Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il regime libico viene qualificato come “dittatura”, dato che non è abbastanza ricco da permettersi il complesso sistema di pubbliche relazioni che consente di ammantarsi di quella mistificazione detta “democrazia occidentale”. D’altro canto, il regime libico è invece abbastanza ricco da divenire oggetto di estorsioni da parte dei regimi “democratici”; anzi, nessuno deve considerarsi troppo povero da non poter accedere all’onore di essere derubato dai ricchi.
Gheddafi è stato infatti individuato, senza prove, come mandante dell’attentato avvenuto sopra la cittadina scozzese di Lockerbie nel 1988, contro un aereo della Pan Am. Con questo pretesto, per ordine degli Stati Uniti, la Libia è stata tenuta dall’ONU sotto sanzioni economiche, finché non si è decisa a sborsare una grossa cifra a titolo di “risarcimento”. Un cittadino libico è stato inoltre tenuto sotto sequestro per anni dalle autorità britanniche, come condanna per aver eseguito la strage; una condanna ottenuta attraverso un processo basato su quelli che nel ‘600 erano chiamati “testimoni della corona”, cioè agenti segreti britannici che potevano esporre le proprie accuse senza qualificarsi e senza essere sottoposti a contraddittorio. E tutto ciò è avvenuto non nella Corea del Nord, ma nella civile Gran Bretagna, quindi senza le indignate segnalazioni di Organizzazioni Non Governative specializzate nella difesa dei diritti umani (diritti umani delle multinazionali).
Il libico sequestrato è stato infine liberato il 20 agosto ultimo scorso dalle autorità britanniche, ufficialmente con pretesti umanitari, in realtà perché Gheddafi ha pagato un vero e proprio riscatto per il suo rilascio. Una presunta accoglienza calorosa riservata in Libia all’ostaggio rilasciato, ha però suscitato la reazione di “disgusto” del presidente USA Obama, e di conseguenza, anche tutti i media “occidentali” si sono aggiunti al coro delle condanne.
La storiella raccontata dai media ha sfidato ogni livello di credulità, eppure è stata creduta. L’Occidente, come sempre troppo buonista, avrebbe scarcerato un terrorista colpevole di strage perché malato terminale di cancro, e l’ingrato Gheddafi, invece di cospargersi il capo di cenere, avrebbe accolto quel terrorista come un eroe. Sono gli stessi media che si sono ben guardati dal riferire che Gheddafi ha sì pagato il “risarcimento”, ma dichiarando pubblicamente che lo faceva solo perché costretto dalle sanzioni, e non perché avesse qualcosa a che fare con Lockerbie.
Sono inoltre gli stessi media che hanno taciuto sulle notizie che filtravano sul ruolo svolto nell’attentato di Lockerbie dai conflitti interni alla CIA per il controllo del narco-traffico tramite aerei civili.
Il messaggio rivolto a Gheddafi con questa campagna mediatica risulta piuttosto chiaro: sebbene ammesso nuovamente, per la porta di servizio, come soggetto attivo nel club internazionale degli affari, il leader libico deve ricordarsi della sua condizione di sottomissione, magari mascherandola con qualche spacconata, ma accontentandosi di incontrare solo “leader occidentali” di livello molto inferiore, come Berlusconi. Il Presidente del Consiglio italiano è infatti abbastanza isolato e screditato da risultare utile per contatti affaristici che non coinvolgano l’icona immacolata del sacro “Occidente”.
Il livore razzistico che i media “occidentali” riservano a Gheddafi, non deve far perdere di vista la condizione di asservimento coloniale a cui oggi il leader libico è ridotto. Tale condizione di servilismo risulta particolarmente evidente sulla questione dell’emigrazione, dove Gheddafi si sta di fatto adoperando per sostenere la mistificazione che descrive un Occidente assediato dai bisognosi del pianeta.
In questa falsa immagine, il sedicente “Occidente” sarebbe al massimo colpevole di egoismo, che contrasterebbe col suo consueto eccessivo buonismo. Viene così occultato il ruolo che le multinazionali finanziarie svolgono nel traffico di esseri umani, dato che i migranti sono costretti ad affidarsi agli umano-trafficanti per poter saldare i debiti contratti in patria con agenzie finanziarie. Tutto il legame causale che esiste tra la finanziarizzazione, il credito ai consumi, da un lato, e il traffico di esseri umani dall'altro, viene così occultato dai media.
Il pan-arabismo che Gheddafi esibiva negli anni ’70, ormai è solo un ricordo e le celebrazioni del quarantennale del regime libico non fanno altro che rendere più patetico quel ricordo. Oggi Gheddafi è costretto ad accontentarsi del suo status di satrapo locale, ed anche se non c’è nessuna prova che il leader libico approfitti di questa condizione per accumulare lussi e ricchezze personali, non c’è neppure dubbio che egli si sia ridotto a fare da ostaggio nelle mani degli affaristi sia occidentali che del proprio Paese.
Un bilancio equo dell'esperienza di Gheddafi deve però anche tenere conto del fatto che ogni suo timido tentativo di allentare la morsa del colonialismo sul proprio Paese, non ha mai trovato nessun sostegno, neppure morale, nella sinistra "occidentale", sempre legata al pregiudizio razzistico secondo cui per opporsi al colonialismo occorra esserne "degni". Insomma, è il solito sofisma della psico-guerra, per cui gli Americani sono perfetti, e se sbagliano è solo per eccesso di buone intenzioni, perciò si ha il diritto di difendersi dalle loro aggressioni solo quando si è più perfetti di loro; quindi mai.
L’organizzazione cattolica Comunione e Liberazione esibisce da molti anni una doppia personalità. Da un lato, CL è la Compagnia delle Opere, una delle più tentacolari cosche affaristiche italiane, che monopolizza gli appalti nella Regione Lombardia (governata dal ciellino Roberto Formigoni, del PdL), ma è in grado di vampirizzare attivamente anche altre aree del Nord e del Centro Italia. Dall’altro lato, Cl si presenta invece come la “compagnia delle chiacchiere” che si esprime, con cadenza annuale, al Meeting di Rimini.
Il Meeting di Rimini è una palestra per la declamazione delle più spudorate stupidaggini, confezionate col richiamo pretestuoso ed astratto a valori morali e religiosi; il tutto in puro stile Don Giussani, il mitico e compianto fondatore di CL, il prete capace di scrivere ottocento pagine per garantirsi di non aver detto assolutamente nulla. La compagnia delle chiacchiere riesce così ad annebbiare ed oscurare la realtà affaristica della Compagnia delle Opere, che sovrintende a tutta l’impalcatura mediatica.
Spesso, però, esponenti politici e di governo scelgono il palcoscenico mediatico del Meeting di Rimini anche per lanciare pubblici messaggi ai loro clienti, o ai loro mandanti. Quest’anno è stato il caso del ministro-fantoccio dell’Istruzione, Gelmini, che ha dichiarato il proposito di abolire l’attuale sistema di formazione dei docenti, per sostituirlo con un tirocinio da attuarsi presso scuole statali o paritarie. Insomma, un business viene sottratto all’Università e donato ai privati, dato che, con questa ipotesi normativa, il governo concederebbe di fatto agli istituti paritari la facoltà di vendere la qualifica di docente.
Ovviamente la Gelmini, nelle sue dichiarazioni al Meeting, non si è fatta sfuggire l’occasione per avvilire e umiliare la categoria dei docenti e, nel caso specifico, i docenti precari; ma sarebbe un errore attribuire questo stile sprezzante e sguaiato alla particolare abiezione antropologica manifestata dai membri dell’attuale governo. Nel 1999 il ministro dell’Istruzione in carica era Tullio De Mauro, sino ad allora un intellettuale universalmente apprezzato; eppure De Mauro adottò uno stile analogo a quello della Gelmini, scegliendo i media, invece che il Parlamento, per esprimere i suoi propositi - elettoralismo ed antiparlamentarismo sembrano fatti l’uno per l’altro -, e trattando inoltre gli insegnanti da morti di fame, al punto di lanciare una proposta da avanspettacolo: istituire una lotteria per arrotondare gli stipendi dei docenti.
Anche l’affossamento dell’idea che la Scuola possa costituire un fattore di progresso sociale, e la trasformazione della stessa Scuola in un laboratorio riservato esclusivamente a esperimenti affaristici e reazionari, li si debbono ad un altro ministro di “sinistra”, cioè al predecessore di De Mauro al ministero dell’Istruzione, Luigi Berlinguer.
Il pomposo e prolisso programma dell’Ulivo alle elezioni del 1996 prevedeva, come punto qualificante per la Scuola, l’adozione dell’istruzione superiore per tutti sino ai diciotto anni: un obiettivo storico della sinistra. Eppure, appena giunto al ministero, Berlinguer si dimenticò di questo obiettivo e, con la solita intervista televisiva, lo sostituì con l’obbligo formativo, cioè una riedizione del caro, vecchio e reazionario avviamento professionale.
Come obiettivo qualificante della sua opera di ministro, Berlinguer lanciò poi in TV una proposta mai discussa prima: l’autonomia degli istituti scolastici. L’aspetto curioso - e interessante dal punto di vista della psicologia sociale - è che all’epoca nessuno si fece avanti a contestare al ministro l’abbandono dell’istruzione superiore per tutti, anzi tutta l’attenzione fu monopolizzata dal dibattito sull’autonomia, di cui, sino ad allora, nessuno aveva mai avvertito il bisogno.
Berlinguer, con la proposta dell’autonomia scolastica, non aveva fatto altro che propinare il solito sofisma, divenuto un luogo comune propagandistico dagli anni ’80: meno uguaglianza in cambio di più libertà. Ma libertà e uguaglianza sono nomi diversi per la stessa cosa, e pretendere di separare la libertà dall’uguaglianza, significa solo usare la parola “libertà” come un’etichetta per ogni genere di abuso.
Infatti, mentre molti hanno favoleggiato sulle opportunità creative offerte dall’autonomia scolastica, l’autonomia reale si è risolta invece in una sorta di riedizione del feudalesimo applicato alla Scuola, dove ora il Preside - divenuto il Dirigente Scolastico - assume, per legge, il ruolo di bullo istituzionale, un tirannello locale, con tratti da boss mafioso. Il Preside-bullo costituisce il punto di riferimento ed il modello per gli studenti bulli, che ora si ritrovano criminalizzati semplicemente per essersi adeguati al trend.
Rimane a tutt’oggi da spiegare come sia stato possibile che un obiettivo come l’istruzione superiore per tutti sino ai diciotto anni si sia potuto perdere per strada, sino a scomparire dalla memoria storica. Uno dei fondatori del comunismo, Filippo Buonarroti, diceva che ci sono idee emancipatrici, cioè idee che, aldilà della possibilità di realizzazione immediata, costituiscono comunque dei fattori di spinta sociale. Anche senza credere più ai Lumi ed alle virtù salvifiche della cultura, non c’è dubbio che l’idea dell’istruzione superiore per tutti costituisca un messaggio concreto di uguaglianza, cioè uno di quegli obiettivi che possono definirsi “identitari” per un movimento di opposizione.
Quindi non è affatto un caso che la guerra psicologica abbia usato un governo di “sinistra” per liquidare e cancellare dalla memoria collettiva proprio questo obiettivo.
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