sa che a fare i “furbetti” sono sempre e solo i poveri, come dimostrano i tanti scandali legati al cosiddetto “reddito di cittadinanza” (in effetti un sussidio di disoccupazione), su cui i media quotidianamente ci informano. Sussidiare i disoccupati è immorale perché gli toglie dignità, voglia di lavorare ed auto-imprenditorialità, perciò i miliardi del reddito di cittadinanza sarebbe giusto darli agli Elkann, che saprebbero certamente come utilizzarli meglio. Se proprio il sussidio di disoccupazione non si riesce ad eliminarlo, che almeno i disoccupati vengano colpevolizzati per il fatto di percepirlo, e per fortuna i media stanno provvedendo a riguardo.
Dal punto di vista economico i sussidi di disoccupazione svolgono un ruolo positivo poiché, rendendo il lavoratore meno ricattabile, impediscono il crollo del livello dei salari e quindi la caduta della domanda, con tutte le conseguenze recessive che ciò comporterebbe. Ma queste sono appunto considerazioni economiche, materialistiche, mentre la vera urgenza è elevare il livello morale dei poveri, far capire loro l’importanza del lavoro, perciò è opportuno farglielo perdere. Ci sono multinazionali finanziarie, come la britannica Melrose Industries, proprietaria della GKN, che svolgono un ruolo meritorio: rilevano aziende in difficoltà in modo da intercettare i fondi che gli Stati stanziano per l’occupazione, dopodiché chiudono le fabbriche e licenziano i lavoratori. I fondi per l’occupazione vengono così dirottati verso la finanza speculativa, mentre i lavoratori rimangono con la consapevolezza morale del valore del lavoro, poiché l’hanno appena perso. Qualche malpensante potrebbe supporre che spesso e volentieri anche i ricchi facciano i “furbetti”: chi la pensa così è evidentemente un complottista e un terrapiattista.
Ringraziamo Claudio Mazzolani per la collaborazione.
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